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La Venere influencer di propaganda, un’altra prova di inettitudine e sperpero

La campagna promozionale del duo Santanchè-Sangiuliano potrebbe entrare in un manuale di marketing per spiegare come e cosa non si deve fare. Nove milioni di euro buttati al vento e una manifestazione d’immensa ignoranza. L’uso della Venere del Botticelli, trasformata in una giovane influencer in abiti alla moda, con maglietta da scugnizza napoletana pronta a mangiare una fetta di pizza (sul lago di Como), o in abbigliamento da sci (naturalmente sulla poco conosciuta Alpe di Siusi), è una cafonata degna del cattivo gusto dei parvenu provenienti dalla Omsa. Le spiegazioni dell’Armando Testa sono patetiche, arroganti e penose come quando si afferma sulla Venere del Botticelli che “erano più di 500 che non si parlava di lei così tanto”. E intanto resta in silenzio un ministro dell’incultura che non è alla prima uscita infelice, avendo iscritto alla destra il povero Dante, come suo primo atto al ministero. Ma questo è solo un aspetto.

Vediamo la sostanza. In un qualsiasi corso di marketing viene spiegato che una campagna di comunicazione e marketing si fonda su tre presupposti: individuazione del target, ovvero del destinatario della comunicazione; obiettivi della campagna; risultati attesi e verifica di quelli effettivi. Per la ministra il target è una volta l’universo mondo l’altra quello dei “giovani” che frequentano i social e, che, come è noto, tutto fanno sui social meno che di occuparsi di cultura e subire la comunicazione. E poi quali giovani? Di quale età? Di quali paesi? Regola: più ampio è il target, meno efficace la promozione. Per giustificare i 9 milioni la Armando Testa ha specificato che questi sono destinati alla “pianificazione media in ututti i principali mercati: Europa, Paesi del Golfo, USA, Centro e Sud America, Cina, India, Sud est Asiatico e Australia. Insomma il mondo con l’esclusione dell’Africa (troppo povera) e del Polo Sud (poco popolato).

Passiamo agli obiettivi. Il principale è portare il paese al primo posto per numero di viaggiatori. Attualmente la graduatoria mondiale del turisno vede in testa la Francia (89 milioni di visitatori) seguita dalla Spagna (84), dagli USA (79); dalla Cina (66), dall’Italia (65). Questi dati hanno risentito degli effetti del Covid ed è presumibile, come pare dalle prime stime, che esse subiranno un balzo in avanti nel corso dei prossimi anni. Dovrebbe essere evidente che un paese come la Cina possa vedere una crescita esponenziale (come già accaduto nel corso degli anni passati). La Francia, che solo a Parigi ospita 15 milioni di visitatori, ha una offerta molto più articolata, e differenziata di quella italiana. La Spagna esercita una concorrenza molto forte con prezzi competitivi.

L’obiettivo del primo posto appare solo come un proposito ideologico sotto l’ubriacatura del made in Italy. La campagna, poi, si muove soprattutto sulle località più note: le città d’arte o altri luoghi già da tempo attrattori di turismo. Una lucida follia: il 50% dei visitatori italiani lo fa per vacanze e, di questi, il 42,9% va al mare, il 21,2% in montagna, il 31,9% in città d’arte. Il restante 4% sfrutta una diversa offerta turistica.

Sulle città d’arte abbiamo un carico di visitatori impressionante: Roma ha circa 30 milioni di visitatori, un rapporto di 15 visitatori per abitante; a Firenze i visitatori italiani e stranieri sono stati 2.143.645, circa 6 visitatori ad abitante. Venezia ha oltre 7 milioni di turisti all’anno, 100 per ogni abitante. Gli appelli per evitare la catastrofe a fronte di questi numeri si moltiplicano. E così, mentre i sindaci parlano di numero chiuso, di regolazione dei flussi nelle aree urbane, la ministra va in direzione contraria, cerca consenso nelle categorie che operano nel settore prospettandogli facili e lauti guadagni senza preoccuparsi di chi nelle città vive e regalando sconti fiscali agli albergatori.

Invece di operare per creare nuova offerta turistica valorizzando, ad esempio, il turismo che cerca natura, ambiente, piccoli borghi, enogastronomia, itinerari culturali, la ministra spinge ciò che già è noto nel mondo e ha numeri che difficilmente potranno salire senza effetti devastanti sulle nostre città d’arte. Intanto ci si appresta a chiudere gli uffici per la coesione territoriale, quelli che appunto si occupano del territorio italiano periferico attraverso le risorse europee, quello dove sarebbe possibile rilanciare un diverso tipo di turismo.

Infine, manca del tutto una puntuale indicazione dei risultati attesi, così da evitare poi di rendere conto dello sperpero di risorse pubbliche.
Più defilato, ma egualmente dannoso, il ministro Sangiuliano ha consentito l’uso di una delle opere d’arte di maggior rilievo nella cultura in aperto contrasto con il Codice dei beni culturali e con il vergognoso decreto 161/2023, di cui accennereomo tra poco, che all’articolo 2 recita: “Indipendentemente dal canone o dal corrispettivo individuato, la concessione per l’uso e la riproduzione dei beni culturali è comunque subordinata alla previa verifica di compatibilità della destinazione d’uso della riproduzione con il carattere storico-artistico dei medesimi beni culturali, ai sensi dell’articolo 20 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”. Ma Sangiuliano vuole che la cultura dia vantaggi economici e che dunque non sia fruita, ma sfruttata, che tutto vada pagato, non solo i musei e le aree archeologiche, ma come dimostra appunto il Decreto 161 ogni genere di uso di qualsiasi elemento che abbia a che fare con il patrimonio culturale, Il decreto rappresenta una sorta di patologica manifestazione del far profitto ad ogni costo.

E intanto si ignorano i venti siti di promozione turistica delle regioni italiane, competenti in materia, non si utilizza la ricca documentazione della loro articolata offerta turistica da loro proposta, non si lavora a coordinarle, ma si reinventa l’acqua calda. Non è la prima volta che accade: lo avevamo già visto con Rutelli e con altri ministri che avevano proposto inconsulti portali nazionali, morti dopo un anno o addirittura pochi mesi perché impossibili da gestire e privi di qualsiasi utilità pratica.

E si umiliano ancora una volta gli 84 Istituti di cultura italiana all’estero la cui competenze è in carico al Ministero degli esteri e che hanno tra i loro compiti l’organizzazione di eventi di arte, musica, cinema, letteratura, teatro, danza, moda, design, fotografia, architettura e altro ancora; offrono corsi di lingua e cultura italiana; creano contatti tra gli operatori culturali italiani e stranieri. Ad essi potrebbero essere affidati compiti di promozione della cultura italiana con una maggiore puntualità grazie ai rapporti di questi istituti con le autorità locali, la stampa e i media. Ma chiedere tutto questo a madame ombrellone è impresa ardua.

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