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Barbiana, la marcia dell’inclusione

Anche quest’anno, come tutti gli anni, la marcia di Barbiana (domenica 15 maggio) coglie uno degli aspetti centrali della nostra vita del XXI secolo: quello dell’inclusione e della valorizzazione delle diversità culturali. Non sorprende perché la scuola è il cuore pulsante, l’asse attorno cui ruota la vita della nostra società; e il magistero di don Lorenzo, ad oltre 50 anni dalla “Lettera a una professoressa”, resta di sconcertante e sconvolgente attualità.
Come allora, una scuola che pretendesse di omogeneizzare, riducendo ad uno la meravigliosa diversità delle culture del mondo che sono la sua vera ricchezza, mancherebbe alla sua funzione ontologica. Come allora, la scuola che volesse uniformare i montanari ai cittadini o i mediorientali agli occidentali, fallirebbe inesorabilmente il suo compito. Il punto era ed è rendere consapevoli i montanari della propria cultura e renderli orgogliosi e capaci di dialogare da pari a pari con i cittadini. Non c’è una superiorità culturale dell’Occidente a cui i ragazzi dell’Oriente, o dell’Africa o dell’America Latina devono piegarsi, adeguarsi, dimenticando da dove provengono: se questo fosse l’obiettivo della nostra scuola o della nostra società, creeremmo solo schiere di sradicati replicanti oppure arrabbiati nemici, in ogni caso perderemmo tutti l’apporto straordinario della molteplicità, della diversità. I ragazzi di Barbiana scrivevano alla professoressa:

 “Io so leggere i suoni di questa valle per chilometri intorno… Lei se parla con un operaio sbaglia tutto: le parole, il tono, gli scherzi. Io so cosa pensa un montanaro quando sta zitto e so la cosa che pensa mentre ne dice un’altra. Questa è la cultura che avrebbero voluto avere i poeti che lei ama. Nove decimi del mondo l’hanno e nessuno è riuscito a scriverla, dipingerla, filmarla…. La vostra cultura ha lacune grandi come le nostre”.

Sono ancora vive queste parole e sono quelle dei ragazzi del mondo che vivono nelle nostre comunità provenienti da paesi lontani, eredi delle grandi culture a cui quella occidentale ha attinto per diventare quella che è oggi. Sono gli Alì dagli occhi azzurri, come scriveva Pasolini in “Profezia”,

Uno dei tanti figli di figli, scenderà da Algeri, su navi a vela e a remi. Saranno con lui migliaia di uomini coi corpicini e gli occhi di poveri cani dei padri sulle barche varate nei Regni della Fame…. Anime e angeli, topi e pidocchi, col germe della Storia Antica, voleranno davanti alle willaye”.

 

Così, oggi, se hanno ancora un senso le frasi sacre scolpite nei codici del diritto occidentale, come “diritto all’istruzione”, ebbene lo hanno per loro, per i figli dei migranti, dei profughi a cui dobbiamo assicurare questo diritto riconoscendo la loro specificità culturale; sapendo che è una ricchezza inestimabile per loro e per noi, che spesso viviamo inconsapevoli ed irriconoscenti in una cultura che è grande solo perché da quella comune fonte proviene e ha saputo contaminarsi e arricchirsi dei diversi apporti. Naturalmente, sbagliando, tentando, correggendosi; mentre si è fatta cultura di dominio ogni qual volta ha preteso di essere non una cultura, bensì la cultura e cui tutte le altre dovevano uniformarsi; la cultura da esportarsi con le armi, oppure da imporre con la forza dell’economia, creando diseguaglianze (cosa ben diversa da differenze) e marginalità.
Come i ragazzi di Barbiana, dobbiamo farci – ogni giorno – insieme, studenti e insegnanti, docenti e discenti, dialogando con le Barbiane del mondo, che oggi più che mai sono ancora qui, in mezzo a noi.

Per informazioni sulla Marcia di Barbiana: Comune di Vicchio e Cgil

 

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