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Massimo Cacciari: il “dramma” di Machiavelli, il sapere del Principe non utilizzato

Pubblichiamo la parte conclusiva dell’intervento di Massimo Cacciari che, al Salone del libro di Torino, ha partecipato ad un confronto su “Politica, ovvero l’arte dei pazzi“, insieme ad Enrico Rossi, presidente della Toscana ed esponente di LeU, e Michele Ciliberto in occasione della presentazione della ristampa completa (curata da Michele Ciliberto) delle opere di Machiavelli edita da Bompiani e promnossa dalla regione Toscana.

[…] Una questione fondamentale su cui vorrei concludere. […]

Dove sta il dramma che Machiavelli stesso non comprende?

Il dramma è che tutto questo sapere è un sapere che dovrebbe risultare utilissimo al principe, di qualunque principe di qualunque regione, questo sapere viene respinto, non viene utilizzato. Veniva utilizzato in parte in una certa situazione repubblicana, cessa di essere utilizzato.

Parrebbe di capire che nello Stato moderno, lo stesso Stato la cui ragione Machiavelli tenta d’indagare, questo sapere risulta inutilizzato.

E il dramma di Machiavelli, la tragedia personale è questa.

Negli ultimi anni della sua vita Machiavelli cerca disperatamente, ovunque e comunque, che il suo sapere venga messo alla prova. E non gli riesce.

Dove sta la ragione per cui, nel contemporaneo, a noi sembra di constatare questa divergenza tra sapere e potere?

Forse, azzardo alcune idee, Machiavelli non è abbastanza esplicitato, un tema su cui sono tornato anche in altre occasioni. Ossia, la diversità del principe fra la sua fase di conquista e la sua fase di durata.

Sono due i principi, in effetti.

È proprio la stessa virtù quella che permette al principe di conquistare lo Stato e poi quella che permette al principe di far durare un governo che incarni la ragione di Stato.

Non è lo stesso principe, ma è il centauro, il vero centauro è questo.

Ma la cupiditas dominandi che deve emergere prepotente nella prima fase del principe, nel principe numero uno, come può essere combinata con la volontà di sapere dello scienziato? Anche di quel particolare scienziato che è scienziato politico.

Sono due caratteri completamente diversi.

Non sarà sempre lo scienziato sospettato dal politico, se il politico inevitabilmente ha in sé quell’aspetto cupiditas dominandi che travolge ogni incertezza e dubbio connesso alla dimensione del sapere?

E lo scienziato inevitabilmente induce il principe a riflettere e a pensare, anche quando gli esprime la verità effettuale.

La verità dello scienziato è sempre una verità in dubbio, inesorabilmente.

E questo può andare bene al principe che governa, ma il principe che conquista, il principe che deve afferrare la Fortuna per il ciuffo, deve decidere rapidamente in tempo breve, superando con forza quel pallido spettro del pensiero di cui dice Amleto. Primo motivo.

Secondo motivo: lo scienziato ha il dovere – e anche Machiavelli ce l’ha – di dire quella che gli pare essere la verità. Dice: per il principe che vuol far durare uno Stato, o conquistarlo, Parigi val bene una messa.

Ma nel momento stesso che il principe, afferma lui, “Parigi val bene una messa”, quella cosa perde di ogni efficacia. La verità effettuale dice: “il re è nudo”, ma quando il re dice “sono nudo”, come si combinano le due cose?

Soltanto se lo scienziato cessa di dire la verità.

Quella verità effettuale di cui parla Machiavelli, non la dice più e diventa un ideologo del principe.

Al principe servono scienziati o servono degli ideologhi?

Machiavelli non può essere ideologo, dice le cose come stanno, la verità effettuale, filosofia dolorosa ma vera.

Ma il principe cosa se ne fa della filosofia dolorosa ma vera?

E allora lo scienziato non dovrebbe più esprimere quella filosofia, dovrebbe tenerla nascosta. Ma se lo scienziato tiene nascosta la verità, cessa di essere tale.

Questo è un po’ il dramma, che Ciliberto indaga, il dramma vero di Machiavelli.

Perché il mio sapere è inutile? Perché non sono chiamato?

Perché, tu, scienziato non sei un cortigiano.

E il principe moderno vuole cortigiani.

Inizia qui una lunga deriva. Il principe moderno non se ne fa nulla di quel politico che è Machiavelli.

Ci sono dei frammenti di Nietzsche in cui pensa a un tractatus politicus. Era immediatamente nelle pagine successive alla sua riscoperta del suo amore per Spinoza. Spinoza contiene Machiavelli, Spinoza non c’entra nulla con Hobbes, nulla.

Qual è l’esempio del politico di questo tractatus che Nietzsche vorrebbe scrivere? È Machiavelli. Ma Machiavelli, dice, è il tipo della perfezione in politica. Ma si tratta di machiavellismo “pur, sans mélange, cru, vert, dans toute sa force, dans toute son âpreté”, in francese lo dice.

Ma cosa se ne fa un principe di un machiavellismo puro, senza confusione, crudo, duro, forte, aperto, che non cede a nulla?

Cosa se ne fa di un Machiavelli perfetto il principe?

Ma se Machiavelli non esprimesse con perfezione, con chiarezza antica, ciò che sa, cesserebbe di essere Machiavelli. E se continua a essere Machiavelli, giustamente, il principe di lui non se ne fa nulla.

È così o no, Michele [Ciliberto]? A te l’ardua risposta.

Di seguito la registrazione video completa della tavola rotonda

 

Foto in evidenza: Massimo Cacciari, Michdele Ciliberto ed Enrico Rossi, al Salone del Libro di Torino, per ls presentazione della ristampa del volume della opere complete di Machiavelli

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