Giornata della memoria

La memoria e le parole

Il Giorno della Memoria ci spinge a condannare il filo spinato di Auschwitz, a impietosirci delle figure scheletriche di Mauthausen e dovrebbe convincerci a evitare che nella neve del dicembre serbo i migranti vengano esposti a condizioni bestiale. Non è detto che lo faccia, e la cosa più triste è che il doverlo ricordare espone piuttosto ai lazzi e agli strepiti degli antimoralisti e cattivisti di professione, fieri di opporsi alla melassa dell’ideologia dominante, a qualsiasi costo e verso qualsiasi direzione.

Certo, contro-strepitare sospirando è segno davvero di cattivo moralismo, e poiché i costi e le direzioni contano, conviene non indulgere nell’indignazione. Sempre più spesso, del resto, gli storici accorti dell’importanza dei riti civili funzionali a una comunità, segnalano l’insufficienza e l’anacronismo del Giorno della Memoria, che pure è stato piuttosto recentemente istituito. Lo scorso anno Marco Bresciani dell’Università di Zagabria – attivo quindi in un contesto il cui il rapporto tra passato e presente ha un’urgenza più visibilmente immediata che da noi – ha avvertito come quella data fosse stata calendarizzata e ritualizzata in un mondo diverso da quello di oggi, in cui spiccava la fiducia nell’ONU e nella solidità del progetto europeo, garanzia di una linea di progresso e di un’estensione dei diritti avvertita come inesorabile (e all’interno della quale la vicenda dell’ex- Jugoslavia era sì una macchia ma letta come un’esperienza residuale del passato). Attraverso un processo intellettuale che veniva evidentemente da ben più lontano degli anni ’90, veniva dunque ipostatizzato il Male, ciò che non doveva accadere Mai Più, segnando al tempo stesso uno spartiacque (astorico) tra il passato e il futuro, e al tempo stesso un filo teso tra presente e passato, di modo tale che il passato fungesse da monito e guida per le tensioni del presente.

Quel contesto (non solo quello europeo, ma il più generale ordine liberaldemocratico occidentale) che garantiva del Giorno della Memoria si è eroso, e il Giorno della Memoria assolve con sempre maggiore difficoltà a quella funzione, anche perché quell’estensione di diritti sul piano internazionale non si é realizzata; così, la Giornata rischia spesso e volentieri di catalizzare le reazioni opposta (dall’insofferenza verso l’eccezionalismo ebraico al ripudio della ). La risposta a questo processo non si dà però, ovviamente, al riguardo della Giornata stessa (se abolirla, rilanciarla, etc.) in sé, ma su un piano più generale. Il problema non è cioè la memoria, ma le coordinate entro cui viene posta e letta. Non é possibile esaudire in queste righe il problema, che però mi pare importante segnalare in questo cupo 2017. E si può aggiungere un elemento, che é parzialmente legato al ragionamento di sopra.

Difficoltà, erosione, scollamento certo, ma non completa afasia: la memoria può ancora parlare. Ad esempio, ricordando più frequentemente che prima delle leggi razziali e delle camere a gas ci fu un periodo di anni e decenni di post-verità, in cui funzionari russi assemblavano finti dossier a scopo antisemita (che ancora oggi hanno una loro turpe vivacità), in cui montava l’ansia di un capro espiatorio per placare il risentimento delle classi medie, e il nemico era il cosmopolitismo antinazionale dei plutocrati giudei che si presumeva arricchiti dalla finanza; anni e decenni in cui libelli oscenamente violenti inondavano le edicole e venivano letti avidamente. Chi li scriveva, chi li leggeva usava parole di fuoco contro il liberalismo filisteo, l’ Illuminismo dei diritti astratti, il parlamentarismo inconcludente: la storia non si ripete uguale, ma le parole presentano un conto, sempre, e bisognerebbe ricordarlo.

Commenti