Guardando in televisione, con tanta indignazione e altrettanta rabbiosa amarezza, le immagini grottesche di alcuni parlamentari grillini che rottamavano poltrone di carta, ho pensato con tanta nostalgia ad un titolo di giornale di tanti e tanti anni fa. “Siamo tutti più liberi” dichiarava a tutta pagina l’ “Avanti!” su indicazione di Pietro Nenni. Ecco, pensavo, oggi potremmo dire che “siamo tutti più fragili“. Lo è il Parlamento che ha subito un taglio ragguardevole della sua composizione su richiesta ultimativa di un movimento politico, per il cui sponsor e in buona parte proprietario, la Casaleggio associati, le Camere tra poco saranno inutili e la democrazia sarà affidata a piattaforme digitali modello Rousseau. Lo sono le istituzioni, che in mancanza di una legge elettorale praticabile, almeno per un periodo che ci auguriamo non lungo, perdono elasticità e funzionalità. Lo sono soprattutto i partiti del centrosinistra (Pd, Italia Viva, Leu, Articolo 1), che quella legge hanno addirittura votato in cambio di una semplice dichiarazione di buone intenzioni.
Ed è più fragile anche il governo Conte, che potrebbe essere sempre più condizionato da Di Maio e da un suo eventuale asse con Matteo Renzi. Ieri, in una trasmissione televisiva, ad avanzare questa ipotesi è stato Paolo Mieli che osservava che, forse sì, la legislatura sarebbe stata blindata per mancanza di una legge elettorale praticabile, ma che questo non comportava automaticamente che fosse blindato anche il governo, sempre più esposto al peso (anche ricattatorio) di vecchi (i grillini) e recenti (i renziani) suoi sostenitori.
Ecco perchè a chi dice che, in fondo, questo era un prezzo che comunque si doveva pagare per consentire la nascita della maggioranza del dopo Salvini, e che quindi il voto del centrosinistra a questo “obbrobrio” era pressochè obbligato, mi sento di dire che tutto questo comporta un indebolimento complessivo della democrazia rappresentativa e soprattutto della sinistra inerme.
Si era detto che in questa nuova maggioranza il centrosinistra avrebbe provato a puntare ad una “parlamentarizzazione” dei Cinque Stelle. Con il voto di ieri e il taglio di deputati e senatori si è fatto un passo (e che passo) nella direzione opposta: quella di condizionare il Parlamento a quel populismo che pervade lo spirito del tempo. Quello per il quale al “paese reale” non importa nulla della diminuzione del numero dei parlamentari e del funzionamento delle istituzioni. Era quello che nel dopoguerra predicava Guglielmo Giannini, fondatore dell’Uomo qualunque. Durò poco, ma in fondo erano le prime prove nazionali di populismo e antipolitica. Allora il protagonista era l’ “uomo qualunque” che temeva di essere strangolato dalle tasse. Oggi lo è il paese reale, sempre più allergico a tasse e immigrati e sempre più infastidito dalla politica e dai suoi strumenti. Già si dirà: ma così abbiamo mandato via dal governo Salvini. Vero, ma se l’alternativa a Salvini è un’altra deriva populista, come quella di Casaleggio e Di Maio e magari di Renzi, forse il centrosinistra, con le sue pulsioni e vocazioni maggioritarie ha sbagliato qualcosa. E, forse, sarebbe il caso di cambiare strada.
E qui mi fermo sull’analisi di quanto avvenuto ieri. E pongo a me stesso la domanda che giustamente avanza il costituzionalista Gaetano Azzariti nel suo articolo di oggi su “Il manifesto“: ora che si sono bruciati i ponti cosa si può o, meglio, si deve fare per salvare il Parlamento e più in generale il sistema istituzionale? Osserva Azzariti che “è necessario approvare entro brevissimo tempouna legge elettorale rigorosamente proporzionale” e rivoluzionare entro la fine della legislatura i regolamenti parlamentari.
Mi chiedo: basta un documento come quello dei capigruppo per aver garantito quel risultato? La risposta non può che essere negativa, visto che quel testo è talmente sulle generali da sconfinare nel generico. Certo ci sono buone intenzioni, delle quali, come si sa, sono lastricate le porte dell’inferno. Ma, battute a parte, quello che sgomenta di quel documento, è che sulla legge elettorale, oltre a dire che va fatta e presto, non si dice altro. Evidente segnale che sulla materia le posizioni dei firmatari sono tutt’ora più che distanti.
Intanto molti di noi sono dinanzi ad un interrogativo drammatico. Che suona più o meno così: posto che ci impegneremo per promuovere e vincere un referendum che bocci questa brutta legge costituzionale, intanto se dovessimo essere chiamati a votare per elezioni regionali o amministrative a chi daremo o daremmo il voto? Per quanto mi riguarda mi sento di dare solo risposte negative: no a forze più o meno dichiaratamente poluliste (Salvini in testa ma non solo Salvini). E il centrosinistra? Credo che dopo il voto di ieri in Parlamento dovrebbe darmi qualche garanzia in più sul fronte di essere veramente alternativo ad ogni tentazione antiparlamentare e anti politica. E intanto ringrazio il bell’accidente di non dover essere chiamato presto alle urne come invece capiterà prestissimo agli elettori dell’Umbria.
Siamo tutti più fragili
Guardando in televisione, con tanta indignazione e altrettanta rabbiosa amarezza, le immagini grottesche di alcuni parlamentari grillini che rottamavano poltrone di carta, ho pensato con tanta nostalgia ad un titolo di giornale di tanti e tanti anni fa. “Siamo tutti più liberi” dichiarava a tutta pagina l’ “Avanti!” su indicazione di Pietro Nenni. Ecco, pensavo, oggi potremmo dire che “siamo tutti più fragili“. Lo è il Parlamento che ha subito un taglio ragguardevole della sua composizione su richiesta ultimativa di un movimento politico, per il cui sponsor e in buona parte proprietario, la Casaleggio associati, le Camere tra poco saranno inutili e la democrazia sarà affidata a piattaforme digitali modello Rousseau. Lo sono le istituzioni, che in mancanza di una legge elettorale praticabile, almeno per un periodo che ci auguriamo non lungo, perdono elasticità e funzionalità. Lo sono soprattutto i partiti del centrosinistra (Pd, Italia Viva, Leu, Articolo 1), che quella legge hanno addirittura votato in cambio di una semplice dichiarazione di buone intenzioni.
Ed è più fragile anche il governo Conte, che potrebbe essere sempre più condizionato da Di Maio e da un suo eventuale asse con Matteo Renzi. Ieri, in una trasmissione televisiva, ad avanzare questa ipotesi è stato Paolo Mieli che osservava che, forse sì, la legislatura sarebbe stata blindata per mancanza di una legge elettorale praticabile, ma che questo non comportava automaticamente che fosse blindato anche il governo, sempre più esposto al peso (anche ricattatorio) di vecchi (i grillini) e recenti (i renziani) suoi sostenitori.
Ecco perchè a chi dice che, in fondo, questo era un prezzo che comunque si doveva pagare per consentire la nascita della maggioranza del dopo Salvini, e che quindi il voto del centrosinistra a questo “obbrobrio” era pressochè obbligato, mi sento di dire che tutto questo comporta un indebolimento complessivo della democrazia rappresentativa e soprattutto della sinistra inerme.
Si era detto che in questa nuova maggioranza il centrosinistra avrebbe provato a puntare ad una “parlamentarizzazione” dei Cinque Stelle. Con il voto di ieri e il taglio di deputati e senatori si è fatto un passo (e che passo) nella direzione opposta: quella di condizionare il Parlamento a quel populismo che pervade lo spirito del tempo. Quello per il quale al “paese reale” non importa nulla della diminuzione del numero dei parlamentari e del funzionamento delle istituzioni. Era quello che nel dopoguerra predicava Guglielmo Giannini, fondatore dell’Uomo qualunque. Durò poco, ma in fondo erano le prime prove nazionali di populismo e antipolitica. Allora il protagonista era l’ “uomo qualunque” che temeva di essere strangolato dalle tasse. Oggi lo è il paese reale, sempre più allergico a tasse e immigrati e sempre più infastidito dalla politica e dai suoi strumenti. Già si dirà: ma così abbiamo mandato via dal governo Salvini. Vero, ma se l’alternativa a Salvini è un’altra deriva populista, come quella di Casaleggio e Di Maio e magari di Renzi, forse il centrosinistra, con le sue pulsioni e vocazioni maggioritarie ha sbagliato qualcosa. E, forse, sarebbe il caso di cambiare strada.
E qui mi fermo sull’analisi di quanto avvenuto ieri. E pongo a me stesso la domanda che giustamente avanza il costituzionalista Gaetano Azzariti nel suo articolo di oggi su “Il manifesto“: ora che si sono bruciati i ponti cosa si può o, meglio, si deve fare per salvare il Parlamento e più in generale il sistema istituzionale? Osserva Azzariti che “è necessario approvare entro brevissimo tempouna legge elettorale rigorosamente proporzionale” e rivoluzionare entro la fine della legislatura i regolamenti parlamentari.
Mi chiedo: basta un documento come quello dei capigruppo per aver garantito quel risultato? La risposta non può che essere negativa, visto che quel testo è talmente sulle generali da sconfinare nel generico. Certo ci sono buone intenzioni, delle quali, come si sa, sono lastricate le porte dell’inferno. Ma, battute a parte, quello che sgomenta di quel documento, è che sulla legge elettorale, oltre a dire che va fatta e presto, non si dice altro. Evidente segnale che sulla materia le posizioni dei firmatari sono tutt’ora più che distanti.
Intanto molti di noi sono dinanzi ad un interrogativo drammatico. Che suona più o meno così: posto che ci impegneremo per promuovere e vincere un referendum che bocci questa brutta legge costituzionale, intanto se dovessimo essere chiamati a votare per elezioni regionali o amministrative a chi daremo o daremmo il voto? Per quanto mi riguarda mi sento di dare solo risposte negative: no a forze più o meno dichiaratamente poluliste (Salvini in testa ma non solo Salvini). E il centrosinistra? Credo che dopo il voto di ieri in Parlamento dovrebbe darmi qualche garanzia in più sul fronte di essere veramente alternativo ad ogni tentazione antiparlamentare e anti politica. E intanto ringrazio il bell’accidente di non dover essere chiamato presto alle urne come invece capiterà prestissimo agli elettori dell’Umbria.
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Guido Compagna
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