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La disoccupazione può far ammalare, ma anche un cattivo lavoro

La disoccupazione può far ammalare, ma anche un cattivo lavoro non scherza.

Molti studi hanno dimostrato che i disoccupati di lungo periodo soffrono il doppio di depressione e ansia rispetto a chi ha un lavoro; inoltre, soffrono maggiormente di attacchi cardiaci o infarti.

La crescita economica è il fattore più importante per quanto riguarda la lunghezza della vita di una persona”, afferma M. Harvey Brenner nel suo studio del 2002 sulla correlazione fra disoccupazione e maggiore mortalità. “Le principali scoperte [di questo studio] sottolineano trend nella mortalità in Europa e Nordamerica sulla base della crescita economica e dei tassi di occupazione. […] La piena occupazione equivale a un tasso di mortalità più basso”.

Ma non è solo l’assenza di lavoro ad avere ripercussioni sulla salute delle persone. Molti impieghi — precari, mal retribuiti e con pessime condizioni lavorative — possono infatti incrementare lo stress cronico e, a lungo termine, il manifestarsi di malattie e disturbi.

A dirlo è uno studio, recentemente pubblicato sull’International Journal of Epidemiology, e condotto da Tarani Chandola e Nan Zhang dell’University of Manchester su un campione di 1.116 persone del Regno Unito fra i 35 e i 75 anni. Partendo dal 2009, sono stati osservati gli indicatori di stress cronico dei soggetti in questione, allora disoccupati. I ricercatori hanno valutato il livello di “qualità dell’impiego” per coloro che ottenevano un lavoro misurando quanto questo li rendeva ansiosi, quanto erano soddisfatti, quanto era precario e quanto venivano retribuiti.

Rispetto a chi era rimasto disoccupato, in coloro che ottenevano un lavoro di “bassa qualità” si registravano indici più alti di infiammazione e un tasso più basso di clearance della creatinina (che misura quanto funzionano i reni). Chi aveva un impiego migliore godeva invece di migliore salute. Inoltre, chi otteneva un impiego di “buona qualità”, manifestava un miglior livello di salute mentale rispetto a chi era rimasto disoccupato; mentre chi otteneva un impiego di “bassa qualità” non vedeva miglioramenti in questo senso.

In altre parole, il semplice atto di lavorare non significa automaticamente una migliore condizione di vita. E a farne le spese sono i lavoratori a basso reddito.

La fonte principle di questo pezzo è l’articolo, a firma di Olga Khazan, pubblicato il 25 agosto su The Atlantic, con il titolo: “Is any job really better than no job?”.

(Foto Rick Wilking / Reuters)

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