Più che una gentile richiesta, quella del Direttore è stata una vera e propria precettazione. Luigi e Jurj, mi raccomando, penna e bloc-notes e riportate impressioni, suggestioni ed interventi della manifestazione del 3 dicembre. Il conflitto generazionale si manifesta immediatamente, allorquando ho dovuto spiegare al giovanissimo compagno modenese che il bloc-notes altro non è che un tablet in formato cartaceo. Non ho saputo leggere con esattezza la sua espressione, forse di compassione, forse di disappunto. Forse entrambe. Comunque, chiarito il punto, al lavoro e alla lotta.
Il meteo annunciava una domenica uggiosa e uggiosa lo è stata sino alle otto del mattino. Dopo, inaspettatamente rispetto alle previsioni, il sole ha avuto la meglio sulle nuvole. Fatto da me immediatamente interpretato come presagio positivo.
Arrivato all’Atlantico Live, mi sono posto immediatamente due domande. Perché una struttura che si trova in Viale Oceano Pacifico si chiami “Atlantico Live” e, vista la coda già consistente, se per l’ennesima volta l’organizzazione non avesse scelto una struttura troppo piccola per accogliere tutti coloro che, in qualche modo, avevano già annunciato la loro partecipazione. Mai timore si rivelò più fondato. Mezz’ora prima dell’annunciato inizio della manifestazione la platea riservata ai delegati era quasi piena, mentre completamente piena l’area riservata agli invitati. Insomma, oltre 5000 presenti per una struttura che ne poteva contenere 3500!
Maxi schermo pronto all’esterno e si comincia. Conduce dal palco il giornalista televisivo Luca Telese che conferma ciò che sembrava essere solo una leggenda metropolitana: il tubo catodico, la TV, “sfina” moltissimo.
Telese può, a ragione, definirsi un animale da palcoscenico e scalda immediatamente cuore e mani dei presenti annunciando che è in campo una nuova sinistra che tenta di offrire qualcosa di nuovo al Paese. C’è molta curiosità nel conoscere quali saranno i rappresentanti della società civile che Piero Grasso ha voluto portassero la loro testimonianza. Il primo chiamato a parlare è Alessio Pascucci, 35 anni, sindaco di Cerveteri e ricercatore. Hanno tentato di corromperlo offrendogli 375.000 euro affinché cambiasse la destinazione d’uso di un suolo nella città da lui amministrata. Non solo non ha accettato la somma ma, caso non comune, li ha pure denunciati. Non l’hanno presa bene ed è da tempo oggetto di intimidazioni e minacce di ogni tipo. Questo è quanto racconta Telese, lui, Alessio Pascucci, racconta invece delle difficoltà dei sindaci ad assolvere ciò che la Costituzione prevede assolvano: garantire i bisogni essenziali dei cittadini, quei i servizi, cioè, che una normale comunità civile e democratica dovrebbe essere in grado di erogare. Se Pascucci è tra noi non è solo perché, probabilmente, sarebbe stato istituzionalmente scortese rifiutare l’invito del Presidente del Senato, quanto piuttosto probabilmente consapevole di sfondare una porta aperta. E’ infatti uno dei pilastri del programma economico della “nuova sinistra” quello di non solo coinvolgere i sindaci negli investimenti a tutela del patrimonio culturale, ambientale e idrogeologico del territorio nazionale, ma di destinare maggiori risorse ai comuni proprio per incrementare e migliorare i servizi essenziali a favore delle comunità locali.

I due interventi successivi, al di là di ciò che rappresentano e di ciò che dicono, mi riportano indietro di tanti (troppi) anni e a ricordi decisivi per la mia formazione. Francesca Chiavacci, Presidente nazionale dell’ARCI, l’ho conosciuta più di 35 anni fa quando entrambi militavamo nella FGCI di Firenze. Il tratto è sempre lo stesso, tanto dolce nel rappresentare le proprie posizioni e idee, quanto tostissima e determinata nel difenderle. Simone Siliani, Direttore della Fondazione di Finanza Etica, ci ricorda che durante i dieci anni della più grave crisi economica del dopoguerra c’è chi si è comunque arricchito. E tanto. Se, infatti, l’1% della popolazione mondiale detiene il 50,01 della ricchezza totale qualcosa di profondamente distorto si è manifestato e realizzato nelle società, e non è più tempo di assistere passivamente, di ritenerlo ineluttabile e immodificabile. Simone l’ho conosciuto quando era assessore della Regione Toscana con delega alla cooperazione internazionale. Realizzò qualcosa di unico, di incredibile: a pochissimi anni dalla fine della guerra, quando le macerie materiali e umane erano ancora visibili e palpabili, riuscì a riunire intorno ad un unico tavolo diverse comunità locali appartenenti ai vari Stati sorti dalla disgregazione dell’ex Jugoslavia. Il progetto “Ricostruire i ponti del dialogo” aveva come logo proprio il Ponte Vecchio di Mostar, quello distrutto dalle milizie croato-bosniache e il cui autore, condannato per crimini di guerra, si è recentemente e platealmente suicidato. La firma del protocollo di intesa nell’isola di Brioni fu un momento emozionante. Rinvangare certi episodi non è esercizio nostalgico, anche se è legittimo avere nostalgia della propria giovane età, ma vuole testimoniare la circostanza che le utopie, a volte, sono realizzabili. Simone riuscì a realizzare quella che allora era la sua, noi (da ieri) siamo chiamati a realizzarne un’altra.

Tutti gli altri interventi meriterebbero un intero articolo. Da quello di Civati, con la sua naturale e immancabile ironia e l’augurio che veda la luce una comunità politica libera, uguale e, sottolinea, fraterna. E che dopo la legislatura delle promesse tradite, si realizzi la nostra promessa di un’Italia più giusta. Le nostre parole d’ordine, ricorda, non sono “vecchie” ma “antiche”, ma non per questo inattuali. O di Fratoianni, che parla delle difficoltà del cammino fatto e da fare, ma anche della passione che lo ha animato e che sicuramente lo animerà. Di Roberto Speranza che si è avvicinato alla politica negli anni delle stragi mafiose e degli omicidi di Borsellino e Falcone. Il testimone di quei due onesti ed integerrimi servitori dello Stato lo raccolse proprio Grasso e se Grasso ha accettato di condividere questa nuova sfida, dice Speranza, allora è verosimile affermare che ci troviamo dalla parte giusta.
Già, Piero Grasso. Parla alla fine, dopo gli altri “Grasso Boy’s”. Dopo Gianni Bottari (Alleanza contro la povertà), Andrea Bortoli (FARM CULTURAL PARK), Rossella Muroni (Presidente di Legambiente).

Il suo è un intervento non solo bellissimo e appassionato, ma che non concede nulla alla retorica e che può essere riassunto nel “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E’ il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione della Repubblica Italiana. Sarà la base del nostro programma politico, sociale ed economico. E’ ciò che ha ispirato il nostro nome: “Liberi e Uguali”. E’ tanto bello quanto impegnativo. Sicuramente più impegnativo di un collegio sicuro offertogli a più riprese dal PD. Più impegnativo del ruolo di preziosa “riserva della Repubblica”, intesa magari come guida di un prossimo governo di larghe intese. La sfida, invece, è battersi per realizzare quello che definisce un “progetto visionario”, una nuova alleanza di popolo che sia in grado di fermare l’onda nera fascista che tenta di far prevalere la paura per innescare la reazione. La sfida è battersi per ciò che ci unisce, coltivare e tenere vivo il nostro “lievito madre”.
Il lievito madre: è stata la sorpresa e l’elemento che forse inaspettatamente ci ha resi da ieri ancora più coesi e convinti. Merito di Laura Tarantino, dipendente in cassa integrazione della società dolciaria “Melegatti”. Dallo scorso agosto la produzione è ferma, ma da allora e volontariamente, tutti i giorni i maestri pasticcieri sono lì, nello stabilimento, a curare e tener vivo il “lievito madre”, l’elemento senza il quale nessuna produzione potrà riprendere.

Nella foto: L’intervento di Pietro Bartolo, medico condotto di Lampedusa

E quale sia il nostro lievito madre è apparso evidente dall’intervento che ha sicuramente emozionato più di tutti, quello di Pietro Bartolo, medico condotto di Lampedusa. Un uomo che da circa 20 anni salva vite umane. Quelle degli ultimi, dei migranti. Ed è stato possibile salvarle perché nessun muro è stato eretto, nessun filo spinato ad impedire il sogno di una vita migliore. Molte non riesce a salvarle e vive la circostanza come un peso, una sconfitta. Un peso, una sconfitta che riguarda tutti noi. L’immigrazione, scandisce, è un fenomeno non un problema e, fenomeni e problemi, necessitano di analisi e soluzioni diverse, diversissime. Quanto cinismo politico ci può essere all’interno di una inaccettabile distinzione tra migranti economici e coloro che scappano dalle guerre? C’è differenza tra il morire di fame o per un’arma da fuoco? Bartolo mi commuove e mi emoziona. Faccio fatica a trattenere le lacrime ma mi consolo immediatamente: tutti intorno a me hanno le lacrime agli occhi mentre gli tributiamo una standing ovation. Sono emozioni positive, sono una carica di energia enorme; sono le parole di Lelio Morra la cui canzone (Dedicato a Chi) fa da colonna sonora a conclusione della manifestazione:

“Dedicato a chi non ha mai smesso di combattere
a chi… ha un obiettivo da raggiungere
a chi… non ha paura mai di vivere, vivere, vivere
Dedicato a noi
che siamo pronti per cambiare il mondo
noi…che siamo ancora in grado di sognare
noi… che abbiamo tutto quanto da vivere, vivere, vivere”.

Per oggi è finita. Mio figlio dalla balaustra difronte mi saluta e mi manda un bacio. Prova le mie stesse emozioni, il mio stesso entusiasmo. E’ pronto a ricevere il testimone. Siamo pronti a passarglielo. Sì, ha ragione Speranza: siamo dalla parte giusta.

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