Il pensiero filosofico italiano, si è scritto recentemente per distinguerlo da quello francese e tedesco, lavora in senso positivo, non ricercando semplicemente il punto di crisi, ma rinvenendovi un ottimistico barlume di opportunità, un risvolto positivo, un perno attorno a cui, mediante un effetto fionda, spingere fino in fondo la condizione critica, fino al momento in cui essa si trasforma in un’occasione. Così, in termini assai più prosaici, si può immaginare che una sconfitta o, meglio, una disfatta in ambito elettorale possa rappresentare l’occasione che da anni la Sinistra aspettava per ripensare radicalmente la propria azione, lo statuto della propria presenza in seno alla società.

La lezione, che pare essere stata assimilata dai protagonisti ancora suonati dal knock-out del 4 marzo, è composta da parole come “rifondare”, “ripartire”, “rinnovare”; parole che, al di là di una patina di svolta, nascondono l’insidia di una inconsapevole presa di residenza all’interno del momento critico. Affondando i piedi nelle sabbie mobili entro cui si trova impigliato il dibattito interno alla Sinistra in Italia, si rischia di non riuscire né a recuperare una condizione ormai perduta, né, alternativa più promettente, a immaginare una via di fuga tanto realistica in quanto consapevole del drammatico stato attuale delle cose.

La Sinistra, in Italia ma, a ben vedere, ovunque, non ha oggi bisogno di una rifondazione, l’ennesima; non ha bisogno di rinnovare la classe dirigente e nemmeno di formulare un nuovo discorso, più inclusivo o più accogliente, più accessibile. Spingere fino in fondo la crisi attuale significa prendere atto che oggi nessuno più intende far proprio un discorso genericamente definibile “progressista”, che a nessuno più interessa una qualsivoglia sinistra; peggio, che oggi la Sinistra non serve più a nessuno. E questo non perché le questioni che essa rileva e si impone si risolvere si sono finalmente dissolte al sopraggiungere di un magnifico orizzonte da Utopia, quanto perché quelle questioni sono letteralmente colonizzate da un discorso alternativo, che appaga gli stomaci, che, pur conservando lo status quo o peggiorandone il corso sulla lunga distanza, si offre almeno di far sponda alla rabbia e alla frustrazione diffuse, permettendo così di tornare ognuno alle proprie miserie personali con una minima dose di soddisfazione onanistica.

Prendere coscienza dello stato attuale delle cose significa accettare che oggi la Sinistra non rappresenta più nessuno perché nessuno più sente risuonare in sé e nella collettività entro cui vive quelle parole; non le sente vibrare in assonanza con la realtà, non percepisce da quelle parole la soddisfazione immediata invece garantita dallo sbraitare populista, demagogico e bonapartista, al prurito o alle profonde lacerazioni. Ed è in questo senso che perdono ogni significato le pur buone intenzioni di rifondazione, di rinnovamento, di ripartenza, se tali pratiche sono tutte tese alla riproposizione della medesima postura politica, solo con voci diverse e parole appena ritoccate. La fondazione o la rifondazione di partiti nella logica della mera rappresentanza, nella speranza che qualcuno si senta di condividere un progetto, è una velleità frusta, perfino nociva nel suo reiterare all’infinito gli stessi errori, solo presentandoli illusoriamente come promettenti novità. Non si possono più erigere case, tenendo le porte aperte, sperando che qualcuno entri; non ha più senso parlare di progetti inclusivi se coloro che si vogliono includere già abitano un discorso ben differente e definitivo. Non più aprire le porte per far entrare nel proprio luogo delle risposte, ma aprire le porte altrui per entrare nei luoghi entro cui abitano le sofferenze, entro cui vanno riformulate assieme le domande prima ancora che le risposte.

La stessa razionalità neoliberista impone un cambiamento di postura, annichilendo di fatto ogni sforzo aggregativo, volto a costituire un discorso politico autonomo. Così, se il neoliberismo ingloba l’intero pensiero che ha corso nella nostra società, coinvolgendo sfruttatori e sfruttati, maggioranze e minoranze escluse in lotte minime, in fronteggiamenti di scala ridotta e comunque sempre all’interno di quella stessa razionalità dominante, è su una scala microfisica che bisogna ricominciare a tessere la trama di un discorso progressista. Il mutamento di postura che la Sinistra, oggi, consapevole della crisi globale che sta passando, deve assumere è quello da polo inclusivo a dispersione invasiva: la logica centripeta di un centro aggregativo che rimane inesorabilmente disabitato va abbandonata a favore di una logica dispersiva che invade i luoghi di residenza, di lavoro, di socialità, di aggregazione, imponendo nuove domande, costruendo assieme, con un senso di vera e concreta democrazia, un metodo, una serie di questioni e, solo infine, le risposte. Si tratta, dunque, di una missione formativa, se quella rappresentativa oggi è destinata al fallimento: una formazione ben differente rispetto al plagio del pensiero e delle emozioni praticato dalla politica di bassa lega, e altrettanto diversa dallo snobismo elitario che spesso viene associato al concetto di formazione. È necessario, anzi, prima di tutto ispirare un’esigenza di concertazione, di sentire comune, di impegno sociale, che non deleghi a fantomatici salvatori della patria la cura di ogni fragilità, ma che costruisca una nuova coscienza progressista mediante la disseminazione dal basso di lotte minime, concrete, di domande che incidono nella vita degli individui nelle situazione in cui si sentono direttamente co-implicati.

L’urgenza è quella di istituire un circolo virtuoso, per cui la formazione di una nuova coscienza e la nascita di una struttura che la accolga e la coordini si alimentano a vicenda: la struttura è inutile se si intende come attore rappresentativo di chi non vuol più essere rappresentato; la coscienza fatica a formarsi senza coordinazione. Per questo si può iniziare con la creazione di reti che coinvolgano realtà sociali e associative già esistenti in un progetto ampio e disperso; solo infine, e come punto di emergenza di queste lotte verticali di grana microfisica, di questi fronteggiamenti minimi, può essere immaginato un partito, momento aggregativo di risposte suscitate e ricercate.

Si tratta di un mutamento radicale di postura che assume come stato ineluttabile il sentimento diffuso di rifiuto di ogni discorso di Sinistra; un rifiuto che rende la logica della rappresentazione non più percorribile: un mutamento che non conduce ad alcun risultato immediato, lavorando nel basso e in maniera invisibile; che necessita di tutta la potenza di pensiero lungo disponibile, che forse fallirà e di cui i promotori molto probabilmente non vedranno alcun esito. Questo è certo; ma ancor più certo è che continuare a erigere edifici sulla palude, nella speranza che almeno uno regga per qualche ora, è un progetto necessariamente e inevitabilmente fallimentare.

Carlo Crosato si occupa di filosofia politica all’università di Venezia, autore di saggi e collaboratore di Micromega.

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