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L’Argine mondo: guerra in Iraq, il rapporto Chilcot inchioda Blair

“Sarò con te a ogni costo”. Questo è quanto aveva scritto Tony Blair a George W. Bush in merito alla guerra in Iraq. E così è stato. Oggi, tredici anni dopo, viene pubblicato il rapporto Chilcot, un’indagine indipendente commissionata nel 2009 dall’allora Primo Ministro Gordon Brown, su quella stessa guerra. Nel documento, la decisione del Primo Ministro Tony Blair d’invadere l’Iraq al fianco degli Stati Uniti viene duramente condannata.

Secondo il rapporto Chilcot (https://www.theguardian.com/uk-news/2016/jul/06/iraq-inquiry-key-points-from-the-chilcot-report), il Regno Unito decise di unirsi all’invasione prima che tutte le opzioni pacifiche fossero state vagliate. La guerra, quindi, non rappresentò una extrema ratio, ma una scelta già decisa in partenza. “A ogni costo”.

Inoltre, Blair ha esagerato deliberatamente la minaccia rappresentata dal regime di Saddam Hussein e ha perorato la causa di un’azione militare con i parlamentari e il pubblico nel periodo antecedente alle invasioni nel 2002 e nel 2003. Il Primo Ministro ha poi ignorato gli avvertimenti sulle possibili conseguenze di un’azione militare e ha fatto affidamento in maniera eccessiva sulle sue convinzioni, più che sui giudizi dei servizi d’intelligence. “I giudizi sulle capacità dell’Iraq […] vennero presentati con una sicurezza che non era giustificata“, si legge nel report.

Iran, Corea del Nord e Libia erano considerate minacce ben più grandi in termini di proliferazione di armi nucleari, chimiche e biologiche, e il comitato congiunto delle agenzie d’intelligence del Regno Unito era convinto che ci sarebbero voluti cinque anni, dopo la rimozione delle sanzioni, perché l’Iraq potesse produrre abbastanza materiale fissile per un’arma. Si poteva, quindi, adattare e portare avanti la precedente strategia britannica di contenimento ancora per un po’.

Inoltre, la decisione del governo Blair d’invadere l’Iraq è stata presa in circostanze che erano “tutt’altro che soddisfacenti”. L’inchiesta, però, non esprime una posizione sull’aspetto legale della guerra, dicendo che questo può essere determinato solo da un tribunale riconosciuto internazionalmente.

Sempre nell’inchiesta si legge che di enormi cantonate prese dai servizi d’intelligence britannici, che hanno fornito informazioni “compromesse” sulle presunte armi di distruzione di massa di Saddam come base per andare in guerra. L’intelligence ha lavorato sin dall’inizio partendo dal presupposto, sbagliato, che Saddam Hussein avesse armi di distruzione di massa e non ha mai fatto nulla per mettere in discussioni questa tesi e considerare la possibilità che se ne fosse liberato – come aveva invece fatto.

Tony Blair, intervenuto oggi in una conferenza stampa, poche ore dopo la pubblicazione del rapporto, si scusa per gli errori, ma difende le proprie decisioni, e accusa il rapporto Chilcot di non prendere in considerazione cosa sarebbe accaduto se Saddam Hussein fosse rimasto al potere. Sappiamo però quello che è accaduto con l’invasione dell’Iraq, che è stata portata avanti senza comprendere né prepararsi alle conseguenze a lungo termine di quella azione. Blair era stato avvisato, fra l’inizio del 2002 e il marzo del 2003, che la situazione, nel dopoguerra, sarebbe potuta degenerare nella guerra civile, che avrebbe favorito il terrorismo. E così è stato. «Tredici anni dopo l’invasione, l’Iraq è un paese distrutto e diviso», scrive Zainab Salbi sul Guardian. «L’ISIS controlla le regioni principali, divisioni settarie continuano a lacerare l’area, le minoranze religiose sono state perseguitate e uccise, le donne hanno assistito al deterioramento dei loro diritti e delle loro libertà». Il recente attentato a Baghdad, in cui sono morti 250 civili, è esattamente il simbolo della situazione di estrema instabilità dello stato iracheno, oggi.

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