LaFamigliaF_Anna_Foa

L’identità di sinistra come storia e romanzo familiare. Noterella

 

Oltre la storia nazionale. Con la fine del secolo breve è diventato più difficile ripercorere  la storia dell’identità di sinistra come storia “nazionale”.

A conti fatti, la prospettiva della “parentesi dello spirito”, risalente al manifesto di Benedetto Croce del 1925, riposiziona in un altro presente l’orizzonte di aspettative, culturale e politico, che si costituisce nel Novecento: con la lotta antifascista, la Resistenza, la guerra civile partigiana, la costituzione della repubblica,  il ’68 e la caduta del muro di Berlino (Cfr A. Musci La ricerca del sé. Indagini su Benedetto Croce, Macerata, Quodlibet 2018)

E’ forse questa la ragione per la quale gli studi che indagano la storia dell’identità di sinistra in Italia, in una rete transnazionale, sembrano meno legati alla nostalgia delle aspettative di futuro che animavano quel presente. Senza negarlo, ricostruiscono e incrociano storia sociale e storia politica e quindi, non a caso, la vicenda degli “esiliati” e dei “rifugiati”  che si svolge  tra le sponde nell’Atlantico e nella stessa Europa degli anni Trenta (cfr H. Stuart Hughes Bologna Il Mulino 1977, e P. Burke, Bologna, il Mulino 2013 e 2019)

 La Famiglia F.  di Anna Foa (Roma-Bari Laterza 2018), giunto in breve alla seconda edizione, documenta alcune di queste vicende raccordando  “storia familiare” e “storia della sinistra”, senza “cadere nell’autobiografia” (p. 161) di un gruppo dirigente o di un partito che si fa stato.

L’aria che si respira, leggendo il libro,  non è quella della militanza comunista, gramsciana, degli intellettuali “organici”, raccontata negli ultimi decenni da Rossana Rossanda ( Torino Einaudi 2005), da Luciana Castellina (Milano, Nottetempo 2011),  da Miriam Mafai (Milano Rizzoli 2012).

Nella scrittura di una storica di eccellenza, affiora, qui, un altro canone di militanza, molteplice e corale, risalente a Piero Gobetti, a Gaetano Salvemini. Sullo sfondo della Torino degli anni ’30, si incrociano professioni e popolo, stile di vita e disciplinamento, che danno luogo alla tradizione diversificata, difficile, drammatica, della sinistra di Giustizia e libertà, dei detenuti e degli esiliati del partito d’azione o se si vuole del socialismo in qualche modo “eretico” di .

Questa militanza non impegnava solo per le idee e per i comportamenti  ma coinvolgeva, profondamente, prima ancora della professione, la stessa esistenza  nel suo prendere coscienza tra “famiglia” e “società civile”.

Significativamente nel volume dedicato “alle due ultime  arrivate Aileen e Chiara”, la Guerra civile spagnola è evocata, tra i vissuti dell’ autrice bambina (I cap.), per la morte a 24 anni di uno zio, Renzo Giua : fratello della madre, da subito antifascista,” il più giovane del gruppo di ex studenti che gravitava intorno ad Augusto Monti” (p. 6,)—“per nostra madre un mito e tale era divenuto per noi” (p.48).

Condotta di vita e militanza. Nell’orizzonte di figure, di anni, di generazioni, il libro, documenta quanto i valori, storicamente, camminano sulle gambe degli uomini, impregnati delle loro scelte, dei loro stili di vita, della compenetrazione tra ricerca intellettuale e militanza.

Esemplare in proposito è ancora la figura di Renzo Giua. “Lo zio Renzo”, si legge a più riprese, frequentava il giro di Massimo Mila, di Norberto Bobbio, di Giulio Einaudi. Come Nicola Chiaromonte, e l’amico Mario Levi, fidanzato di “zia Anna” e fratello di Natalia (“che sarebbe divenuta, sposando Leone, Natalia Ginzburg”), era dalla parte di un socialismo libertario, antileninsta, alla Andrea Caffi – un socialismo che avrebbe condiviso con la tradizione dei “comunisti… nelle prigioni e nella Resistenza” non le idee ma appunto il vissuto: il “campo dell’educazione morale, dello spirito di sacrificio, della militanza” (pp. 8, 9 ,12 30), dell’eroismo in quanto decostruzione di un ”abito cortigiano” (Gobetti).

Per un verso dalla parte del vissuto, è evocata pure l’antica origine ebraica della famiglia, “la città d’origine dei Foa”, Moncalvo, e insieme “l’emancipazione degli ebrei”, la lotta per i diritti civili, la shoah, la stessa militanza “nel gruppo torinese di Giustizia e libertà (.p.42).

A poco a poco  i ricordi si intrecciano e si aggrovigliano. Tra vissuto e prassi di nuovo fa capolino con la “leggenda dello zio Natale” il canone della militanza.

Nel capitolo dedicato a “zio Natale” imparentato con “Adele, la bisnonna di Primo Levi” (p.28) viene ipotizzata nella “nascita del Partito comunista” la frattura, la separazione dalla tradizione socialista che teneva insieme “socialismo e anarchia”, ”istanze riformiste e violenza rivoluzionaria” (p. 30).

La famiglia. Nel groviglio tra storia e famiglia è  evocato sia “il bisnonno Lollini”,  “avvocato che difendeva in maniera militante e non ‘tecnica’, anarchici e attentatori”, uno dei fondatori del Partito socialista, “aggredito e bastonato dai fascisti nel suo collegio elettorale a Sora”; sia Gregorio Agnini, fratello della bisnonna dell’autrice, anche lui tra i primi militanti del Partito socialista, “deputato per oltre trent’anni, fondatore delle leghe dei braccianti in Emilia” , che nel 1946 presiedette la Consulta con un stile “violentemente anticlericale” , a tratti “eroico” (pp. 30, 31-33,35,42).

In famiglia “l’eroismo, scrive l’autrice, costituiva una modalità ovvia [sott. mia]….comprendeva anche regole quotidiane di comportamento: non lamentarsi di ogni piccolo dolore, camminare senza fare storie, non piangere, tenere alta la testa, vivere una dimensione politica e non solo privata” (p.48).

Nella Guerra partigiana sulla base di tale ovvietà, “tutta azionista”, si immaginò, una società diversa non solo da quella liberale e fascista ma anche ”molto diversa da quella che immaginavano i comunisti, stretti tra l’obbedienza all’URSS e la via italiana al socialismo progettata da Togliatti ed attuata con l’alleanza con la DC” (p.90;Sul tema cfr. A Garosci La conscience historique  en Italie depuis la liberation in Les Temps modernes 1947 n. 23-24)

Le donne. Colpisce nella scrittura di Anna Foa il tracciarsi della sequenza delle generazioni e della condizione femminile avvinghiata all’universo maschile.  La “bisnonna Elisa” che aveva fatto un matrimonio d’amore, si legge, non era “dedita solo alla cura della casa e della prole” ; aveva col marito “un rapporto fatto di condivisione culturale e politica oltre che di affetto”. Dalle “carte di famiglia” la sua figura appare come quella di “un’attiva femminista impegnata non solo nella lotta per il suffragio femminile ma anche nel sostegno alle donne lavoratrici” (pp. 33-.34). La zia Anna-“sorella maggiore di mio padre” (pp. 57 e 68) da cui l’autrice prende il nome—portava ”orgogliosamente la fede d’oro al dito, quando tutte le donne l’avevano dato alla patria” (p.70). E alla nonna Clara sfugge  un vissuto , una “versione diversa della sua vita: suo marito[ dice ad Anna] aveva preferito la politica e l’aveva lasciata sola a tirar su la famiglia; Renzo era andato a farsi ammazzare”…. (p.48).

La “scarsa considerazione delle donne” (p. 42) non soltanto durante il “grigiore spirituale” della dittatura fascista (p.55) ma nella stesso snodo della famiglia liberale e nel suo giocare un ruolo  durante la Resistenza, è raccontata con accenti asciutti che colpiscono nel segno: La zia Anna, emigrata sull’altra sponda dell’Atlantico, “era stata tolta dalla scuola, dove era bravissima, prima di finire il liceo, perchè aveva rifiutato di sposare il candidato che la famiglia le aveva proposto”. Nella partecipazione alla Resistenza alle “belle ragazze” veniva affidato il compito di trasportare armi nelle carrozzine per bambini o  in pesanti valigie  (pp. 33-48, 68-71, 73-86).

In qualche modo, sullo sfondo delle vicende di famiglia fanno capolino, perfino cenni dell’inizio di un lontano presente, “nazionale” e “sovranista”: quando era vietata la ricerca della paternità, ed  era proibito alle donne l’esercizio dell’ avvocatura; quando si guardava con sospetto alle donne  laureate in medicina e in generale si pensava che le donne erano “troppo suggestionate dai preti”; per cui estendere loro il diritto di voto suscitava resistenze perfino all’ interno del Partito socialista, “come ne avrebbe suscitato ancora a sinistra nel secondo dopoguerra” (pp.35, 37, 38).

E’ forse in particolare sul versante dei diritti civili , dei diritti di genere, dei diritti umani che il testo di Anna Foa sembra  considerare l’ Europa, ”dopo la catastrofe di due guerre e un immane sterminio” (p. 162): l’Europa  come terreno di superamento critico delle storie “nazionali”, del loro orizzonte di senso – e quindi, si potrebbe anche aggiungere, dell’orizzonte di eccezionalità della storia italiana, sedimentata nella eccezionalità di una pretesa vivente

Teory…..

Commenti