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No, il “popolo” non sta con Salvini

Buonisti e radical chic – così il ministro degli Interni Matteo Salvini liquida i suoi avversari. In Italia, ha detto il ministro un paio di mesi fa, è in corso uno scontro tra popolo ed élite. Il “popolo” è chiaramente con lui, dice il ministro dell’Interno citando i sondaggi che dicono che il 60 per cento degli italiani vuole chiudere i porti ai richiedenti asilo. E il volere del popolo non si discute: vox populi, vox dei.

Così quando il Procuratore di Torino Armando Spataro gli fa notare che le convenzioni internazionali impongono all’Italia di accogliere i naufraghi del Mediterraneo, la risposta del ministro è sprezzante: che si candidi alle elezioni. È il vecchio canovaccio berlusconiano: la legalità subordinata al consenso popolare.

C’è però una differenza fondamentale tra il populismo di Salvini e quello di Berlusconi. Mentre contro il Cavaliere – paladino di imprenditori e professionisti – la sinistra sapeva chiamare a raccolta il suo elettorato, contro Salvini essa appare impotente e timorosa. La ragione è che la retorica anti-elitista di Salvini fa proseliti anche a sinistra.

Al più tardi, dopo la vittoria elettorale di Donald Trump molti politici di area liberale e socialdemocratica hanno abbracciato con convinzione l’idea che i partiti della sinistra abbiano perduto la loro vocazione popolare. Impegnata a tutelare i diritti e le posizioni di un’infinita costellazione di minoranze – immigrati, omosessuali, ambientalisti – la sinistra avrebbe secondo loro perduto il contatto con la “massa”. La soluzione più semplice: seguire il volere del “popolo” e allinearsi alle posizioni dei populisti.

Peccato che, come spesso accade, la soluzione più semplice non sia necessariamente quella giusta.

Un’indagine condotta dal think-tank statunitense “Europa,” su più di 16.000 cittadini in otto paesi europei ha dimostrato che la base di sostegno di cui godono i populisti in Europa Occidentale è molto più fragile di quello che vorrebbe farci credere Salvini. Questo vale soprattutto per la Lega: il 60 per cento degli italiani dice di avere una visione decisamente negativa dell’ex Partito del Nord.

Lo studio è stato condotto nel 2017 e non fotografa, quindi, gli sviluppi del dopo-elezioni in Italia. La tendenza che si riscontra nei dati è tuttavia abbastanza univoca: la retorica populista fa leva sul sentimento di insoddisfazione di molti cittadini e sul loro distacco dalle istituzioni. Prese singolarmente, le posizioni dei populisti sono distribuite in tutto lo spettro dell’elettorato – da destra a sinistra. Quando si tratta di aderire ad una visione politica d’insieme la maggioranza degli intervistati prende tuttavia le distanze dagli schieramenti populisti.

Il dato è confermato da un altro recente studio dell’iniziativa “More in Common” sul tema immigrazione in Italia (ne parla proprio oggi anche il Corriere della Serahttps://www.corriere.it/politica/18_luglio_23/migranti-sbarchi-lacerano-l-italia-ma-debolezza-stato-spaventa-piu-straniero-d1c8dad8-8dee-11e8-8382-fa27f64b6a47.shtml). Stando ai dati dell’iniziativa, solo circa un quarto degli italiani sostiene apertamente una posizione di radicale chiusura delle frontiere come quella portata avanti dall’attuale inquilino del Viminale. Circa un terzo degli italiani è, invece, favorevole ad una politica dell’accoglienza basata su principi di umanità e tolleranza. E non si tratta solo di intellettuali radical chic, ma di molti giovani (anche senza titoli di studio) e anziani, soprattutto se vicini ad ambienti cattolici.

I mezzo c’è la cosiddetta maggioranza inquieta. Questa è composta da persone senza chiaro orientamento e da coloro che si sentono insicuri o “abbandonati” dallo Stato – disoccupati, pensionati, persone di mezza età senza titoli di studio. Le loro posizioni riguardo ad immigrati e richiedenti asilo sono lo specchio delle loro ansie. Pur essendo generalmente preoccupati del futuro che li attende, essi ritengono che non si debba rinunciare ai principi di umanità – specialmente quando si tratta di proteggere famiglie e minori.

Questi dati sono confrontabili con i più recenti sondaggi sull’orientamento politico degli italiani: poco più di un terzo degli italiani dice di sostenere partiti apertamente anti-immigrazione come la “Lega” e “Fratelli d’Italia”.

E il 60 per cento di italiani che vuole chiudere i porti? Esperti di psicologia sociale e demoscopia avvertono: sondaggi “istantanei” che fotografano l’orientamento dell’elettorato su un dibattito in corso sono fortemente influenzati dal tono del dibattito. Se la stessa domanda fosse stata rivolta agli elettori prima che Salvini annunciasse la chiusura dei porti è probabile che i risultati sarebbero stati molto diversi.

Tutto bene dunque? Gli italiani non sono il feroce e inumano popolo che si augura Salvini e la sinistra può tornare nei suoi salotti radical-chic senza rimorsi?

Non proprio.

Il dibattito sugli immigrati irregolari negli Stati Uniti ha dimostrato che una politica aggressiva sui temi dell’immigrazione ha l’effetto di manipolare il dibattito – enfatizzando i contrasti e rendendo impossibile un confronto produttivo. Così, prima della vittoria di Trump, l’80 per cento dei cittadini statunitensi era favorevole ad una sanatoria che chiarisse una volta per tutte lo status degli 11 milioni di immigrati irregolari. Adesso questa percentuale si è fortemente ridotta.

Che cosa può, dunque, fare la sinistra per uscire dalla trappola populista?

Alcune idee le offre un policy-paper appena pubblicato in Germania dalla Fondazione Konrad Adenauer (vicina allla CDU di Angela Merkel). Dall’analisi delle diverse strategie di contrasto del populismo utilizzate in vari paesi dell’Europa Occidentale si evince che né l’attendismo né tantomeno un avvicinamento alle posizioni dei partiti populisti hanno ad oggi giovato un granché.

Già negli anni ’90 i socialdemocratici danesi hanno, ad esempio, reagito alla crescita dello schieramento di destra populista “Partito Popolare Danese” con una più dura politica contro l’immigrazione. Il risultato: i “Popolari” hanno continuato a crescere, arrivando a incassare il 21 per cento dei consensi alle ultime elezioni politiche. Un risultato analogo hanno prodotto anche gli sforzi (piuttosto tardivi) dei socialisti francesi nel promuovere la linea dura contro immigrati e rifugiati dopo il trionfo elettorale del “Front National” di Marine Le Pen alle elezioni comunali ed europee del 2014.

Sconfiggere i populisti, da sinistra, sembra ad oggi un obiettivo di difficile realizzazione. Ci sono riusciti liberalconservatori come Emmanuel Macron in Francia – ma solo a patto di assimilare in parte le tendenze rigoriste del “Front National”. L’unico esempio di una vittoria della sinistra in uno scontro diretto con la destra populista lo offre ad oggi il presidente austriaco Alexander Van der Bellen.

Come Macron anche Van der Bellen è riuscito a imporsi in un ballottaggio – segno che, posto di fronte a un quesito con solo due possibili esiti, l’elettorato tende a prendere le distanze dal candidato più radicale, scrivono i curatori dello studio. Fattore ancor più importante – aggiungono – è tuttavia che il candidato dei Verdi ha mostrato un profilo forte, mantenendosi fedele all’Europa e all’ideale di “società aperta”.

Foto in evidenza: Jean (SOS Meditarrenée)

 

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