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Caporalato, il coraggio che manca per batterlo

Il caporalato è una piaga che ferisce profondamente la dignità di molte persone e le possibilità di sviluppo del Paese. I numeri parlano chiaro: 400mila lavoratori agricoli sfruttati dai caporali, 420 milioni di evasione contributiva, 25-30 euro di paga media giornaliera per 10-12 ore al giorno. L’illegalità e l’infiltrazione mafiosa nel settore dell’agro industria ha un peso di 12,5 ml di euro. Vita delle persone e Pil. Diritti calpestati e scarsissima distribuzione della ricchezza.
Una questione che riguarda il Mezzogiorno. Ma non solo. A essere interessata da forme di irregolarità del lavoro in agricoltura è tutta la penisola, visto che le percentuali più basse (14.7% in Toscana e 14.9% in Trentino) sono comunque a due cifre.
Le cronache nere dai campi del Mezzogiorno che la scorsa estate hanno raccontato di morti di lavoro indussero alcuni ministri del governo ad accelerare l’iniziativa su misure di rafforzamento del contrasto al CAPORALATO e al lavoro nero.
Una iniziativa che intendeva muoversi su un doppio fronte: interventi sul codice penale e certificazione etica della filiera di produzione.
Così a settembre 2015 si avviava l’esperienza della Rete del lavoro agricolo di qualità. All’inizio del 2016 in Senato veniva presentato il ddl 2217, che ha l’obiettivo di rinsaldare la Rete e di potenziare il sistema sanzionatorio penale e amministrativo.
Sono tutte misure positive che hanno, se non altro, il merito di mettere mano ad una materia da troppo tempo trascurata.
La certificazione dei soggetti coinvolti nella filiera é un passaggio importante. Così come vanno nella direzione giusta la confisca, l’arresto obbligatorio in caso di flagranza, l’estensione del fondo di protezione delle vittime della tratta ai lavoratori che denunciano.
L’impressione che si ha è che si compiono dei passi avanti, ma non sono ancora quelli decisivi. Servirebbe maggiore profondità.
La Rete del lavoro agricolo di qualità si misura con l’impatto con la distribuzione e una certa farraginosità burocratica. In questi giorni con il caso delle ciliegie alcune proteste arrivano dalla Puglia. In generale, la Rete sembra non avere molto appeal. A dicembre le domande presentate erano 814: 207 accolte, 11 respinte, 7 non ricevibili, 535 in istruttoria.

LA RESPONSABILITA’ PENALE DEL CAPORALE – In generale sul piano penale, non si dà quel colpo che rappresenterebbe una vera svolta, anche sul piano ‘culturale’, ovvero la corresponsabilità penale di chi media (il caporale) e del destinatario di un profitto che nasce da una prestazione di lavoro senza diritti. Il sistema sanzionatorio oggi si rivolge tutto sull’intermediazione e non sui datori di lavoro. Invece sarebbe necessario insistere su questo punto e magari ampliare il ragionamento all’introduzione del reato di sfruttamento lavorativo.
Come hanno fatto notare le Regioni lo scorso 27 aprile nell’audizione sul ddl in Commissione Agricoltura a Palazzo Madama, si potrebbe agire sulle condizioni di accessibilità ai fondi Ue, inibendoli a chi non rispetta i diritti dei lavoratori. “L’Europa -ha spiegato il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi – chiede il rispetto di condizionalità ambientale, di sicurezza alimentare, di benessere. Ci vuole un passo fondamentale: tutelare pienamente il lavoro”.
Occorrerà sostenere seriamente il fondo di protezione per i lavoratori sfruttati, fondamentale per superare l’omertà, e sarà anche il caso di dirsi che i voucher in agricoltura non sono proprio il massimo per combattere il sommerso.
La battaglia contro il CAPORALATO e il lavoro nero è una battaglia difficile. Richiama le lotte di emancipazione di ieri e rappresenta un impegno per l’oggi. Per contrastare questo fenomeno di ingiustizia che infesta il nostro Paese è necessario agire con più coraggio. Un coraggio che ancora manca.

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