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La guerra di Salvini e Di Maio si scontra con la realtà

I media di oggi leggono una svolta “europeista” di Matteo Salvini, vicepremier e ministro dell’Interno, dopo le dichiarazioni rilasciate al Sole 24 Ore di oggi.
Rispetteremo le regole e le priorità per il 2019 saranno: quota 100 (con pensione corrispondente ai
contributi versati, cioè da fame) e riduzione del cuneo fiscale. Poi, una specie di flat tax alle piccole
partite IVA (sulla base di quella già esistente) e il mantenimento delle misure di Industria 4.0, coi benefici estesi alle Pmi. Il via libera al Tap e l’ennesimo condono, ora denominato “pace fiscale”.

Queste, in sintesi le parole di Salvini, con gli altri esponenti della Lega subito allineati alle parole del loro segretario: il “contratto di governo” va realizzato in cinque anni.
Su tali dichiarazioni sembra convergere anche Luigi Di Maio che, in merito al tetto di deficit, ha
precisato: «Stiamo decidendo come spendere i soldi che abbiamo e quanto utilizzare di investimenti in
deficit per soddisfare quello che abbiamo garantito nel nostro Contratto di governo». Aggiungendo:
«Taglieremo tutto quello che non serve nei ministeri e nella spesa improduttiva. Poi tutto quello che ci
serve in più dovrà essere oggetto contrattazione con UE».

Insomma, nella quotidiana guerra contro la realtà, si registra oggi una tregua, di cui i mercati prendono
atto con con prudenza, viste le giravolte cui sono stati abituati dagli esponenti della maggioranza. Lo
spread del BTP a 10 anni è in area 260 punti a metà seduta, dai 290 dei massimi della scorsa settimana.
Sulla ventata di razionalità, non si sa quanto duratura, ha certamente pesato molto la rivolta degli
industriali del nord contro il decreto Di Maio sul lavoro e la delusione degli elettori del Lombardo
Veneto, che attendono invece di fruire delle ricadute pratiche, sui loro portafogli e sul loro welfare, dei
referendum sull’autonomia delle due regioni, vinti con percentuali molto alte.

Tuttavia, a pochi giorni ormai dalla presentazione della Nota di aggiornamento al DEF, da inviare alla
Commissione Europea entro il 27 settembre, si delinea il topolino partorito da una montagna di
dichiarazioni roboanti che, da sole, costeranno diversi miliardi di maggiori costi per interessi, causa
l’impennata degli spread dei nostri titoli titoli di Stato, per tutte le scadenze, rispetto al benchmark
rappresentato dai bund tedeschi. Il caos regna ancora sovrano; il tempo passa e di documenti con cifre
certe, da far approvare ai due rami del Parlamento e presentare in Europa entro fine mese, non si vede
traccia.

Nell’attesa, è utile ricordare quali sono le “regole”, cioè gli impegni assunti per il prossimo triennio con il DEF e con la legge di bilancio 2018.
Per quest’anno la previsione era di 1,6% di deficit, già abbondantemente superato anche per via degli
esborsi per le banche, mentre per il 2019 il deficit venne fissato allo 0,9%, con il pareggio di bilancio da
raggiungere nel 2020. Il tutto, con una crescita del PIL nel triennio 2018 – 2020 ben superiore alle stime
attuali, avrebbe dovuto far calare il debito a fine 2020 al 123,9% del PIL. Ben 10 punti circa rispetto al
livello attuale. Una missione impossibile.

Come negli scorsi anni, è probabile che verrà concessa una certa flessibilità, limitata però a pochi decimi.
Ma è altrettanto probabile che si apra una dialettica importante sul lato delle entrate e sui “risparmi” di
spesa, specie se una parte importante di queste sarà rappresentata dal condono (pace fiscale), che è “una
tantum” o da valutazioni non condivise dai tecnici dell’Unione Europea.

Foto in evidenza_ Matteo Salvini e Luigi Di Maio

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