La strada del Congresso del Pd è aperta, ma i nodi rimangono
E’ una direzione molto attesa, che , da numerose indiscrezioni giornalistiche dei giorni precedenti, dovrebbe sciogliere numerosi nodi. Il tema centrale è la tenuta della maggioranza politica a sostegno di Renzi nel Partito e il sostegno del Pd al Governo Gentiloni. Alla fine si voterà un documento della maggioranza (107 voti a favore, 12 contrari e 5 astenuti) che dà il via libero alle procedure per il Congresso. Sabato o domenica prossima l’Assemblea nazionale dovrebbe segnare l’ulteriore tappa, con le dimissioni di Renzi. Non è stata messa ai voti un documento della minoranza nel quale si chiedeva di “sostenere il governo Gentiloni fino a scadenza naturale mandato”, e la “convocazione di un congresso in tempi tali da garantire il coinvolgimento della nostra comunità con una discussione larga e approfondita”, e anteporre una conferenza programmatica “alla fase finale della scelta della leadership da svolgersi fra i mesi di ottobre e novembre 2017”. Alla votazione del documento della maggioranza non ha partecipato il Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Enrico Rossi, Michele Emiliano, Roberto Speranza, sono intervenuti tutti e tre, hanno confermato la loro candidatura alla segreteria del Pd.
La relazione di Renzi: Globalizzazione, povertà, cambiamenti internazionali, appuntamenti elettorali. Un discorso contrastante, nei contenuti, quello di Renzi: parla di Schulz, delle sue politiche socialiste, dell’affermazione di un’idea chiara di socialismo contro l’austerità; poi parla di Macron, lo esalta, lo benedice come il candidato del centrosinistra francese. Però Macron non è Schulz, non ha le sue idee, non propone un programma contro l’austerità, non parla di reddito universale, non parla di socialismo. Schulz e Macron, non sono uguali; rappresentano due anime del campo del centrosinistra europeo completamente differente. Eppure Matteo Renzi li indica entrambi come suoi punti di riferimento culturali e politici.
Tema centrale della relazione non solo i cambiamenti internazionali ed economici, ma anche le questioni interne del Partito. Tra l’attacco a D’Alema dalla riforma costituzionale teorizzata dal presidente di Italianieuropei fino a Telecom e alle banche pugliesi, l’intervento di Renzi, sul partito, non ha risposto alle principali questioni della giornata: ci sarà un congresso anticipato, ci saranno elezioni anticipate? Renzi ha detto che un “ciclo” è terminato, ed è sembrato accennare alla possibilità della fine anticipata della sua segreteria, ma non ha apertamente parlato di dimissioni. Sulle elezioni anticipate ha precisato che non sta a lui decidere e che non si occuperà della questione. Ovviamente, alla fine, la Direzione, per volontà della maggioranza renziana, ha stabilito diversamente rispetto alla generalità con cui il Segretario ha trattato i temi del congresso e del governo.
Cuperlo e le balene spiaggiate: Sorprendentemente breve il primo degli intervenuti, di Gianni Cuperlo. Oltre a sottolineare le discrepanze del ragionamento di Renzi sul Congresso, che non vuole si riduca ad uno scontro interno, ma da come lo stesso Renzi ha parlato in passaggi successivi del suo intervento sembrerebbe proprio che quello della conta interna nel congresso sia proprio l’obbiettivo dello stesso Renzi. Cuperlo, con una metafora, ha fatto poi il suo attacco conclusivo alla relazione del segretario:” Se davvero il mondo sta cambiando, dobbiamo cambiare anche noi. E fa il paragone delle 400 baleneLa mia convinzione è che seguire la stessa rotta ci porterà a una sconfitta: serve una sterzata”. Lo dice Gianni Cuperlo alla Direzione Pd e fa un paragone tra il partito e il caso delle balene spiaggiate in Nuova Zelanda. “Il capo branco aveva perso l’orientamento. Sta a noi decidere se fare la parte delle balene o quella dei volontari che le salvano”. E rivolto a Renzi: “Matteo tu non sarai mai il mio avversario. Gli avversari non sono dentro questa sala, tu non hai avversari qui dentro. L’avversario è fuori ed è la destra. Ma il punto è se la tua politica sia quella giusta per sconfiggere la destra”.
Pier Luigi Bersani manifesta i suoi timori: “Noi oggi non possiamo accontentarci di artifici retorici, diverse opinioni, frizzi e lazzi. Dobbiamo prendere delle decisioni, per noi, ma prima di tutto per l’Italia. Perché noi stiamo governando questo Paese”. “È vero o no – ha proseguito – che una parte di popolo non ci sopporta? Abbiamo questo problema”. Ancora Bersani: “Noi non accoltelliamo alle spalle, avvertiamo che la destra arriva. Ce l’abbiamo già sotto i piedi se conosciamo l’Italia. Questa è una destra che se non togliamo noi i voucher li toglie lei. È una destra sovranista, protezionista. È un campo di idee che sta entrando anche in casa nostra. Sta sviluppando egemonia. Ecco perché serve un campo largo”.
Rossi, il socialista: Per il presidente della Toscana, candidato al ruolo di Segretario nazionale del PD, il congresso non deve essere “soltanto una conta” perché se invece sarà così un “pezzo di popolo rischiamo di perderlo e di regalarlo”. Enrico Rossi si dichiara “molto d’accordo con l’intervento di Bersani, giusto nei toni e nelle considerazioni” e sottolinea che “la gravità del momento ci impone di abbassare i toni e di cercare se possibile una strada comune per affrontare i nodi che abbiamo davanti”. “Dobbiamo fare una campagna congressuale – aggiunge Rossi – che consenta, o il gioco non torna, di poter riportare alla discussione gli ex elettori, quella parte di popolo per il quale ho detto a me stesso che devo dire qualcosa. Dobbiamo riprendere gli albi degli elettori, visionarli e validarli e consentiteci di provare a vedere se quelle centinaia di migliaia di ex elettori che non si sono più iscritti riusciamo a riportarli in un dibattito congressuale. Il congresso può essere un’occasione per farlo e bisogno trovarci d’accordo su tempi che diano il senso di un congresso aperto, di un Pd che vuole ripartire”.
USCIRE DAL RIFORMISMO DEBOLE – Per Rossi il Pd deve “elaborare una proposta politica più robusta, uscire da un riformismo troppo debole e incapace di parlare alla nostra base sociale e proporre un programma di cambiamento più robusto. Credo che i margini ci siano se facciamo un congresso nel quale proviamo a discutere e a confrontarci”.
MANCATA VISIONE DI FONDO DEL PAESE – Dopo aver esortato tutto il partito a non “limitarsi a difendere l’operato del governo Renzi”, Rossi osserva che in passato “è mancata una visione di fondo del Paese, quali forze sociali rappresentare”. In particolare il presidente della Toscana pone l’accento sull’incapacità del Pd di essere un interlocutore credibile nei confronti “dei giovani, dei precari, del ceto medio”. Il governo, per Rossi, deve andare avanti” Bisogna dare al Paese “stabilità”, chiedendo all’esecutivo misure decise sul fronte della lotta alla povertà, sulla riforma elettorale e soprattutto sul lavoro giovanile: “Quella catastrofe di consensi che registriamo tra i più giovani è legittima e motivata. Non credo – dice – che recuperiamo credibilità con 500 euro, quando sarebbe stato meglio assumere 15mila ricercatori”. Come Bersani, anche Rossi sottolinea che s’è chiusa una fase in cui “la sinistra è stata troppo accondiscendente con il mondo. Non possiamo essere solo gestori dell’esistente: c’è voglia di alternativa, di più giustizia”.
GOVERNO RENZI NON ADEGUATO – Un conto è stato il risultato elettorale alle europee, altro conto la sequela di risultati sui territori che non sono stati assolutamente incoraggianti. “Dobbiamo domandarci se la nostra azione di governo è stata adeguata”, dice Rossi. “Io non dico che non c’è stato impegno. Quello che a mio parere è mancato sono alcune scelte fondamentali. E persino una visione di fondo del paese. E cioè quali forze sociali vogliamo aiutare e quale sistema di alleanze vogliamo perseguire. Su questo non siamo stati adeguati”.
Orlando, il giovane turco: Andrea Orlando smentisce sue ambizioni da anti-Renzi, le definisce invenzioni. Ma su tempi e modi del congresso consuma il primo «strappo» nella maggioranza Dem. Orlando torna a proporre una conferenza programmatica, un momento di riflessione che possa permettere anche di «evitare di scaricare le tensioni del Pd sulla tenuta del governo». Renzi però respinge la proposta come superata. E Orlando, con altri tre esponenti della maggioranza, non partecipa al voto finale.
Infine, Roberto Speranza, anche lui candidato alla segreteria: «Sento parlare di scissione continuamente. A me non fa paura la scissione del futuro ma quella che c’è già stata e se serve un congresso non è per evitare una nuova scissione ma per provare a ricucire un popolo che è in una situazione di grande difficoltà nei rapporti con noi. Sono solo io a non vedere che un pezzo della nostra gente si è persa per strada? Come nel mondo della scuola, dove c’è stata una frattura», dice l’esponente della minoranza Pd. E rivolto a Renzi: «Adesso la responsabilità più grande è nelle tue mani».
Sicuramente, nonostante il fatto che Renzi non abbia ufficialmente e direttamente invocato il Congresso, la direzione del Pd, a maggioranza, ha dato il via alla fase congressuale. Ma è Pd che, approvando il primo dispositivo, si è svincolato politicamente ed intellettualmente dalla necessità di sostenere il Governo Gentiloni fino alla scadenza naturale del Governo.
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Ludovico Di Traglia
Sono nato a Roma nel dicembre del 1995, fin da piccolo sono stato un tifoso della Roma; squadra che tifo e supporto anche oggi. Negli anni del liceo, mi sono iscritto avvicinato alla politica come rappresentante d'istituto e ho maturato l'idea che fare politica volesse dire occuparsi del benessere della collettività. Sempre negli anni del liceo, mi sono iscritto ai Giovani Democratici (organizzazione giovanile del PD) e a Libera. Frequento il secondo anno di Economia alla Sapienza, a Roma, e sono il Responsabile Organizzazione dei Giovani Democratici del Lazio.