Giovane che si tuffa sulla Neretva dal ponte di Mostar

La vocazione del Mediterraneo: Predrag Matvejevic

Il ponte di Mostar si staglia su uno dei fiumi più incredibilmente blu d’Europa, la Neretva. Dalla sommità, in cambio di qualche spiccio raccolto tra i turisti, i ragazzi del luogo fanno dei tuffi vertiginosi nelle acque limpide e fredde.
«Accedendo al Mediterraneo, scegliamo innanzitutto un punto di partenza: riva o scena, porto o evento, navigazione o racconto. Poi diventa meno importante da dove siamo partiti e più fin dove siamo giunti», così scriveva in Breviario mediterraneo Predrag Matvejevic.

Il punto di partenza per ricordarlo è allora Mostar, la città dove nacque da padre di Odessa e madre croata. Mostar che sul Mediterraneo non è, ma lo porta scritto nel blu della Neretva, nel minareto della sponda musulmana, nella gigante e (posticcia) croce sulla collina che la divide da Medjugorje, nelle piante di fico di entrambe le sponde. E in quel ponte che le unisce, e le separò quando le cannonate croate lo distrussero nel 1993: era il 9 novembre, 9/11 anche qui, data palindroma di un Novecento che non si chiudeva, quando in molti lo davano per chiuso.

Ci ha dunque lasciato l’autore di quell’affascinante portolano letterario che è stato uno dei libri più importanti dell’ultimo trentennio. Inanellando immagini e aggettivi, Matvejevic vi descrive un Mediterraneo irriducibile a una sola categoria, culla europea sempre sul bilico dell’esotismo sfuggente, ritmato dai fari delle isole, dai timoni di cedro, dalle vele di lino, dal profilo degli ulivi; Mediterraneo ambivalente, illuminato di luce meridiana e ombrato da veli lugubri. Un libro che ha svelato, o forse solo ricordato, che il Mediterraneo non è solo geografia, non è solo storia, non è semplice appartenenza, è tutto questo, ed è anche la sua narrazione, la sua mitologia, il suo continuo impasto di dialogo e conflitto.


Nella foto: Predrag Matvejevic

Breviario mediterraneo fu scritto nel 1987, prima che gli anni ’90 si portassero via la Jugoslavia di cui il russo-mediterraneo Matvejevic si sentiva intimamente figlio, equidistante tra Zagabria e Belgrado. «Affermo, signori giurati, di non aver auspicato la disgregazione della Iugoslavia. I nazionalisti hanno un bel rimproverarmi uno iugoslavismo che qualificano “unitarista”…Signori croati, sappiate che io non sono meno buon croato di voi, per il fatto di essere cosmopolita» dovette così difendersi dal nazionalismo trionfante della Croazia del dopoguerra, con cui ricucì un rapporto solo in parte (come gli ultimi tristi periodi della sua vita testimoniano).

La dialettica contrastata tra etnicismo e cosmopolitismo e la difesa dalla minaccia delle ideologie nazionalistiche di quelle identità plurali, che non sono un vezzo delle élites liberali ma un dato ineludibile della storia europea, accompagnarono la sua riflessione negli anni ’90, anni in cui si era trasferito a Roma, insegnando alla Sapienza e partecipando al dibattito culturale italiano.

L’altro polo della sua riflessione dell’ultimo ventennio è stato il rapporto tra Europa e Mediterraneo, e come sottotrama il troppo frettoloso allargamento verso l’altra Europa, quella degli Stati orientali, che stava spostando il baricentro della Comunità. Pochi erano in posizione migliore di lui per guardare contemporaneamente a est e sud. Meno noti, ma utili per i nostri dibattiti dell’oggi, sono allora i saggi raccolti nel 2006 in Mondo ex e tempo del dopo. Identità, ideologie, nazioni nell’una e nell’altra Europa, per Garzanti.
E’ forse retorico dirlo, ma Matvejevic ci lascia mentre si rafforzano le tentazioni nazionalistiche – lui che fu esempio di come si potesse difendere il cosmopolitismo senza ripudiare il senso di comunità – e mentre il Mediterraneo è una frontiera tragica, con la sponde meridionale e orientale strette tra guerre, autocrazie e terrorismo, e quella nord arroccata e impoverita. Sono fenomeni che vengono da lontano, le cui contraddizioni Matvejevic aveva già scorto, e di cui aveva ricostruito più volte le tappe recenti, a partire da quel 1992 che sembrava l’anno buono per sanare anche la ferita tra Israele e Palestina (accordi di Oslo) e che sembra davvero lontano oggi, quando il Mediterraneo tutto è diventato una ferita. Allo stesso tempo, conscio di quelle contraddizioni, Matvejevic avvertiva instancabilmente che, per le sorti dei popoli che si affacciano sul Mare Nostrum, gli scontri non sono inevitabili e le alleanze possibili; la geografia, del resto, non si mette da parte facilmente e stabilizzare il Mediterraneo è una condizione troppo importante per l’Europa (per la civilità europea, oltre che per l’Unione).
Il Mediterraneo è un destino, ed è una vocazione. «Sul Mediterraneo ho navigato con gli equipaggi e con compagni di viaggio; ho percorso i fiumi e le loro foci in solitudine», così finiva Breviario mediterraneo. Che l’acqua ti sia lieve.

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