Un voto contro tutti i populismi: il voto a ‘Liberi e Uguali’
Nel Novembre 1863 Abramo Lincoln, sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America (dal 1861 al 1865), che fu l’artefice dell’abolizione della schiavitù, pronunciò a Gettysburg (Pennsylvania) un memorabile discorso in cui, dopo aver richiamato il «principio che tutti gli uomini sono creati uguali», auspicava e si impegnava in prima persona a che «l’idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra»: dunque il governo, secondo Lincoln, emanava dal popolo, doveva essere esercitato in suo nome (essere del popolo, attraverso i suoi rappresentanti) ed operare in suo favore (doveva costantemente agire, con misure adeguate, per il popolo). E tutti ricordiamo che l’art. 1 della nostra Costituzione (approvata nel dicembre 1947), al comma 2, stabilisce che «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione»: e quindi “il popolo” è il titolare della sovranità e la esercita attraverso i suoi rappresentanti secondo i precetti della Carta costituzionale, come avviene nei sistemi moderni di democrazia rappresentativa. Da entrambi questi alti riferimenti si ricava: intanto, che occorre definire chi sia esattamente “il popolo“, e poi che bisogna specificare come la titolarità del potere si possa, o meglio si debba, convertire nel suo esercizio.
Nadia Urbinati come a molti è noto è docente di Teoria Politica alla Columbia University di New York (la stessa dove ha insegnato, per 15 anni, anche il compianto Giovanni Sartori, scomparso nell’aprile 2017, autore di contributi fondamentali alla teoria della democrazia. Il suo eccellente – forse non è esagerato definirlo imprescindibile – testo italiano “Democrazia. Cosa è“, edito da Rizzoli, è stato – nella versione originaria inglese, uscita in due volumi nel 1987 con il titolo “The Theory of Democracy Revisited” – adottato e studiato, come libro di testo, in molte Università del mondo). Urbinati si è dedicata da molti anni (fra l’altro) allo studio della Teoria della democrazia in tutti i suoi aspetti, e ad esso ha fornito approfondimenti di grande valore. Due fra le sue opere più importanti sono intitolate (nelle versioni in italiano) l’una “Democrazia rappresentativa” (un testo del 2006, edito in Italia da Donzelli nel 2010) e l’altra “Democrazia sfigurata” (un testo pubblicato in Italia prima nel 2014 da EGEA e ripubblicato nel dicembre 2016 dalla UBE Paperback). Nel secondo dei testi citati l’autrice scrive che i due fenomeni che rendono la democrazia irriconoscibile (“sfigurata“, come nel titolo) sono il “populismo” ed il “plebiscitarismo“, in quanto questi alterano l’equilibrio che sta alla base della democrazia rappresentativa (quella che, ricordiamo, Norberto Bobbio ha definito “la democrazia dei moderni“, opposta a quella “degli antichi” che consisteva nella sua forma “diretta“, che era quella, spesso mitizzata, degli ateniesi dell’età di Pericle, nel V secolo a.C., e che Bobbio definì “insensata” in società complesse come quelle di oggi. Altro è la “partecipazione” dei cittadini, che va incentivata nelle forme possibili).
Il populismo compare qua e là nel testo di Urbinati, ma ad esso è interamente dedicato un lungo ed intenso capitolo denominato appunto “Il potere populista” (di estremo interesse concettuale i paragrafi intitolati, l’uno, “Movimenti sociali e populismo” – che chiarisce bene la differenza fra gli uni e l’altro: capita spesso di leggere che i populisti si proclamino “popolari” e rifiutino, talvolta sdegnosamente, l’altro appellativo. Lo si è letto anche in questi giorni, da parte della rappresentante di uno dei populismi italiani – e l’altro, “Introduzione al populismo“, di fondamentale importanza per la comprensione del fenomeno, dei tratti che lo caratterizzano e delle finalità che persegue. Significativo l’incipit: «Il populismo afferma di sostenere e praticare una democrazia antagonista … inaugura una più profonda unificazione delle masse intorno a una narrazione egemonica e a un leader carismatico che la impersona»); altri due dei paragrafi di cui quel capitolo si compone sono intitolati l’uno “Il popolo“, l’altro “Populus e plebs“, volti ad illustrare e commentare il senso che il populismo attribuisce al concetto di popolo (categoria sociale diversa dalla plebe). Che in sé non è semplice come potrebbe sembrare: «”Il popolo” è tra le categorie politiche forse la più abusata … L’origine del termine è latina. Nella tradizione romana, il popolo ha mantenuto il significato di opposizione/distinzione in relazione a un altro gruppo di cittadini romani che non era popolo: … l’aristocrazia, ossia la classe dei patrizi … Fin dalla sua origine ha avuto una connotazione collettiva in quanto l’opposto di una mera aggregazione di individui … Era un intero, che esisteva a fronte di un altro intero o gruppo organico, sebbene più piccolo, quello di coloro che non erano comuni cittadini», riporta Urbinati dal testo citato del grande politologo fiorentino. E continua scrivendo, per andare al tema del populismo, che «L’immaginazione populista dipinge il popolo come un attore politico che afferma la sua autorità sovrana rimanendo in un permanente stato di mobilitazione. Ottiene questo risultato esasperando la polarizzazione ideologica. Il suo schema principale è il dualismo fra politica indiretta e politica diretta, fondato su un significato di “popolo” che non appartiene alla tradizione democratica» e che, si può aggiungere, non tiene visibilmente conto della complessità delle società odierne, anche in relazione alla disponibilità fisica delle persone non solo su base permanente, ma anche soltanto per periodi protratti lungamente (il paradosso del “cittadino totale“, lo definì Ralf Dahrendorf ). Ognuno di noi lo potrebbe testimoniare.
Naturalmente non è possibile condensare in poche righe un capitolo che ha lo spessore di un vero e proprio saggio – oltre 60 intense ed ampie pagine -, ma si possono almeno sommariamente ricordare le tesi principali che l’Autrice espone – con dotti richiami a molti studiosi sia stranieri che italiani; fra questi ultimi, pensatori della statura di Machiavelli, Gramsci, Mazzini ed altri – e che sono lo scopo della sua fatica: «il carattere principale e riconoscibile del populismo – scrive – è l’ostilità contro il liberalismo [si badi: non il “neoliberismo“, che è altra cosa – NdC] e i principi della democrazia costituzionale … è una contestazione radicale della democrazia rappresentativa [ed anzi è] una deformazione della democrazia rappresentativa». Il populismo – che è «una politica non di inclusione ma di esclusione» – è sempre intriso di demagogia («La demagogia … è una prassi politica che poggia sul sostegno delle masse secondandone e stimolandone le aspirazioni irrazionali ed elementari, distogliendole dalla reale e cosciente partecipazione attiva alla vita politica. Questo avviene mediante facili promesse, in seguito impossibili da mantenere, che tendono ad indicare come gli interessi corporativi della massa popolare, o della parte più forte e preponderante di essa, coincidono, al di fuori di ogni logica di buon governo, con quelli della comunità nazionale presa nel suo complesso», è la descrizione che si legge nel “Dizionario di Politica” di Bobbio/Pasquino/Matteucci, ed. UTET – NdC); per svolgere le sue tesi l’autrice sostiene che sia «illuminante utilizzare l’analisi della demagogia al fine di spiegare il rapporto conflittuale del populismo con la democrazia».
E’ anche interessante richiamare un paragrafo che confronta i populismi europei (che hanno «seguito per lo più politiche di destra») con quelli dell’America in generale e dell’America latina in particolare (dove essi sono spesso visti «come processi di riequilibrio egemonico all’interno del blocco di potere ottenuto attraverso l’incorporazione dell’ideologia popolare democratica delle masse»). Esistono differenze storiche e di contesto sociale che spiegano le differenze fra gli uni e gli altri e non autorizzano alle “traduzioni” trans-continentali che non di rado vengono auspicate e perfino presentate come possibili: la studiosa conferma il suo giudizio di fondo, scrivendo che «sebbene regolarmente rivendichi politiche più popolari, il populismo, se realizzato con successo, sconvolgerebbe la democrazia costituzionale e la politica dei diritti che essa rappresenta».
D’altra parte, quanto ha scritto sul tema uno scienziato della politica del valore e della collocazione politica di Marco Revelli (“Populismo 2.0“, Einaudi 2017) non differisce, nella sostanza, dal giudizio della brillante docente/saggista (di orientamento maggiormente “liberal“, data anche la sua consuetudine con il mondo americano): anche lui scrive che il populismo è «sintomo di un male più profondo della democrazia», della quale è «malattia infantile all’inizio del ciclo democratico» per assumere il carattere di «malattia senile…nelle democrazie mature»; e per descriverlo sinteticamente richiama la definizione che ne è stata data di «un’ideologia che considera la società fondamentalmente separata in due gruppi omogenei e antagonistici, “il popolo puro” versus “l’élite corrotta”, e che sostiene che la politica dovrebbe esserre espressione della “volontà generale” del popolo»; il docente piemontese osserva che «il populismo post-novecentesco è una “rivolta degli inclusi” messi ai margini» e che «la “sindrome populista” è il prodotto di un “deficit di rappresentanza”». Revelli non manca, nello svolgimento della sua analisi, di includere anche il “neo-populismo“, citando la corposa descrizione che ne fa il già richiamato “Dizionario di Politica” al lemma relativo (essenzialmente individuato come “il rapporto nuovo tra populismo e politiche economiche neoliberiste manifestatosi di recente nelle vicende politiche di regioni come l’America latina e l’Europa continentale … il neopopulismo si appella direttamente ai settori sociali non organizzati, oltrepassando le organizzazioni già esistenti“). Dunque Revelli definisce il populismo come malattia, sindrome, deficit: siamo comunque in un campo di patologia. Il populismo come patologia della democrazia. La medesima posizione di Nadia Urbinati.
Un anno fa Revelli concludeva il suo testo con la descrizione dei “tre populismi italiani”: il “telepopulismo berlusconiano”, il “cyberpopulismo grillino” e, infine, il “populismo dall’alto” di Matteo Renzi. Oggi, indubitabilmente, quella descrizione andrebbe completata con l’aggiunta di un neo-nato quarto populismo, che si può definire “populismo di sinistra” oppure – e forse più correttamente – “populismo dal basso“, del tutto rientrante (è sufficiente analizzarne, anche superficialmente, discorsi, interviste, interventi di qualunque tipo) nelle analisi profonde e documentate elaborate – per i caratteri distintivi, per i modi i fini le conseguenze – da Nadia Urbinati e da Marco Revelli sul fenomeno populistico.
Per tornare, prima di concludere, all’altro dei due poli richiamati all’inizio – oltre al “popolo“, di cui si è detto, il “potere” – è utile ricordare quanto osservato nel fondamentale testo di Sartori. Il paragrafo 2.4 della versione italiana è intitolato “Potere del popolo sul popolo“; in esso si legge: “[Il popolo] non è una nozione semplice. Ma le vere difficoltà cominciano quando si arriva all’accoppiamento del concetto di popolo con quello di potere. Il problema del potere non investe tanto la titolarità quanto l’esercizio: il potere, in concreto, è di chi lo esercita, di chi sta dove si trovano le leve del potere. Com’è che il popolo – comunque inteso – può essere un effettivo detentore di quel potere di cui è dichiarato titolare? … I sistemi democratici moderni si imperniano su regole maggioritarie (il mandato spetta a chi ottiene più voti, e il comando viene esercitato da chi detiene più seggi in Parlamento), su meccanismi elettivi e sulla trasmissione rappresentativa del potere. Ciò vuol dire che il popolo che conta è soprattutto quella porzione che rientra nelle singole maggioranze elettorali vittoriose … Nessuno sa come costruire altrimenti un sistema democratico operante … Potere del popolo è solo un’espressione ellittica: il potere si esercita su un destinatario, il governare suppone dei governati. Potere popolare su chi? Democrazia è potere del popolo sul popolo, governo del popolo sopra se stesso … Se i controllati si sottraggono al controllo dei controllori, il governo sul popolo rischia di non avere niente a che vedere con il governo del popolo” – con buona pace di Lincoln e del discorso di Gettysburg, si potrebbe aggiungere.
Parole chiarissime, che fanno una distinzione netta e del tutto razionale fra la democrazia rappresentativa con i suoi meccanismi e le velleità di chi cerca di ottenere effetti di mobilitazione sulla base di parole d’ordine irrealizzabili, anche partendo dalla denuncia di problemi insufficienze ingiustizie reali: è la differenza fra il riformismo, anche in forme “radicali” (che punta alle soluzioni), e la demagogia (della quale si alimenta il populismo, che per tutto quanto si è visto è un pericolo per la democrazia rappresentativa).
Anche su queste cose dovremo votare il prossimo 4 Marzo: chi vorrà esprimere il consenso per una forza democratica e progressista, che si pone l’obiettivo di (ri)costruire una sinistra riformista di governo, dotata di un programma serio e realizzabile (illustrato a http://liberieuguali.it/programma/), per la giustizia e l’equità sociale, per il lavoro e per i diritti, per lo sviluppo del Paese e la riduzione delle disuguaglianze, contro i populismi e le demagogie di qualunque tipo, potrà farlo molto semplicemente ma efficacemente: votando per “Liberi e Uguali”.
Buon voto a tutti.