Piano inclinato

Sul “piano inclinato”: l’identità di sinistra

Sono gli «impolitici»
“Sono gli “impolitici”…. che…tengono saldi i princìpi a cui bisogna pur sempre, in un modo o in un altro, fare riferimento”
(Aldo Garosci 1983)

I La meta del nostro scontento

I tratti che caratterizzano la società italiana indicati da Massimo D’Alema in una intervista di Aldo Cazzullo ( Corriere della sera, 26 maggio) e successivamente ripresi, sono certo indicativi dello spazio che potrebbe occupare una nuova formazione—forse una “Alleanza per il cambiamento”, terreno di incontri e scontri oggi tra “Possibile”, “Sinistra Italiana”, “Campo progressista”. E soprattutto sono indicativi del progetto di costruzione di una nuova Identità della Sinistra in Italia. Dovrebbero partecipare al progetto anche quelle realtà della società civile che non fuoriescono dal frazionamento del ceto politico ma che provengono dalla società civile: comitati per il no , Libertà e Giustizia, i “cattolici democratici” .

Le indicazioni di D’Alema sono di grande interesse e più volte variamente rielaborate e riconsiderate ( Cfr M. D’Alema, Fondamenti per un programma della sinistra in Europa in Italianieuropei, 5-6 2016). Si tratterebbe di passare, in un modo o in un altro, da partiti immaginari ad un partito reale con un’organizzazione, un programma ,un elettorato. Meta e proposito ripresi e ripetuti in questi giorni , anche rinnovati (con le iniziative del sindacato contro i voucher, quelle di Anna Falcone e Tomaso Montanari al Teatro Brancaccio, quelle di Pisapia previste a Napoli e Roma, etc,) ma che restano insidiosi, difficili, contrastati. Solo qualche anno fa un presidente dell’Istituto Gramsci dichiarava di non sapere se era di destra o di sinistra (Il Foglio, 23 nov.2008)….

II Sono solo sondaggi , bellezza!

La frammentazione dell’identità politica risale “originariamente” alla svolta occhettiana dei primi anni Novanta e al successivo intreccio di retorica, malafede e smarrimento intellettuale che sempre in perdita ha pesato, e come! , a sinistra .
Intanto i sondaggi danno il Movimento Mdp- Articolo Uno intorno al 3% e Sinistra Italiana intorno al 2% . Bisogna presumere che una grandissima parte dell’elettorato di sinistra non sia stata raggiunta per poter pensare di pervenire ad una percentuale a due cifre prospettate da Nando Pagnoncelli pochi mesi fa (Corriere della sera, Febbraio 2017).
Del resto quale identità si possa costruire se nella pratica militante non si pone il problema della formazione di una volontà politica che si istituisce dalla e nella mobile ”moltitudine” di“sensibilità” parcellizzate e minoritarie , disperse nella cronaca di questi quasi due decenni del nuovo secolo, non è facile prevedere. In effetti è un po’ il paradosso dei gruppi dirigenti quello di non essere riusciti in passato a collegarsi con la “voragine a sinistra” ( pressocchè “un quarto della società italiana”) aperta nella “cronaca” col renzismo, ma “storicamente” scavata molto prima ( su che basi “sociali” la talpa ha scavato a Napoli rinvio al romanzo di formazione di Paola Ventre, Palazzokimbo, Milano, Neri Pozza 2016)

III Le parole per dirlo

Nella voragine indicata da D’Alema si ripropone in parte “il problema del rapporto tra spontaneità e organizzazione, tra lotta e sintesi politica, tra conquista di posizioni di potere e il loro uso generalizzato”, solo per dirlo con un grande “dirigente “classico”— (L. Pintor, Il partito di tipo nuovo, 4 settembre 1969).
Ma per come oggi siamo arrivati o ritornati al problema, possiamo dirlo—e farlo comprendere—col recente volume di Romano Prodi dal titolo significativo: Il piano inclinato (Bologna, Il Mulino 2017). Come nel suo stile, Prodi propone una sobria analisi non disgiunta da un sobrio programma—nei fatti utile a riempire la “voragine” menzionata e forse, magari, anche in grado di contribuire, freddamente a riorganizzare l’identità di sinistra, senza alimentare “passioni” che non diventano mai “volontà”. La psicoanalisi insegnava a non perseguire una identità permanente inscritta nella biologia o nel genere. Tanto più l’insegnamento dovrebbe valere per una identità provata e maturata nella storia stessa del Novecento (Cfr. U, Life within death: towards a metapsychology of catastrophic psychic trauma. International Journal of Psychoanalysis. 84, 4 2003).

IV Mediazione, dialogo, competenze

L’approccio di Prodi è “sociale” e si presta ad una concreta elaborazione politica. Pone risolutamente l’accento sulle disuguaglianze che scaturiscono nel contemporaneo , “perverso intreccio” tra globalizzazione, impatto tecnologico e finanze. Il motore del che fare viene individuato in ”un progetto globale di valorizzazione delle risorse umane” (p. 77), nella messa in atto di investimenti capaci di far “assumere e specializzare nuova mano d’opera” (p. 71), nella possibilità di impedire che il lavoro continui a perdere valore (p. 102) nella lotta ad ampio raggio alla disoccupazione, alla precarizzazione , alla frattura tra lavori ad alto e basso livello di specializzazione.

Nel testo vengono enumerate anche alcune “anomalie” italiane senza perciò risalire a Machiavelli, Leon Battista Alberti e Vico (come accade nella diaspora universitaria del PD), ma toccando i temi che interessano oggi una “sinistra di governo”. E che potrebbero dar luogo invece che a rispettabili testimonianze , ad un laboratorio politico dove analizzare , i ”conflitti” nella loro effettualità storico-materiale: a cominciare dalla “terribile piaga della criminalità”, dalla patologia dell’evasione fiscale, dalla “scomparsa delle grandi imprese”, dalle “incertezze legislative” e dalla “complessità dei processi decisionali”.
Lavoro, disuguaglianze, intervento pubblico sono prospettati in questo quadro come articolazioni di un territorio che richiede mediazione, dialogo, competenze. Prodi mette insieme funzionamento delle istituzioni, utopia, abbozzi di iniziative politiche ed economiche e sembra mettersi dalla parte della mediazione. Ma anche per il dialogo e le competenze non mancano dritte e contributi.
Peraltro sulle tematiche in questione si potrebbero consultare tra i “classiciGuido Calogero ( Filosofia del dialogo, Milano, Edizione di Comunità 1962), e per studi recenti Sabino Cassese (Territori e potere, Bologna, Il Mulino 2016). Potrebbero dare una mano al programma, chissà!

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