Tito Barbini: Il mio contributo per la prossima riunione di Articolo Uno del 12 Maggio a Roma
In questo anniversario, a duecento anni dalla nascita di Karl Marx e nel dibattito che si è aperto dopo la sconfitta storica della sinistra il 4 Marzo una domanda si è fatta via via più insistente dentro la mia testa: il comunismo è fallito, va bene. E poi? Insomma: le ragioni che hanno alimentato il comunismo e che il comunismo ha ridotto a torto, non è che siano venute meno. Norberto Bobbio lo diceva benissimo già nel 1989, con le macerie del Muro di Berlino ancora fumanti.
Badate bene, non si tratta a mio parere di proclamare l’attualità̀ del pensiero marxista, anche se un pensierino in questo senso lo stanno facendo in molti. Significa piuttosto interrogarsi sul significato della sinistra oggi. In cosa la sinistra oggi può e deve differire dalla destra? E se questa distinzione ha ancora un senso, come sono convinto, dove deve andare, la sinistra? Scrive ancora Bobbio: «Il comunismo storico è fallito. Ma la sfida che esso aveva lanciato è rimasta. Se, per consolarci, andiamo dicendo che in questa parte del mondo abbiamo dato vita alla società̀ dei due terzi, non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla maggior parte dei Paesi ove la società̀ dei due terzi, o dei nove decimi, è quell’altra. Di fronte a questa realtà̀, la distinzione fra destra e sinistra, per il quale l’ideale dell’uguaglianza è sempre stata la stella polare cui ha guardato e continua a guardare, è nettissima. Basta spostare lo sguardo dalla questione sociale all’interno dei singoli stati, da cui nacque la sinistra nel secolo scorso, alla questione sociale internazionale, per rendersi conto che la sinistra non solo non ha compiuto il proprio cammino, ma lo ha appena cominciato».
Questa citazione mi piace molto. Bobbio dice una cosa estremamente giusta, lo dice persino agli stati, alle potenze democratiche: non cantate vittoria, perché il comunismo ha avuto certo dei mezzi e degli strumenti sbagliati che non sono riusciti a realizzare determinati obiettivi anche utopici; tuttavia, quegli obiettivi, quei problemi sono ancora tutti sul tappeto. Quindi la verità̀ profonda del comunismo va, in qualche modo, onorata attraverso una capacità e effettiva di risolvere il tema dell’uguaglianza che oggi, a differenza di dieci anni fa, sta diventando sempre più evidente anche agli occhi di numerosi economisti. La caduta del Muro di Berlino venne descritta come la fine della Storia, la porta aperta verso un “paradiso” lastricato dal capitalismo. Ma che ne ha fa di questo paradiso? Lo vedete da qualche parte? La crisi globale produce da noi gli eterni precari, la tragica disoccupazione giovanile, la demolizione del welfare, la gigantesca evasione fiscale, la crescita di povertà̀ e disuguaglianza; altrove, decine di guerre, centinaia di milioni in fuga dalle guerre e dalla fame, milioni di sfruttati.
Poco importa che si appartenga a correnti di pensiero sideralmente lontane dal marxismo. Da tema umanitario – l’uguaglianza è giusta perché è giusto che gli uomini siano considerati uguali – questo sta diventando, finalmente, un tema fondamentale della stessa economia politica. I fatti parlano chiaro: se non si redistribuisce in modo profondamente diverso la ricchezza, è chiaro che non c’è consumo, né produzione, né possibilità̀ di sviluppo. Il pensiero dominante in Occidente pone un nesso inscindibile fra democrazia e capitalismo, come se uno fosse condizione dell’altra. Ma le cose stanno proprio così?
Un’altra domanda mi pare necessaria. C’è spazio per una democrazia che metta in discussione il sistema capitalistico? A partire dalla morte di Marx e per gran parte del secolo scorso il dibattito intorno a cosa fosse ‘vivo o morto’ della proposta marxiana ha occupato uno spazio enorme nel dibattito filosofico politico. Di questo dibattito, con particolare riferimento alla sua fase terminale, oramai stantia e sclerotizzata, chi scrive conserva un ricordo piuttosto distinto. Però non voglio riproporre l’ennesima interpretazione del Marx travisato di cui si sono riempite le biblioteche per decenni, prima del silenzio totale degli ultimi vent’anni. Tuttavia credo che il significato della sinistra storica, delle sue potenzialità̀ e delle sue concrete possibilità̀ vada rintracciato, almeno in parte, proprio nella lezione marxiana. Non mi sento un vecchio arnese, se dico che proprio lì ci sono intuizioni fondamentali, analisi puntuali. E anche idee semplici capaci di me ere insieme il cuore e un progetto che giustifica pienamente l’esistenza di una sinistra politica.
Altroche: è proprio in questo modo che mi sento di appartenere al presente e anche al futuro. Quel pensiero è vivo e capace di dialogare anche con gli interlocutori più inattesi, dal Papa ai think tank americani allo stesso Sanders e il laburista Corbyn. Meno vivi, piuttosto, sono quanti in questi anni hanno provato solo a liquidarlo, non per nobiltà̀ intellettuale ma per calcolo politico. Ritorno spesso alla celebre definizione del giovane Marx: “Il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato delle cose presente”. Un solo rigo, che esprime l’irruzione nella storia di una forma di pensiero del tutto radicale. Laddove la radicalità̀ non è estremismo, ma capacità e volontà̀ di misurarsi con la realtà̀. Di non rimanere rinchiusa nei volumi e nei seminari accademici.
Oggi la sola traccia profondamente identitaria che la sinistra ha sempre avuto – la vocazione a cambiare “lo stato delle cose presente” – sembra perduta. Vedo una sinistra italiana terrorizzata dai mutamenti in corso, capace addirittura di farsi denigrare come soggetto della conservazione, come freno alla possibilità̀ di costruire il futuro: il che è tutto dire. Se la sinistra dentro il progetto democratico di LEU ha un’idea di sé e qualcosa da dire riparta da qui. E facciamolo per bene, con toni e parole giuste, ché tanto tutto il resto è streaming. Ecco perché non penso che problemi di questo genere possano essere affrontati da una forza culturalmente e politicamente minoritaria, la quale inevitabilmente sarà̀ costretta a occuparsi di se stessa nel senso che le sue scelte saranno alla fin fine condizionate dalla difesa della propria identità.
Le riforme sono necessarie. Centrale è il problema del governo, ma esso non può ridursi al gioco del potere. Sarebbe grave se si perdesse il senso del problema irrisolto che sta di fronte all’Italia da almeno 20 anni: che è il dove va l’Italia come nazione, come insieme della società̀, come unità anche territoriale a fronte delle sfide del mondo nuovo. Non è un problema tecnico di riforme più o meno azzeccate, ma il problema di una nuova “associazione” del popolo italiano. Se una nuova sinistra non diventa lo strumento per una operazione del genere, essa non va lontano. L’immobilismo delle sinistre europee di fronte a processi che si potevano mettere in conto, quali l’internazionalizzazione dei sistemi d’impresa, la dislocazione dei capitali, la riconfigurazione dei mercati, la precarizzazione del lavoro, metteranno alla prova i sistemi di tutela delle organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori. Per non parlare dell’onda migratoria dal Sud del mondo, di questo nostro Mediterraneo che è insieme speranza e bara di milioni di vite. Anche questo prevedibile, certo.
Ma come faremo fronte a tutto questo? Inseguendo il populismo viscerale di tanta destra? Grande è la sfida: o ci stiamo, o non ci lascerà̀ sopravvivere. Ma cosa ci chiede davvero? Di tenere aperto “l’orizzonte del comunismo”, dopo il tramonto del comunismo realizzato novecentesco? È passato un quarto di secolo e a questa domanda ancora non so dare una risposta. “Nei tempi bui – diceva Brecht – cantiamo i tempi bui, poi verrà̀ anche per noi il tempo delle rose”. Purtroppo, il tempo delle rose non si è visto. In compenso abbiamo misurato sulla nostra pelle la cruda verità̀ di altre parole.
La frase che da il titolo all’ultimo romanzo di Tabucchi, prima della sua morte, è di Crizia, filosofo presocratico: “Inseguendo l’ombra il tempo invecchia in fretta”. Mi è tornata alla mente proprio ora, chissà̀ perché. O forse no, forse lo so bene. Certe questioni ci vuole tempo e ancora tempo, per regolare bene i conti. Poi si sa, c’è tempo e tempo. E il tempo che richiama Tabucchi in questi racconti non è solo il tempo personale o familiare, è anche il tempo della Storia che si incrocia con la vita degli uomini e delle donne. Anche della fragilità̀ di questo tempo siamo spesso poco consapevoli. A volte serve proprio un viaggio, per non sottovalutarla. Ho vissuto una speranza, o un’illusione, che poi mi ha abbandonato, scavandomi dentro una voragine. Ma questo è sufficiente per costringermi ogni volta davanti al tribunale delle coscienze? Perché dovrei sedermi tra gli imputati della storia, anzi della Storia con la esse maiuscola, come capro espiatorio di un sogno infranto? Piuttosto, vorrei che la nostra vita fosse come l’acqua che scorre: a volte irruenta e a volte placida, con i balzi delle cascate o con il lento fluire della pianura, però andando sempre avanti, avanti, senza lasciarsi imprigionare mai dai gorghi improvvisi.
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Foto in evidenza: Tito Barbini
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L’iniziativa pubblica di Artitolo Uno-MDP, dal titolo “Restart” si svolgera` sabato, 12 maggio, presso l`Hotel Radisson Blu (Via Filippo Turati 171). Alla manifestazione – che sara` aperta alle 10 da Roberto Speranza e si concludera` intorno alle 17 – parteciperanno dirigenti nazionali e locali del movimento e ospiti di altre formazioni della sinistra, tra cui Andrea Orlando, Gianni Cuperlo, Carlo Freccero, Rossella Muroni, Nicola Fratoianni, Luca Pastorino, Stefano Fassina, Anna Falcone e Andrea Pertici. Al centro della riflessione il ruolo di Liberi e Uguali e le prospettive della sinistra