Quasi subito dopo la Brexit della scorsa settimana moltissimi , specie tra i giovani, hanno subito iniziato a pubblicare numerosi dati sul voto del Brexit e tra questi uno, che è stato molto enfatizzato, è legato alle fasce di età dei votanti. In un primo momento, sui social e anche su qualche quotidiano sia estero che italiano, impazzava il dato del voto giovanile per il “Remain” pari al 64%. Molti, presi a metà tra il dispiacere del risultato del Brexit e l’euforia di un’ alta percentuale di giovani per il “Remain”, si erano lasciati andare in attacchi diretti verso le generazioni più anziane, che da come dicevamo i primi dati avevano votato in grande maggioranza per il “Leave”.
Leggendo numerosi commenti e numerose analisi, anche giornalistiche, che attaccavano le generazioni più anziane per aver votato “Leave”; ho capito che quel populismo intergenerazionale di cui avevo tanto letto sui libri, effettivamente esisteva ed era trasversalmente diffuso. In Italia, cosi come in Regno Unito, la ricchezza si sposta sempre più nei portafogli della popolazione più anziana, a scapito delle giovani generazioni (a confermarlo anche il Rapporto annuale dell’Istat pubblicato a maggio 2016). Molte delle giovani generazioni non vedono prospettive davanti a loro. Un tempo, nell’Europa del dopoguerra, una prospettiva c’era ,si chiamava “stato sociale”. La garanzia che lo Stato avrebbe aiutato i cittadini, offerto opportunità e garantito pari diritti a tutti. Le politiche neo-liberal di Cameron e dei Conservatori, le riforme e le innovazioni volute dalla terza via blairiana hanno però aperto la strada alla scomparsa dello Stato Sociale, scomparsa accompagnata da drastici tagli di risorse pubbliche alla spesa sociale e ai servizi. Lo stesso sta succedendo in Europa: diminuzione dei diritti dei lavoratori, taglio alla spesa sociale e alle pensioni, aumento dell’età pensionabile, aumento dei contratti di lavoro precari; basta guardare la riforma del lavoro portata avanti da Hollande in Francia.
Accanto alla diminuzione dei diritti e della spesa sociale, assistiamo ad un aumento dell’invecchiamento della popolazione e ad un drastico calo delle natalità.
Le conseguenze di questo sono sotto gli occhi di tutti: una società invecchiata e timorosa di perdere il suo status quo; giovani generazioni arrabbiate perché con tassi disoccupazione giovanile cosi elevati ( in Italia al 42%), molto probabilmente molti di loro non ce l’avranno nemmeno una pensione o se ce l’avranno sarà nettamente inferiore rispetto a quella dei loro nonni o dei loro genitori. Ed è in una società cosi rancorsa e disuguale, che s’insinuano i populismi e le tensioni sociali ed etniche. Se lo scontro etnico compatta, mettendo un “ noi” contro un “loro”, lo scontro intergenerazionale è quello che lentamente e inesorabilmente rompe il tessuto sociale di un Paese. Lo scontro intergenerazionale soffia sul fuoco, mette gli anziani contro i giovani, spiegando ai primi che i loro diritti/privilegi sono in pericolo perché qualcuno vuole toglierli, e ai secondi che quei diritti/privilegi non li avranno mai. Proprio come successo col Brexit, giovani inglesi ed europei per il “Remain” che accusavano anziani inglesi di avergli strappato il futuro e di essere degli egoisti scegliendo di votare per il “Leave”.
LA SINISTRA DEVE CAMBIARE ROTTA E VELOCITA’ – Davanti a tutto questo, s’impone per la sinistra (non solo italiana) un cambio di rotta e velocità. Bisogna fare presto e intraprendere la strada giusta; quella della lotta contro le disuguaglianze sociali, contro i corporativismi, contro l’Europa degli interessi finanziari. Dobbiamo pensare a un modello di sviluppo basato non più sulla semplice accumulazione della ricchezza, e non possiamo seguire nemmeno un modello sovietico o cinese in cui lo Stato e pochi adepti detengo immense quantità di ricchezza. Dobbiamo aprire una nuova strada per un modello di sviluppo basato sul capitale umano, sulla formazione delle nuove generazioni, sulla solidarietà. Sulla consapevolezza di ciascuno di noi, giovane o anziano che sia ,che se si vuole il bene della comunità bisogna essere disposti a superare gli interessi individuali in nome di un interesse collettivo. Quest’ultimo ragionamento è valido sia per ogni singolo individuo, che per ogni nazione europea. Solo in questo modo potremmo superare la situazione di crisi, costruendo una società e un’Europa migliore di quella attuale.
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Ludovico Di Traglia
Sono nato a Roma nel dicembre del 1995, fin da piccolo sono stato un tifoso della Roma; squadra che tifo e supporto anche oggi. Negli anni del liceo, mi sono iscritto avvicinato alla politica come rappresentante d'istituto e ho maturato l'idea che fare politica volesse dire occuparsi del benessere della collettività. Sempre negli anni del liceo, mi sono iscritto ai Giovani Democratici (organizzazione giovanile del PD) e a Libera. Frequento il secondo anno di Economia alla Sapienza, a Roma, e sono il Responsabile Organizzazione dei Giovani Democratici del Lazio.