Bernie Sanders

Sanders, la corsa delle sue idee continua

Così Hillary Rodham Clinton ha vinto le primarie di New York. Come doveva essere e non perché le primarie abbiano mostrato qualche difettuccio organizzativo, diciamolo come un eufemismo, dal momento che sono mancati circa 125.000 elettori (per lo più indipendenti) cui non è stato permesso di registrarsi per votare, dimostrando che lo strumento ha bisogno di continue messe a punto soprattutto per evitare che l’establishment del partito le pieghi a proprio favore. A spiegare l’affermazione della Clinton sono le sue stesse parole: “Non c’è nessun posto come casa”. Hillary giocava in casa e non poteva non vincere. Clinton prende il 58% e Sanders il 42%; a New York City il divario è più ampio e porta la Clinton al 63%. Il meccanismo proporzionale che governa le primarie democratiche (a differenza di quelle repubblicane dove chi vince prende l’intera posta), assegna a Hillary 139 delegati e a Sanders 106, portando a 1.446 i delegati per la prima e a 1.200 quelli dello sfidante. Ce ne vogliono 2.383 per vincere la nomination e nelle prossime primarie, ve ne sono ancora 1.668 da assegnare: la corsa è ancora aperta, anche se più in salita per Sanders. Ma non dovrebbe ritirarsi, come pure qualche commentatore suggerisce per rafforzare le chances dei democratici di vincere le elezioni di novembre, contro Trump verosimilmente. Ci sono molti buoni motivi perché Sanders debba rimanere nella corsa.
I TEMI DI SANDERS – Fra tutti ne sottolineo uno, che attiene tanto alla cultura politica dei democratici quanto al profilo della candidatura democratica di novembre, chiunque sia. Infatti, Sanders ha fatto qualcosa di più che soltanto correre per la presidenza; ha imposto i suoi temi nell’agenda politica dei democratici e lo ha fatto sollevandoli, come dire, da terra, dal basso, mobilitando gli americani. Migliaia di cittadini lo hanno seguito nelle strade di New York, come non si vedeva da anni nelle primarie, diventate ormai sempre di più uno spettacolo televisivo. Nei suoi discorsi ha imposto, evocato temi fondamentali: la diseguaglianza, la corruzione, i diritti dei lavoratori, il diritto ad una buona istruzione per tutti. Nel discorso alla folla riunitasi a Washington square a New York ha detto: “La gente è stanca. Stanca di lavorare dalle 50 alle 60 ore alla settimana” e, ricordando che 100 anni fa il movimento dei lavoratori negli Stati Uniti era nato sulla richiesta delle 40 ore di lavoro alla settimana, ha concluso “eccoci qui ancora a lottare per le 40 ore”. Nei suoi comizi Sanders ha attaccato quella che lui chiama la “classe dei miliardari”, chiamando in causa la famiglia Walton proprietaria dei grandi magazzini Walmart, che paga con stipendi da fame i suoi lavoratori, obbligandoli a dipendere dai buoni alimentari e dal servizio sanitario statale (che negli USA è solo per gli indigenti) e gravando così sul sistema di welfare pubblico. Così come ha ricordato lo sciopero dei lavoratori della Verizon, il colosso della telefonia, che ha licenziato dalla sera alla mattina 36.000 dipendenti, ricollegando la loro lotta alla storia del movimento dei lavoratori. Ecco, Sanders ha riconnesso la storia dei movimenti progressisti americani al presente, mostrando che oggi come allora c’è una lotta da condurre per i diritti; che essi non sono acquisiti una volta per tutte e, soprattutto, che l’America non è condannata necessariamente ad un destino di darwinismo sociale. Se è stato possibile per il movimento dei diritti civili conquistare norme non discriminatorie fra bianchi e neri, è giusto e possibile farlo anche oggi; se il movimento femminista ha unito milioni di donne per l’uguaglianza di genere, è giusto e possibile che le donne e gli uomini dell’America di oggi si uniscano per ottenere la parità dei trattamenti salariali fra lavoratori maschi e lavoratrici femmine; se il movimento per i diritti dei gay ha saputo creare consenso e alleanze in America per avere riconosciuto il diritto ad amarsi a prescindere dal genere, è giusto e possibile ancora oggi unire il paese per questo obiettivo: Sanders, con la sua campagna e con i suoi successi, ha reso visibile il potere delle persone, quello non solo di cambiare se stessi che è parte ormai della retorica dell’individualismo americano, ma di cambiare la società. Richiamando e ricollegandosi ad una storia radicale dei movimenti sociali, che i trent’anni di neo-liberismo hanno preteso di cancellare dalla memoria d’America. Sanders ha risvegliato, ha convocato una speranza radicale, ma lo ha fatto con una calma determinazione, a real quiet man, potremmo dire parafrasando il film del 1952 di John Ford.

IL VIDEO CHE COMMUOVE – C’è un video, quasi commovente, in cui Sanders passeggia per le strade di Brooklyn in cui lui è cresciuto e conversa con l’attore Mark Ruffalo: Bernie, incalzato dal giovane attore, parla in modo molto semplice ad esempio del Brooklyn State College e di altre scuole che – in those days (all’epoca, diremmo noi) – erano ottime scuole sostanzialmente gratuite.

“Quindi – dice Ruffalo – il tuo programma di un’educazione per tutti di qualità viene da lì? E, in fondo, non è un’idea radicale?”. “Questo è il punto – gli risponde Sanders – non è un’idea radicale. Ci sono paesi in ogni parte del mondo che hanno università gratuite perché vogliono investire nel futuro della loro nazione e non vogliono che le famiglie vadano in bancarotta per mandare i loro figli ad un’università da 5.000 dollari al giorno. Era così anche in America, un tempo. Quindi quella che propongo non è certamente un’idea radicale”. E il video continua così, con Sanders che racconta – per le strade di Brooklyn – il suo programma, in modo semplice, in connessione diretta con la realtà quotidiana e riconvocando le idee “radicali” che hanno reso civile l’America e che oggi sono annichilite, neglette, dal potere dei soldi, dall’ideologia dell’edonismo individualista. Un programma, se la parola non offende, di sinistra e proprio per questo connesso alla realtà dell’oggi, vivificando la memoria del senso profondo dei valori storici della sinistra, che non si sogna neppure per un attimo di gettare nella pattumiera della storia. E il fatto straordinario è che questa “narrazione” di un uomo di 74 anni ha suscitato l’attenzione e la passione di milioni di persone, soprattutto giovani. Questa speranza radicale può continuare a riemergere ed operare in America perché ha dimostrato che il paese ne ha bisogno e, almeno una parte non piccola di esso, è in sintonia con essa e vuole tornare ad essere protagonista della propria storia. Potrà non vincere le primarie Sanders, ma quello che ha suscitato ha una chance di proseguire il cammino, mettendo anche in discussione quello che il Partito Democratico è diventato, cioè un sistema di potere e una macchina per raccogliere e spendere soldi in costosissime campagne elettorali per mantenere l’establishment del partito al potere: Getting money out of politics è uno dei leit motiv di Sanders in queste primarie ed è un tema avvertito da un’America stremata dalla crisi. E lo ha dimostrato sostenendo Sanders con una donazione media di 2,7 dollari, coinvolgendo milioni di persone; mentre la Clinton ha pochi grandi finanziatori.

La partita, dunque, non è chiusa. Il 26 aprile c’è un altro importante round di primarie per un totale di 462 delegati in Connecticut, Pennsylvania, Maryland, Delaware, Rhode Island. Ma soprattutto questo risveglio della sinistra americana, non più marginale e minoritaria come negli ultimi tre decenni, deve ancora produrre frutti. Potrà farlo cercando di cambiare il Partito Democratico, se questo comprenderà che – come per il GOP sfidato da Trump – il processo di omologazione al pensiero mainstream può alla fine essere la sua tomba e che, quindi, ha bisogno di rinnovarsi ripescando nelle sue radici “radicali” la forza per tornare ad essere un motore di giustizia sociale e speranza di progresso. Se invece il Partito si chiuderà a riccio evitando i temi affrontati da Sanders, questo flusso di passioni e speranze che Bernie ha suscitato dovrà trovare altre strade in cui incanalarsi.

 

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