E’ prevista per i primi mesi del prossimo anno l’apertura della stagione congressuale del PD e, ad oggi, si confrontano due idee di partito e, quindi, di società. Una, renziana, è quella di un partito “scalabile” e oggetto di OPA politica a tutti i livelli, la cui offerta però è ancora indistinta, non essendo affatto chiari i termini e i confini della rappresentanza. Tale schema è del resto visibile e chiaro anche nelle scelte di Governo con politiche economiche spesso di stampo liberista piuttosto che liberale, poco o per nulla selettive e, quindi, inevitabilmente e sostanzialmente populiste. L’idea, ancora piuttosto confusa, di un Partito della Nazione che si avvicina molto a ciò che la malacologia identifica nelle cozze: un mollusco che tende ad assorbire tutto.
Ma in politica non si tiene tutto, in politica valgono le scelte, chiare e nette. Recentemente, in un interessante articolo per “Sette”, il magazine settimanale del “Corriere della Sera”, Federico Fubini ha denunciato, dati alla mano, come la forbice dell’ingiustizia sociale nel nostro Paese, sotto forma di ingiustizia fiscale, si sia allargata. Chi più ha, meno paga. Non solo, ma paga meno alle spalle dei redditi più bassi. A ben guardare tale “confusione politica organizzata” è chiaramente individuabile anche nella riforma costituzionale in cui, inopinatamente e parzialmente, si è cercato di accogliere le varie opzioni istituzionali presenti in Parlamento e non solo: la riduzione dei cosiddetti costi della politica (Senato e CNEL), concetto tanto caro ai 5 Stelle, il rafforzamento del ruolo dell’Esecutivo e del Presidente del Consiglio, un must da Craxi sino a Berlusconi, un ritorno al centralismo statale per talune materie, la necessità di snellire l’iter legislativo delegando ad una sola Camera, per la stragrande maggioranza, le relative approvazioni (concetto caro al PCI ai tempi della Commissione Bozzi, che prevedeva, però, un’unica Camera elettiva con 400 deputati e l’abolizione totale del Senato). Pur trattandosi di una riforma tecnicamente pasticciata , che non opera scelte nette, e che vede l’opposizione anche di una parte significativa dello stesso PD, sarebbe un’errore affossarla. E’ un punto di partenza, non ancora la “casa comune” degli italiani. E anche qui un partito diverso, avrebbe prodotto qualcosa di diverso e di migliore. Un Partito, e la maiuscola non è un refuso, che non si fosse limitato a votare a maggioranza ciò che il Governo aveva confezionato lasciando scarsi e poco significativi contentini alla minoranza interna, ma che avesse discusso e si fosse confrontato anche con chi, al di fuori di esso, sollecitava opzioni diverse. Un Partito, insomma, che soprattutto nella sua classe dirigente, avesse letto magari non superficialmente qualche pagina dei “Quaderni dal Carcere” di Gramsci e capire che certi riferimenti non rappresentano il vecchio e non possono essere oggetto di rottamazione: senza radici un partito non è. Semplicemente.
Se ci fosse stato un Partito diverso, diverso probabilmente sarebbe stato l’esito dell’ultimo vertice di Bratislava. Non è né un iperbole, né una provocazione. La Rivoluzione Socialista di Enrico Rossi è anche, o forse innanzitutto, una rivoluzione nel e del socialismo europeo fermo, di fatto, a Bad Godesberg. La scelta operata nel 1959 di abbandono e condanna delle esperienze dell’est europeo a favore di un riformismo incentrato su welfare e diritti oggi ha esaurito ogni capacità e spinta propulsiva. La conseguenza è che in Europa e nella maggior parte del mondo occidentale è in campo una sola proposta, quella conservatrice e liberista secondo la quale compito dei Governi centrali è quello di ridurre spese e investimenti pubblici, avere vincoli rigidi di bilancio e affidarsi, poi, al mercato, unico strumento di crescita e di composizione dei conflitti sociali.
Quanto sia stata fallimentare questa idea, questa impostazione, è evidente. Ma manca ancora una coraggiosa critica a questo capitalismo, alle storture e alle terribili ineguaglianze e drammi che ha prodotto, e sta producendo, a livello planetario. Le analisi di Sanders negli USA e di Enrico Rossi in Italia, sui limiti del capitalismo, così come si è prodotto e manifestato nell’ultimo ventennio, devono diventare patrimonio di tutti coloro che si riconoscono nella silente e immobile famiglia socialista. Devono indicare una nuova strada per eliminare ingiustizie sociali, una nuova ed ineludibile redistribuzione delle ricchezze. E’ quanto mai chiaro a tutti che la caratteristica più evidente del capitalismo attuale è che in esso la produzione non è finalizzata al consumo ma all’accumulazione del denaro. E’ questa, per quanto attualissima, non è una mia personale considerazione. E’ di Karl Marx.