MANIFESTAZIONE CGIL

Nuovo soggetto o Costituente della Sinistra?

Mi preme proporre una riflessione sulle ragioni della sconfitta in Italia (e in buona parte dell’Europa) della sinistra socialdemocratica, riformista, radicale. La disfatta italiana,infatti, viene dopo quella francese, quella tedesca, quella spagnola. Certo situazioni diverse, ma non prive di elementi comuni. Questa considerazione mi porta ad affermare che è indispensabile costruire prima del programma un’analisi nuova della realtà, perchè i programmi si costruiscono dalle analisi e dalla conseguente comprensione degli obiettivi che si vogliono raggiungere.

In quale scenario ci troviamo? A partire dagli anni Novanta abbiamo assistito ad un progressivo trasferimento del potere economico, finanziario, politico che si è spostato dalla dimensione nazionale a quella sovranazionale, in quel complesso processo di globalizzazione che ha pervaso l’insieme della nostra azione, il cui connotato maggiore è la trasformazione della democrazia così come ‘abbiamo definita dopo il seguente dopoguerra.

L’Unione Europea e i suoi trattati, l’ingresso dei paesi emergenti all’inizio del millennio nel WTO (Cina e India in primis), il mercato globale sono tutti elementi che hanno spostato parte del potere decisionale dai parlamenti nazionali ad altri soggetti, in settori quali la concorrenza e il commercio, attraverso meccanismi volti a regolamentare i rapporti tra i diversi stati e tra questi e il resto dei continenti. Le decisioni sono passate a organismi tecnici, selezionati dalle elite politiche ed economiche e che non hanno bisogno del consenso dei cittadini per assumere decisioni.

La dimensione mondiale della finanza, resa più forte dall’avvento delle nuove tecnologie, ha determinato la crescita del potere delle grandi banche e soprattutto dei Fondi di investimento. Con buona pace del capitalismo industriale novecentesco, il peso della finanza sulle politiche mondiali è cresciuto a dismisura. La liberalizzazione dei mercati, fondamento stesso della economia globale, ha favorito la redistribuzione della ricchezza verso l’alto, accentuando le diseguaglianze all’interno delle nazioni e modificando la anche la distribuzione dei redditi su scala internazionale (Cina, India, altri paesi emergenti hanno visto crescere il reddito complessivo con un riequilibrio con i paesi di più antica industrializzazione, ma le disparità all’interno di ciascuna di esse si sono accentuate, soprattutto tra realtà urbana e realtà agricola). Che il peso della finanza sia cresciuto lo dimostra la crisi del 2008, con gli effetti drammatici sul debito pubblico, sul risparmio, sul credito: tutte le risposte sono state dettate dai mercati finanziari e dai tecnocrati che di quella crisi erano gli artefici.

Il ruolo della politica si è ridotto: nel mondo globalizzato il ruolo della tecnocrazia ha surclassato la politica e anzi ne ha fortemente condizionato la cultura e la visione del mondo, a partire dal modo di concepire il cittadino diventato oggetto del governo, con un ruolo marginale: non si governa con il cittadino, si governa il cittadino e le ragioni tecniche vengono portate a giustificazione di tutti i processi decisionali. “Cari cittadini – questo il ragionamento – i problemi sono complessi, il mondo globale richiede rapidità e competenze, spetta alle elite il governo. Voi potete votare, ma le decisioni vanno prese dai migliori, dai tecnici, da chi sa”.
Il contenuto dell’articolo uno della Costituzione nella prassi si è modificato: “La sovranità non appartiene più al popolo, ma appartiene a chi sa come affrontare la complessità, a chi è in grado di controllare le persone con tutti i mezzi”. La vicenda di Cambridge Analytica con 50 milioni di persone che sono state rapinate non solo dei propri profili, ma delle proprie ansie, speranze, paure e che sono diventati oggetto di una comunicazione personalizzata volta ad orientare i loro comportamenti, la dicono lunga sul modo di intendere il ruolo dei cittadini, che è poi quello che la globalizzazione gli assegna: essere un pezzettino, una piccola insignificante vite di un ingranaggio immenso che funziona grazie alle elite, uniche in grado di controllare la macchina mondo.

Qui a mio avviso sta il punto: rispetto alla globalizzazione la sinistra non è stata in grado di costruire una propria visione del mondo che avesse a fondamento l’idea che non ci poteva rassegnare ad una globalizzazione pervasiva ed assoluta, che ha perso la fantasia e il coraggio e che, quando ha capito le distorsioni che provocava, si è limitata all’idea di mitigarne gli effetti peggiori, ma sempre dentro un quadro di compatibilità macroeconomica. Faccio solo alcuni esempi: l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione non è stata contrastata adeguatamente. Ha prevalso l’idea che gli equilibri di bilancio fossero la condizione per recuperare competitività. Di fatto si è dato ragione a Draghi che ha affermato che il welfare state è morto per sempre.

Penso anche ad alcune affermazioni di Liberi e Uguali: “un mercato che sia attento al consumatore”; “il valore e il ruolo della meritocrazia”; “un nuovo rapporto tra capitale e lavoro”. In cosa si sono tradotte? In qualche liberalizzazione, immediatamente divorata da accordi sottobanco o da monopoli, o peggio, portatrice di grandi diseguaglianze e di un altrettanto grande impoverimento di interi settori sociali, nella logica che il pesce grande mangia quello piccolo; in una idea che la meritocrazia potesse garantire il successo dei migliori mentre invece serve a legittimare le disuguaglianze, non a ridurle e – come ha scritto un economista – giustifica l’idea che esista ancora una mobilità sociale, che invece non c’è più; con lo snaturamento del ruolo del sindacato, della contrattazione aziendale, con la fine della concertazione e la progressiva erosione dei diritti del lavoro.

Le proposte politiche che ne sono scaturite accettavano supinamente la concezione della vita e del mondo proposte dalla globalizzazione. Penso alla legge Fornero e al fatto che ha guardato agli equilibri finanziari e ha ignorato l’idea che l’uomo non si esaurisce nel lavoro, ma ha bisogno di recuperare il tempo di vita, fatto di famiglia, letture, svago: ma queste cose, nel mondo globale sono per pochi, mentre per la stragrande maggioranza c’è sempre meno spazio per il valore della vita. L’impoverimento e la riduzione dei salari ha finito per considerare redditi adeguati quelli di 800 1000 euro al mese netti, tanto da impedire l’accesso ai servizi del welfare. Le medie hanno prevalso nell’analisi economica sulla eterogeneità, la statistica ha vinto sulla vita reale, con il pollo di Trilussa messo in soffitta.

Penso al Sud, alla mancanza di politiche nazionali e alla inadeguatezza di quelle regionali. Come è stato osservato giustamente da Marta Fana e Giacomo Gabbuti sull’Internazionale, pensare che il sud abbia votato 5 Stelle sul miraggio del reddito di cittadinanza, impedisce di vedere come i divari regionali, fenomeno comune a tutto il continente, in Italia abbia raggiunto livelli non più tollerabili. In entrambi i casi, dentro e fuori l’area dell’euro, le forze della globalizzazione sembrano accrescere non solo le disuguaglianze tra ricchi e poveri, ma anche tra provincia e centro, tra centro e periferie.

In questo contesto la proposta politica della sinistra è stata adeguata? Io credo francamente di no. Piuttosto è apparsa balbuziente, collocata tutto dentro la visione del mondo imposta dalla globalizzazione e dai suoi (pochi) protagonisti, incapace di avere una propria analisi e concezione del mondo . La “mucca nel corridoio” non era la destra con il suo sovranismo o il populismo dei 5 Stelle: la mucca era l’incapacità di uscire dalla cultura delle compatibilità di sistema, di limitarsi alle politiche dell’assitenza (quella renziana degli 80 euro), alla riduzione del danno, alle ipotesi massimaliste
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Torno alla Legge Fornero e al suo significato politico, culturale ed economico. Cosa ha detto la sinistra di alternativo? Nulla. Ma, e qui non so che risposte dare, c’era qualcosa che si potesse dire senza lasciare questo compito ai 5 stelle o alla lega? In altri termini, su questo e su altro, è possibile che l’alternativa sia tra l’accettazione della cultura della globalizzazione, magari rivisitata e temperata alla luce di una maggiore giustizia, e le politiche sovraniste e populiste?.
Ci siamo limitati a parlare dei lavori usuranti, senza mai riflettere sul lavoro in sé nella realtà del capitalismo e della globalizzazione. L’usura del lavoro sta nel fatto che viene trattato come una merce, che sottrae tempo alla vita, assorbendone larga parte, prima nella fase di formazione, che si vuole orientata sempre più verso il futuro lavoro e non alla persona; poi come lavoro (e tempo per raggiungere il posto di lavoro); tutto nella precarietà, nella mancanza di sicurezza e di certezze, con il logoramento quotidiano dell’operaio, dell’artigiano, dell’edile, ma anche dell’insegnante, dell’addetto al call center, di chi digita dati davanti a un computer. E’ la sinistra che ha perso la consapevolezza dell’alienazione del lavoro, del suo ridurre l’uomo ad accessorio del prodotto. Certo che il lavoro da valore alla persona, ma se il lavoro gli sottrae dignità, diritto allo svago e alla conoscenza, magari in nome del diritto del consumatore, ecco che allora il lavoro è solo oppressione e sfruttamento. E così le aperture domenicali dei negozi, gli orari lunghi, la gestione della logistica hanno mostrato tutti i loro limiti culturali..

Il nostro tempo richiede la riproposizione di valori, ideali, la riscoperta di parole che abbiamo dimenticato, ma anche la capacità di scegliere soluzioni che rompono gli schemi delle classi dominanti. Questo è possibile se troviamo un luogo collettivo di discussione, se riusciamo a far rivivere in forme nuove l’intellettuale collettivo. Ma questo luogo collettivo dovrà essere caratterizzato da nuove pratiche democratiche nella formazione delle idee e dei gruppi dirigenti. Non un partito con le regole che abbiamo conosciuto, ma con nuovi meccanismi che garantiscano la possibilità a ciascuno di portare un contributo, un luogo collettivo dove accettare le diversità, mitigarle nella pratica politica perchè si condividono le prospettive di lungo periodo. Ecco perchè più che la costruzione di un soggetto, nell’immediato sarei più favorevole alla definizione di regole per una costituente della sinistra.

Come seguire questa strada? Con un protagonismo più forte dei territori, con la capacità di creare percorsi e pratiche nuova a partire da qui, con la costruzione di nuove relazioni tra i diversi soggetti della sinistra, con l’individuazione, a partire dai territori di comuni obiettivi. Certo serve intelligenza e generosità e soprattutto serve un lavoro collettivo anche di formazione politica, di accresciemento delle conoscenze, senza perdere la capacità di sintesi. E’ la cosa più difficile: anni e anni di politica personalistica, di veri e propri clan (gli amici di…), hanno ridotto la voglia di partecipazione e fatto crescere l’idea della inutilità della partecipazione. Sarà molto difficile ricominciare.

Concludo dicendo chiaramente che servirà tempo anche per costruire nuovi gruppi dirigenti sia a livello locale sia a livello nazionale. Ci sono stati errori di tutto il gruppo dirigente e in ognuno dei soggetti politici che hanno costruito lo schieramento elettorale. La fastidiosa ripetizione dello slogan “per un nuovo centro sinistra”, un massimalismo dal linguaggio incomprensibile, una tendenza a porsi come grillo parlante e per tutti uno scarso impegno per la riforma della politica. Questi gruppi dirigenti non devono essere rottamati, ma devono fare un passo di lato, diventare una risorsa di competenze ed esperienze, ma abbandonare un ruolo politico che rende l’intero movimento poco credibile.

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