Sabato 10 marzo a Firenze hanno manifestato quindicimila persone in ricordo di Idy Diene, l’uomo senegalese ucciso a freddo, a colpi di pistola da Roberto Pirrone, sul Ponte Vespucci, lunedì 5 marzo. Qualcuno lo ha definito “un sussulto di civiltà”, uno spiraglio di umanità, o il riemergere dell’orgoglio di quella Firenze città aperta che poco più di quindici anni fa era stata capace di porre all’attenzione mondiale i pericoli di una globalizzazione dei mercati, che non tutela i lavoratori, i migranti e l’ambiente.
La marcia per Idy Diene è stata in un certo senso una marcia di riconciliazione con i principi di solidarietà, di accoglienza, di apertura internazionale che costituiscono ancora oggi valori ben radicati nella comunità fiorentina, troppo spesso travolti dal crescente clima di odio e intolleranza, incapaci di emergere ed affermarsi con fierezza e determinazione.

Ma la morte di Diene ha contribuito a mettere in luce anche altro. Ha mostrato a tutti noi che esiste una comunità senegalese (e probabilmente anche altre comunità straniere) che si sente in pericolo, che si sente oggetto di un razzismo sotto traccia, ma diffuso, alimentato dalla recente competizione elettorale e infiltratosi nella società rischiando di divenire senso comune, passivamente tollerato.
Questo è il messaggio che le comunità senegalesi hanno voluto lanciare alla città di Firenze, chiamando ad una manifestazione che fosse al tempo stesso il “ricordo doloroso di una persona cara” e ricordata con affetto anche da tanti fiorentini, “ma anche una affermazione collettiva del rifiuto dell’incitamento all’odio nei confronti dei migranti e rifugiati che ha caratterizzato in modo marcato il dibattito pubblico nell’ultimo anno”.

Per questi motivi, la vivace partecipazione della città ha un valore simbolico importante ed impegna tutti in un cammino per la costruzione di una comunità cittadina più giusta, più accogliente e più solidale.
Il risultato era tutt’altro che scontato. I primi giorni dopo la morte di Idy Diene, la tendenza a minimizzare, escludendo i fini razziali dell’omicidio, e a circoscrivere i fatti nell’ambito di una spiacevole fatalità, hanno inibito una riflessione profonda sul tragico evento. Inizialmente limitata è stata anche l’eco sui social, dove ben presto si sono moltiplicate accuse e battute sulle fioriere divelte da alcuni senegalesi durante la manifestazione spontanea nel giorno stesso dell’omicidio. Pochissime, seppur significative, sono state le presenze cittadine alla manifestazione spontanea su Ponte Vespucci del giorno seguente all’uccisione, mentre si assisteva quasi impotenti alla difficoltà di individuare un canale che portasse le comunità senegalesi e le autorità cittadine ad un confronto sereno e proficuo per un’elaborazione collettiva della morte di Idy Diene.

Ma lentamente, ora dopo ora, qualcosa è cambiato. Il mondo dell’associazionismo e del sindacato, le scuole, i collettivi studenteschi, alcuni commercianti, i cittadini e le cittadine di Firenze hanno iniziato a percepire che il cordoglio per l’uccisione di Diene chiamava in causa tutti noi ed era l’occasione per ribadire insieme un no deciso al razzismo, alla violenza e all’odio che mettono in pericolo tutti, perché minano le regole di una convivenza pacifica. A poche ore dalla manifestazione anche la Repubblica Firenze, con un editoriale di Sandro Bertuccelli dichiarava con decisione “Per essere chiari: quello di Idy Diene è un omicidio razzista”.
E’ stato un percorso di graduale acquisizione di consapevolezza a cui si è accompagnato un intervento delle istituzioni, comunale e regionale, di grande significato.
Il Comune si farà carico delle spese del rimpatrio della salma e proclamerà l’atteso lutto cittadino nel giorno del funerale nella città di Firenze, che ha sottolineato il sindaco Nardella è “diventata la sua casa”; la Regione stanzierà un contributo di ventimila euro a favore Ndeye Rokhaya Mbengue, vedova di Idy e già vedova di Samb Modou.

L’abbraccio a Idy Diene è stato l’occasione per riconoscerci tra simili e riaffermare con coraggio i valori dell’accoglienza e della solidarietà, ma fuori da quella piazza la battaglia è ancora lunga. Le parole di odio, di risentimento nei confronti dei migranti e i commenti di disapprovazione all’intervento delle istituzioni, che hanno inondato la rete, lasciano pensare che ancora troppo poco abbiamo capito del clima di intolleranza che si sta diffondendo nel nostro paese e molto probabilmente non possediamo ancora né le parole, né gli strumenti per contrastarlo.
Tra i toccanti striscioni presenti alla manifestazione, uno recitava:
Sulla pelle il sudore ha lo stesso colore. Prima gli italiani? Prima gli sfruttati!
Forse dovremmo ripartire proprio da qui.

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