Giuseppe Tamburrano

Tamburrano e la sinistra, oggi

La scomparsa dello storico, giornalista e uomo politico Giuseppe Tamburrano (1929-2017), ha suscitato alcune riflessioni nel circuito delle fondazioni e associazioni d’area, nel ricordo, insieme personale e collettivo, di suoi allievi, compagni e amici, nella rete diffusa di circoli e realtà tematiche. Ciò che resta della rappresentanza politica del socialismo ufficiale si è rivelato forse più silente o, comunque sia, senza la forza d’urto sufficiente a scardinare l’indifferenza e a rilanciare il dibattito sulle sorti della Sinistra e sulla sua capacità di trasformare attivamente il Paese. Queste parole non vogliono colmare il gap – la lacuna di riflessione teorica, quella di azione politica e quella di pubblica visibilità sembrano a troppi ormai insuperabili. Semmai, attraverso la riconsiderazione dell’opera di Tamburrano, si prova a impostare un discorso di più ampio respiro sulle circostanze che favorirono alcuni decenni di riformismo sociale in Italia, tali da apparire ai più oggi discutibilmente irripetibili.

Giuseppe Tamburrano ha vissuto le fasi più intense della sua attività di dirigente politico e di editorialista e studioso tra l’inizio degli anni Sessanta e la seconda metà degli anni Ottanta, prima di dedicare gli ultimi decenni del suo impegno civile alla presidenza della Fondazione Nenni – laboratorio privilegiato di riflessione sociale e culturale, ben al di là delle stringate appartenenze partitiche, come tutt’ora dimostrano le iniziative associative. Tamburrano ha, cioè, vissuto il primo centrosinistra, quello che si è intestato la modernizzazione condivisa e interclassista e, più concretamente, le misure che hanno cercato di attuare il disposto costituzionale nel quadro dello Stato sociale di diritto. In quella stagione ci furono certo illusioni che oggi col senno del poi rivediamo criticamente. Fu quella, però, stagione che garantì l’universalizzazione delle prestazioni sociali (oggi defalcate) ed è proprio quel clima di attivismo diffuso che preconizza le trasformazioni, le contestazioni, i fermenti – inattuati e strumentalizzati – della fine del decennio.

Tamburrano ha pure vissuto e studiato la transizione infinita degli anni Ottanta, quando la Sinistra politica è rimasta col cerino acceso, con un anticipo di circa trent’anni sulle sue difficoltà odierne. Da un lato le dinamiche espansive dello Stato e della sua spesa sembravano avere esasperato la natura elettoralistica dei meccanismi di redistribuzione sociale; dall’altro lo scenario globale anticipava il riequilibrio che avrebbe sostituito definitivamente le strategie post-belliche. Gli analisti più acuti, tra cui Tamburrano, compresero l’ascesa del gigante cinese, la crisi di legittimazione unitaria dell’Islamismo politico, la necessità di un rapporto internazionalmente qualificato con le democrazie latino-americane faticosamente uscite dalle dittature militari.

A dispetto di un pensiero unico e omologante che non ama ragionare sul passato perché odia l’ipotesi di dare afflato collettivo al futuro, Tamburrano ha fatto quello che gli è riuscito meglio: studiare, scrivere, raccontare, prevedere, contrastare e proporre. Tra la metà degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta descrisse con la lucidità di pochi il reflusso della Democrazia Cristiana e il suo nugolo di correnti acquartierate nei territori (vi ricorda qualcosa?). Nel decennio successivo sferzò con notevole ma coerente veemenza le opposte incomunicabilità tra la cultura socialista e quella comunista, tra le cui disastrose conseguenze può forse annoverarsi avere sacrificato l’autonomia della Sinistra e la qualità di molta classe dirigente del Paese, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso. Secolo breve, certo, brevissimo quanto alla nostra capacità di fare memoria critica e osservatorio compiuto del tempo presente.

Notevoli, infine, gli interessi storiografici di Tamburrano, verso intellettuali laici, malintesi e offesi, come Silone e Matteotti: altro tesoro di sapere politico che lo storico socialista vedeva con fastidio e dolore bruciare sotto la cappa dell’oblio nella cultura di massa, obnubilata ad arte dal conformismo e dal potere.

Domenico Billotti è docente all’Università Magna Graecia di Catanzaro

Nella foto di apertura: Giuseppe Tamburrano

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