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Nicolò Di Tommasi: “Art. Uno, perché esistono la destra e la sinistra”

Un lungo cammino inizia sempre con un piccolo passo”, diceva Mao Tse-tung.
Ho sempre visto il dare il proprio contributo per il raggiungimento di obbiettivi che riguardassero l’interesse generale, come un dovere dal quale nessuno potesse esimersi.
E questo è stato ai tempi della scuola, come rappresentante degli studenti. E’ stato dopo, quando ho iniziato ad avvicinarmi al mondo della politica, al PD. E’ stato poi, quando ho deciso di prendere una laurea in Scienze Politiche o, come viene anche definita, Scienze delle Merendine. Un percorso di studi triennale che non ti “professionalizza” ma che ti mette nelle condizioni di conoscere, pensare ma soprattutto prendere posizione. Come ho detto, un dovere per ognuno di noi.
In particolare da sempre ho avuto la necessità di trovare una mia dimensione nella quale mi identificassi. Ho avuto la necessità di prendere una parte e di difenderla. Da qui nasce il mio impegno politico.

Il mantra che domina la scena politica degli ultimi tempi è “non esistono più destra e sinistra, esistono il sistema e gli antisistema”.
In anni di epocali cambiamenti, fratture storiche, elezioni con effetti sempre più ampi e decisivi, si sceglie di dividere la realtà tra chi è pro e chi è contro quello che si è costruito fino ad oggi. Nemmeno il termine “populista” si crede possa più bastare a spiegare la realtà che ci circonda. Ma questi termini, sistema-antisistema, ci dicono davvero qualcosa?
Ho 23, sono laico e di sinistra e oggi, se dovessi pensare ad un fare politico che riesca a parlarmi, mi viene in mente quello di Papa Francesco. Sono passati tre anni da quando, su un articolo di Repubblica, ho letto una frase che veniva attribuita al Pontefice. Sia essa vera o meno di certo ha rappresentato il fare del nuovo corso vaticano dall’elezione di Francesco in poi. Nell’articolo si parlava della contrapposizione di visioni tra il Vaticano e la diocesi di Napoli. Quest’ultima veniva considerata troppo tradizionalista e si auspicava dunque ci fosse, da parte dei vertici religiosi del capoluogo campano, “spregiudicata inventiva”. A questa frase sono seguite poi azioni, parole, prese di posizione da parte della Santa Sede che, in maniera più o meno efficace, hanno cambiato il volto di una Chiesa da tempo ritenuta sempre più autoreferenziale. Tra le molte l’ultima: l’uomo appena scelto da Papa Francesco come Consulente della Comunicazione del Vaticano, ha parlato qualche giorno fa di “segni di benvenuto e di ponti”, riferendosi ad un incontro tenuto da un importante gruppo LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender) Cattolico negli USA (il New Ways Ministry). Come anche la svolta improvvisa che da quest’anno ha visto decine di Parrocchie, tra le quali Milano, Genova, Palermo nella sola Italia, tenere veglie contro l’omotransfobia in occasione del 17 maggio (Giornata internazionale contro l’omofobia, bifobia e transfobia). Queste ed altre inversioni di rotta hanno segnato, negli ultimi anni, il fare di una Chiesa che per sua natura ha invece una tendenza al conservatorismo.

Quello che mi domando è quindi: se una istituzione millenaria e confessionale come la Chiesa Cattolica sta riuscendo, in maniera così repentina, a cambiare la propria immagine e le proprie posizioni su temi da sempre così dibattuti, la politica laica, quella dello Stato, cosa sta facendo?
Se prima era universalmente riconosciuto il valore della contrapposizione destra-sinistra per spiegare il panorama politico quantomeno occidentale, oggi questo, come detto, viene messo in discussione in maniera condivisa e generalizzata, come fosse ormai un fatto conclamato. Non potrei trovarmi più in disaccordo.

Nel 2016 l’1% della popolazione mondiale ha superato la soglia del 50% in termini di ricchezza mondiale posseduta. Al restante 99% rimane quindi il conseguente 50%. Altri numeri non riuscirebbero a fotografare la condizione mondiale con la stessa forza.
Aumento e concentrazione della ricchezza è anche aumento del potere politico. Oxfam afferma infatti come sia in atto un “progressivo indebolimento dei processi democratici a opera dei ceti più abbienti, che piegano la politica ai loro interessi a spese della stragrande maggioranza”.
Tutto questo non può stupire e non può farlo perché tra i grandi assenti sulla scena politica mondiale degli ultimi 30 anni una la fa da padrona: la sinistra.
Dagli anni 80 in poi, quando il duo Reagan-Thatcher ha inaugurato il nuovo corso liberista occidentale e mondiale, non è cambiato solo il modo di fare economia è cambiato anche quello di pensare il mondo. La forza del neoliberismo non sta solo nei suoi più diretti ed espliciti effetti economici, sta anche e soprattutto nel cambiamento di mentalità che è riuscito ad attuare in tutta la società. La narrazione secondo la quale la storica contrapposizione politica destra-sinistra non esista più, non è altro che l’ultimo passaggio di una ridefinizione linguistica che ha come obbiettivo quello di escludere la sinistra persino dall’ordine del pensato. Oggi a vincere deve essere il sistema si dice, ma il sistema è il neoliberismo, è la destra.

E quindi oggi, al decimo anno di crisi economica, con livelli di diseguaglianze che si credevano ormai non più raggiungibili, con un’Italia nella quale in questi stessi dieci anni la povertà è aumentata del 141%, la ricetta politica che viene proposta è: votate il sistema.
La Francia ne è l’esempio più lampante. Il neo Presidente della Repubblica Emmanuel Macron, già banchiere per la famiglia Rothschild e Ministro dell’economia del secondo governo Valls sotto la Presidenza Hollande, ha vinto la sua sfida elettorale affermando come destra e sinistra non esistano più. Siamo tutti lieti che a vincere non sia stata una fascio-nazionalista come la Le Pen ma dopo il sollievo iniziale domandiamoci: chi è entrato all’Eliseo? E la risposta è: un banchiere e tecnocrate neoliberista. Il prototipo dell’individuo che sta dietro alla attuale condizione socio-economica mondiale.
E questo candidato vince, batte la “populista” di turno. E’ curioso però che ad essere eletto come “nuovo che avanza”, come portatore di ricette salvifiche, sia un membro del Governo autore della contestatissima riforma del lavoro (“Jobs Act Francese”) che per giorni ha bloccato la Francia sotto la pressione di proteste e scioperi. E quindi che cos’è questo “nuovo”? A vincere la corso all’Eliseo è stato, ancora una volta, il neoliberismo. Lo stesso che da 30 anni governa con incredibile continuità l’occidente, senza mai perdere un’elezione, senza mai essere intaccato da scandali o crisi. L’unico che, faccia bene o faccia male, non dovrà rendere conto all’elettore perché, vincano i Partiti Socialisti o lo facciano i Popolari, lui sarà sempre al Governo.

Mentre quindi un’istituzione intrinsecamente conservatrice come la Chiesa Cattolica riesce, in un momento di crisi profonda come quello attuale, a rinnovarsi e a mettersi in discussione, la nostra politica, salvo estremiste e antistoriche alternative, ci ripropone quelle stesse politiche e ricette che sono riuscite a portarci nella crisi sociale ed economica più profonda e duratura dagli anni ’30 ad oggi.

E la sinistra, dov’è?
Se mi guardo attorno vedo un’Unione Europea stanca, ripiegata su se stessa. Vedo una politica priva di forza, delegittimata, non credibile. Vedo molto populismo e non vedo nessuna sinistra.
I Partiti che in Europa storicamente rappresentano le istanze delle masse popolari, hanno abdicato al proprio ruolo. Mi è rimasta impressa nella mente una frase pronunciata dall’allora “semplice” Dirigente di Partito Dario Franceschini che, nel 2013, nel pieno del fermento post risultato elettorale, affermava che le politiche economiche che potevano essere proposte dalla destra e dalla sinistra fossero ormai sostanzialmente le stesse. Ciò che poteva distinguere i due schieramenti erano le posizioni sui diritti civili. Oggi l’idea di Franceschini è diventata quella dominante nel Partito Democratico e da li si è giunti senza troppo sforzo alla contrapposizione con gli “antisistema” grillini, che a loro volta hanno gioco facile nell’alimentare questa contrapposizione-farsa.
I Partiti di sinistra si sono da prima ripiegati alle direttive economiche anglosassoni, per poi finire per interpretarle con grande maestria. Sono però poi puntualmente giunti a fare la parte della “brutta copia”, smettendo di vincere in tutta Europa e finendo per essere additati come antistorici visionari quando, nel solo ultimo periodo, alcuni di loro cercano di rialzare la testa con proposte che osino mettere in discussione le ricette economiche che ci hanno condotti su questo pericoloso crinale.

E in Italia?
Nessuna messa in discussione da parte dei Partiti del socialismo europeo quindi del PD. Ciò che rimane della storia della sinistra italiana è un Partito che si appresta a diventare un grande comitato elettorale sul vincente esempio del francese En Marche!.

E io?
Io sono alla spasmodica ricerca di quella “spregiudicata inventiva”, quella capace oggi di mettere in discussione il sistema con poche proposte forti e chiare, che non abbia paura di sbagliare, di calcolare male i tempi, di esporsi. Che abbia la spregiudicatezza dell’onestà e la forza dell’inventiva. Che non abbia paura delle parole, che parli della necessità di un nuovo Socialismo.
Sono alla ricerca di una politica che assolva il proprio dovere di rappresentante delle istanze di tutti, ceti popolari in testa. Un dovere per la politica e un dovere per chiunque creda che ciò sia necessario. Un dovere anche mio.

Ho 23, sono laico e di sinistra e per questo mi sono iscritto ad Articolo UNO, perché credo che oggi, più che mai, ci sia bisogno di sinistra.

Nella foto di copertina: Nicolò Di Tommasi

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