Il 24 luglio è la Giornata della libertà di stampa in Turchia. O meglio, sarebbe. Perché è una giornata che non viene celebrata da anni, e viene solo ricordata dalle associazioni dei giornalisti. Quest’anno, poi, è ancora più carica di significato per una coincidenza che risulterebbe quasi ironica, se non fosse per la gravità della situazione. Proprio oggi, infatti, si è aperto a Istanbul il processo contro 19 persone, fra cui 17 giornalisti di Cumhuriyet, quotidiano di centro-sinistra e da sempre critico nei confronti del presidente Recep Tayyip Erdoğan.
Rischiano una condanna dai 7 anni e mezzo ai 15 anni l’ex-direttore Can Dundar, in esilio in Germania e processato in contumacia, l’attuale direttore Murat Sabuncu, i membri del consiglio di redazione e il giornalista investigativo Ahmet Sik. Pene tra gli 11 e i 43 anni sono stati richieste per amministratore delegato e dirigenti, mentre tra i 9 e i 29 anni per i giornalisti Hikmet Aslan Cetinkaya, Bulent Utku, Hakan Karasinir, Mustafa Kemal Gungor e per il vignettista Musa Kart.
L’accusa è di avere sostenuto tre organizzazioni terroristiche: il movimento di Fethullah Gülen (sospettato dal governo di essere la mente dietro il tentato golpe del 15 luglio 2016), il partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), fuori legge in Turchia, e il gruppo di estrema sinistra DHKP-C.
«Vogliamo giustizia», titola oggi Cumhuriyet. Fuori dall’aula, cartelli che recitano «il giornalismo non è un crimine», branditi da una folla di cittadini, deputati dell’opposizione, giornalisti e attivisti per i diritti umani a sostegno degli imputati.
Fra coloro sotto processo – sottolinea Murat Yetkin su Hurriyet Daily News – ci sono, ad esempio, Kadri Gürsel, che ha sempre preso posizione sia contro il PKK che contro i gulenisti, e il sopraccitato Ahmet Şık, che ha passato due anni in carcere per aver scritto un libro – mai pubblicato – sulle malefatte della rete di Gülen, all’interno dello Stato, sotto il partito di governo AKP.
Secondo l’Associazione dei Giornalisti Turchi, sono 159 giornalisti e lavoratori della comunicazione e dell’informazione che attendono in prigione la conclusione dei procedimenti a loro carico. Molti sono in carcere con l’accusa di essere membri o avere aiutato un’organizzazione terroristica oppure per spionaggio durante lo stato di emergenza dichiarato dopo il tentato golpe. Nell’ordinamento turco, infatti, non è prevista la censura. “La stampa è libera e non può essere censurata”, secondo il 28° articolo della Costituzione turca. Ma il presidente Erdoğan lo interpreta a modo suo.