Luogo: la casa del mio nonno paterno. Periodo: l’immediato dopo guerra. Protagonisti: nonno Luigi e nonna Anna (genitori di sette figli).
Non era, quella, una famiglia particolarmente benestante. Anzi, non lo era affatto. Per mia nonna si poneva il problema urgente ed indifferibile di fornire di “corredo” le figlie più grandi e prossime, si presumeva, al matrimonio. Il corredo era un insieme di indumenti, intimi e non, di tovaglie, lenzuola, irrinunciabili per qualsiasi famiglia del Sud che avesse avuto la ventura di avere figlie femmine.
“Luigi – chiedeva quasi implorante nonna – ci vogliono i soldi per il corredo di Giovanna (la figlia maggiore)”.
“Non preoccuparti Nannina – la risposta di Luigi – tra un po’ facciamo il socialismo e si risolve il problema”.

Infatti, per nonno Luigi – di cui credo si superfluo specificare la fede politica – il socialismo rappresentava la perfezione sociale, la società che avrebbe risolto tutti i problemi e tutte le contraddizioni. Pure quelle relative al corredo di zia Giovanna.
Il problema, però, purtroppo restava: in attesa del socialismo come diavolo provvedere? Questo siparietto familiare mi viene in mente ogni qualvolta sento parlare politici di vario rango e orientamento politico, fossero essi amministratori locali, deputati o ministri, di gestione del ciclo integrato dei rifiuti.

E’ proprio di questi giorni l’ennesimo scontro tra gli alleati del governo gialloverde, nello specifico tra Di Maio e Salvini, sulla questione, sorta dopo l’ennesima emergenza rifiuti in Campania.
Il secondo vorrebbe un inceneritore per provincia, Giggino, invece, rifiuta sdegnosamente tale ipotesi e invoca la raccolta differenziata quale soluzione e panacea alla difficile e drammatica situazione.

Se non ci fosse bisogno di termovalorizzatori e di discariche saremmo tutti sicuramente più tranquilli (anche se su queste tipologie di impianti la narrazione che se ne fa è più prossima alla leggenda che alla realtà). Resta il fatto che, se in ogni angolo d’Italia, anche il più sperduto, si raggiungessero percentuali di raccolta differenziata pari a quella di Capannori (amena città in provincia di Lucca che ha l’invidiabile primato di aver raggiunto l’80% di raccolta differenziata), come gestire la parte di rifiuti residuale? Si parla sempre di diverse decine di milioni di tonnellate. E ci limitiamo a ragionare di quelli urbani, tralasciando i rifiuti speciali e pericolosi (gli ex tossici e nocivi, perché chiamarli così evidentemente spaventava).
E’ sicuramente urgente e necessario applicare il pacchetto dell’Unione Europea sull’economia circolare, avendo coscienza del fatto, però, che il problema si riduce ma non si risolve.
E’ un pò come la sicurezza nei luoghi di lavoro: ci sono rischi eliminabili e altri che possono essere ridotti ma non eliminati e per i quali occorrerebbe procedere alla loro “valutazione”.

Ecco, con l’economia circolare si porrebbe comunque la necessità di valutare su come trattare i rifiuti che oggettivamente non possono essere eliminati né recuperati e/o riciclati. A proposito, e dei rifiuti che risultano dalle operazioni di recupero e/o riciclo che ne facciamo?
E’ ridicolo che tutta la questione verta unicamente sulla “diarchia” discariche/inceneritori (li ho voluti chiamare ora così perché altrimenti qualche integralista dell’ambiente mi può rimproverare il termine termovalorizzatore. Anche se la differenza c’è ed è sostanziale: gli inceneritori si limitano a bruciare e non producono energia). Quando si parla di impiantistica bisognerebbe riferirsi anche ad altre due tipologie assolutamente essenziali per una corretta gestione dei rifiuti: gli impianti di compostaggio, in cui si ricava ammendante agricolo dalla frazione organica e i c.d. biostabilizzatori o TMB, cioè impianti utili a separare la frazione secca da quella organica. Attività propedeutica e obbligatoria per legge prima di indirizzare il rifiuto alla destinazione finale.

Un problema di insufficienza impiantistica in Italia c’è ed è enorme, ma a tutti i livelli, comunale, regionale e di governo centrale, viene affrontato in maniera superficiale e come si si fosse in perenne competizione elettorale.
Raccolta differenziata e impianti non sono soluzioni alternative, ma concorrenti nella risoluzione del problema. Affermare, come fa Salvini, di prevedere un termovalorizzatore per provincia è una enormità incommentabile.
Molto più realisticamente, oltre a prevedere sostegno ai Comuni per la messa a regime della raccolta differenziata (perché il sostegno finanziario in una prima fase è necessario visti gli alti costi da sostenere che, se coperti unicamente dalla TARI, si ridurrebbero in una spesa spesso insostenibile per i cittadini), obbligare le Regioni ad attuare i propri Piani di gestione in materia tramite la realizzazione degli impianti previsti. Adottando, se del caso, eventuali poteri sostitutivi nei confronti dei comuni inadempienti.

In un quadro del genere, è necessaria la realizzazione di termovalorizzatori? Io credo di sì ed è l’unico strumento per chiudere in maniera soddisfacente l’intero ciclo dei rifiuti.
Ovviamente la gestione di tali impianti non solo dovrà essere preferibilmente interregionale e, quindi, di grandi dimensioni (il termovalorizzatore di Copenaghen tratta giornalmente quasi il doppio di rifiuti di quello di Brescia che è il più grande d’Italia) e la gestione dovrà essere necessariamente pubblica. Per evitare, come mi insegnava il mio mentore in materia Marco Buzzichelli, che nel settore si privatizzino i profitti e socializzino le perdite.
Sono dannosi per la salute i termovalorizzatori? Non sono uno scienziato della materia e mi affido a chi queste cose le ha studiate.
Dato per scontato che inquinano molto meno dei roghi “spontanei”, un indagine condotta dall’Università di Napoli, e commissionata da Federambiente, ha accertato che l’immissione di diossina in atmosfera a Napoli la notte di San Silvestro è pari a quella immessa nell’ambiente da 24 termovalorizzatori in un anno.
Ognuno tragga le conclusioni che vuole.

Foto in evidenza: Il termovalorizzatore di Brescia

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