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Socialista con riferimenti a Gramsci e Berlinguer. Perché si

Ho letto e ascoltato reazioni, per lo più positive, alla “Rivoluzione socialista” di cui parla Enrico Rossi. Fra i commenti, i più stizziti sono stati quelli di alcuni esponenti che hanno vissuto gran parte della loro vita pubblica nel Psi, ma soprattutto nel Psi di Craxi. A loro ho dedicato su “Lettera 43” un post sostenendo che ciascuno ha il diritto di chiamarsi come gli pare, ma che il socialismo è all’opposto della destra, quindi coloro che hanno dirottato la propria navigazione nel centro-destra “sono stati” socialisti ma non “sono” socialisti.
Molti consensi, alcuni malumori, l’ira scontata di Stefania Craxi che da destra vuole difendere il socialismo del padre, mentre suo fratello Bobo dice che fu un errore il suo primitivo schierarsi con la destra. E’ del tutto evidente che questo mondo, dovunque sia, patisce l’offesa di uno scioglimento giudiziario. Patisce anche un giudizio su Craxi, che io non condivido, teso a rappresentarlo come uomo di malaffare o come avventuriero mentre molte sue intenzioni, soprattutto sulla Grande Riforma e sui “meriti e diritti” sono capisaldi di una moderna cultura socialista.

Va anche detto che Craxi molti denari li ha interamente spesi a sostegno di movimenti di liberazione, dal Cile alla Polonia e anche ai palestinesi di Arafat,  correggendo la propensione filo-israeliana del socialismo prima di lui. Personalità contraddittoria la sua, ma un caso storico-politico e non un caso giudiziario. Ho scritto questo più volte, ma il mondo ex socialista passato a destra odia tutto ciò che ha sapore di post comunismo. Me ne sono fatto una ragione e vivo bene lo steso.

Nella foto: Il libro “Rivoluzione socialista” di Enrico Rossi in libreria dai primi di luglio

Singolare però è che questo mondo a Enrico Rossi rimproveri il riferimento a Antonio Gramsci e Berlinguer. Vorrei sottrarmi al lato emotivo da gramsciano e berlingueriano. Ero a Verona, una poltrona dietro Berlinguer quando Craxi, dopo i fischi della platea, disse: ”Non ho fischiato perché non so fischiare”. Noi cronisti dell’Unità e di Rinascita facemmo blocco attorno al segretario. In quei momenti sentii quella platea come nemica. Me lo ricordo ancora. Mi ricordo di Martelli che definì Berlinguer un “neuro-comunista”. E poi mi ricordo i funerali di Enrico con quel popolo sterminato che gli rese omaggo e con noi che l’avevamo amato, come mai altri dopo, e che lo ringraziavamo perché un comunista come era lui era riuscito a portarci in tutte le case degli italiani con pacatezza, semplicità, stima.

Perché questo ostracismo verso Gramsci e Berlinguer? Gramsci è uno dei più importanti pensatori del Novecento. Non c’è cultura liberale che non si sia misurata con lui. I suoi testi coprono un arco di temi con una modernità sorprendente. La sua biografia va dai Consigli alla fondazione del Pcd’i alle critiche allo stalinismo che lo hanno messo ai margini del movimento pur ristretto nelle carceri fasciste.
Un comunista, ma un comunista non della sua epoca, direi della nostra. Alcuni hanno scritto che alla fine della sua vita rinnegò la sua fede iniziale. Non so. So che fu comunista come molti di noi si erano immaginati di dover essere comunisti. Liberi, leali, aperti alla modernità. Qual è la sua colpa? L’aver spaccato il Psi di Turati? Con la cultura di oggi possiamo dire che fu un errore, ma non con la cultura di ieri. E poi tutto ciò giustifica la derisione dei socialisti berlusconizzati e amici di Salvini verso chi, volendo ricostruire il socialismo italiano, pensa al più forte pensatore della sinistra italiana? Non commento.

Enrco Berlingur era amico dei socialisti e nemico di Craxi. Craxi voleva marginalizzare e spaccare il Pci. Nessuno dei due riuscì nell’impresa. Berlinguer fu un leader contraddittorio. Fu a lui che dobbiamo il primo vero forte distacco dall’Urss, negarlo è una cretinata storica. Berlinguer pose alla democrazia italiana, con grande pessimismo, il tema della sua coesione in epoca di crisi economica, di assalto della P2, di terrorismo.

Facile fare i maestrini ora. Berlinguer aprì il più importante cantiere di dialogo con la forza avversaria, la Dc, e il suo più grande leader, Aldo Moro. Craxi vide in questo dialogo una espulsione dl soggetto socialista e forse vide bene. Tuttavia senza uomini come Berlinguer e Pertini l’Italia sarebbe crollata. Negli anni delle Br il peso maggiore lo portammo sulle spalle noi. Berlinguer fece della questione morale una linea politica invece che una guida al comportamento. Lo fece alla chiusura della stagione del compromesso storico, anche a tutela delle compromissioni del Pci meridionale in cui molto affarismo si era infiltrato. Berlinguer, comunque, guardava al mondo che aveva davanti e aveva davanti un mondo che, mentre i pericoli avanzavano, si chiudeva in se stesso.

Dimenticate il patto del preambolo Forlani- Craxi, per tenere fuori il popolo del Pci dal governo del paese? Doveva Enrico porgere l’altra guancia? Non lo fece, e non lo fece con una caparbietà spesso nociva come con la scala mobile con l’atteggiamento sulla Fiat e con altre scelte, ma portò in salvo il suo popolo. Altri non lo fecero, non ci pensarono proprio a farlo. Per questo Berlinguer come figura iconica sta nel nostro Pantheon. E lì resta.

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