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Christophe Guilluy: Le fratture della Francia sono profonde. I gilet gialli sono solo un sintomo

Traduzione parziale dell’articolo di Christophe Guilluy (il geografo francese che ha mappato la France périphérique) pubblicato sul Guardian (“France is deeply fractured. Gilets jaunes are just a symptom”, 2 dicembre 2018).

https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/dec/02/france-is-deeply-fractured-gilets-jeunes-just-a-symptom

Dagli anni ’80 in poi è diventato chiaro che c’era un prezzo da pagare per l’adattarsi delle società occidentali a un nuovo modello economico; e quel prezzo era sacrificare la classe operaia europea e americana. Nessuno pensava che le ricadute avrebbero colpito anche le fondamenta della classe media. Adesso, tuttavia, è ovvio che il nuovo modello non solo ha indebolito i margini del proletariato, ma l’intera società.

Il paradosso è che questo non è il risultato del fallimento del modello economico globalizzato, ma il suo successo. Nei recenti decenni, l’economia francese, così come le economie europee e americane, ha continuato a creare ricchezza. Quindi, in media, siamo più ricchi. Il problema è che, al contempo, la disoccupazione, l’insicurezza sociale e la povertà sono aumentate. La questione centrale, quindi, non è se l’economia globalizzata sia efficiente, ma cosa fare con questo modello quando non riesce a creare e a far crescere una società coesa?

In Francia, così come in tutti i paese occidentali, siamo passati in pochi decenni da un sistema che economicamente, politicamente e culturalmente includeva la maggioranza della persone a una società iniqua che, creando sempre più ricchezza, favorisce chi è già ricco.

Il cambiamento non dipende da un complotto, dalla volontà di emarginare i poveri, ma da un modello dove il lavoro è sempre più polarizzato. Tutto ciò è accompagnato da una nuova geografia sociale: l’occupazione e la ricchezza si sono concentrate sempre più nelle grandi città. Le regioni deindustrializzate, le aree rurali, le città di piccola e media dimensione sono sempre meno dinamiche. Ma è in questi luoghi – nella “Francia periferica” (e si potrebbe anche parlare di America o Gran Bretagna periferica) – che vivono molte delle persone appartenenti alla working class. Quindi, per la prima volta, i “lavoratori” non vivono più in aree dove viene creata l’occupazione, portando così a uno shock culturale e sociale.

È nella Francia periferica che è nato il movimento dei gilet gialli. Ed è in queste regioni periferiche che il movimento populista occidentale ha la sua origine. L’America periferica ha portato Trump alla Casa Bianca. L’Italia periferica – il mezzogiorno, le aree rurali e le piccole città industriali del nord – è la sorgente dell’ondata populista del paese. Questa protesta è portata avanti dalle classi che, in passato, erano il punto di riferimento fondamentale per un mondo politico e intellettuale che le ha dimenticate.

Quindi, se l’aumento del prezzo del carburante ha dato vita al movimento dei gilet gialli, questa non è comunque stata la causa scatenante. La rabbia è più profonda, il risultato di una retrocessione economica e culturale che è iniziata negli anni ’80. Al contempo, logiche economiche e territoriali hanno imprigionato il mondo delle élite. Questo isolamento non è solo geografico ma anche intellettuale. Le metropoli globalizzate sono le nuove cittadelle del Ventunesimo secolo – ricche e inique, dove anche l’ex ceto medio-basso non trova più posto. Al contrario, le grosse città globali funzionano su una doppia dinamica: la gentrificazione e l’immigrazione. Questo è il paradosso: la società aperta porta a un mondo sempre più chiuso alla maggioranza dei lavoratori.

Il divario economico fra la Francia periferica e le metropoli illustra la separazione fra un’élite e l’hinterland popolare. Le élite occidentali hanno gradualmente dimenticato un popolo che non riescono più a vedere. L’impatto dei gilet gialli e il sostegno che hanno nell’opinione pubblica (otto francesi su dieci sono d’accordo con le loro azioni) hanno colpito i politici, i sindacati e gli accademici, come se avessero scoperto una nuova tribù delle Amazzoni.

Il punto, ricordiamocelo, dei gilet gialli è di fare in modo che chi lo indossa possa essere visto sulla strada. E qualunque sia il risultato di questo conflitto, i gilet gialli hanno vinto su quello che conta davvero: la guerra della rappresentazione culturale. Le persone di ceto basso e di ceto medio-basso sono nuovamente visibili e, assieme a loro, i luoghi in cui vivono.

Il loro bisogno, in primo luogo, è di essere rispettati, di non essere più visti come “deplorevoli”. Michael Sandel ha ragione quando sottolinea l’incapacità delle élite di prendere sul serio le ambizioni dei più poveri. Queste ambizioni sono semplici: la preservazione del proprio lavoro e del proprio capitale sociale e culturale. Per questo per avere successo dobbiamo mettere fine alla secessione elitaria e adattare l’offerta politica della sinistra e della destra alle loro richieste. La rivoluzione culturale è un imperativo democratico e sociale – nessun sistema può restare in piedi se non integra i propri cittadini più poveri.

Foto in evidenza: Gilets gialli protestano di fronte all’Opera di Parigi (Photograph: AFP/Getty Images)

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