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Perché la lista dei 100

Sui nomi dei principali clienti in sofferenza presso il sistema bancario italiano si è scatenata in questi giorni una tempesta mediatica, spesso non ben informata, frutto di nomi e società raccolti in modo poco chiaro e pubblicati, mischiando, a volte, situazioni di normalità o quasi con altre di evidente anomalia.
 La pubblicazione della “lista dei 100” debitori che più hanno prodotto perdite a MPS è stata richiesta, da ultimo, persino dal Presidente dell’ABI (e della Cassa di Risparmio di Ravenna), Antonio Patuelli (che ha accennato anche al possibile reato di mendacio bancario a carico di costoro), dopo le prese di posizione di diversi mesi fa del Presidente della Toscana Enrico Rossi, seguito più di recente dal Luigi Zingales, docente di economia alla University of Chicago oltre che autorevole giornalista e osservatore dell’economia italiana.

Se le banche vengono salvate con i soldi pubblici è eticamente giusto che si conoscano i nomi dei principali debitori“, ha affermato Patuelli. 
In molti hanno richiamato, talvolta in modo callido, la tutela della privacy, ma sembra sempre più prevalere, anche tra esponenti di governo, la tutela ben più importante degli investitori in titoli bancari, dei risparmiatori e dei contribuenti. La richiesta di un’eccezione alle attuali regole della privacy (istituite per tutelare le persone e non le società) trae origine dalle nuove regole sul “bail in”: le crisi bancarie oggi vanno risolte attingendo all’interno della banca (nell’ordine, azionisti, obbligazionisti subordinati, obbligazionisti “senior” e depositi oltre i 100 mila euro) e, per le banche a rilevanza sistemica, anche al denaro del contribuente.

Inoltre, per le situazioni affrontate con intervento del “fondo di risoluzione delle crisi“, l’esborso è a carico “pro quota” di tutte le banche, buone e in difficoltà, il che spiega in buona sostanza l’intervento di una persona esperta e prudente come il Presidente dell’ABI.

Sull’argomento si registra pure il giudizio del banchiere Alessandro Profumo, ora a capo di Equita Sim e già Presidente di MPS per alcuni anni: “un potenziale punto positivo è quello per cui si si creerebbe una pressione reputazionale sui debitori che non onorano il loro debito”, dichiara in una intervista a “Il Foglio”, aggiungendo che “il timore dei debitori di essere messi alla berlina aumenta il controllo sociale”. Insomma, è giusto che i cittadini conoscano i nomi dei grossi debitori insolventi che magari vivono da nababbi.

Queste le questioni di merito sul tema del dibattito, ma per fare maggiore chiarezza sulle dimensioni del fenomeno serve un’analisi dei numeri. Qui ci soccorrono i dati della Centrale dei Rischi gestita dalla Banca d’Italia; dati pubblici che possono essere attinti scandagliando il suo sito istituzionale, tra l’enorme massa di dati statistici messi in rete in materia di credito e risparmio.
 Il totale delle sofferenze censite nella Centrale dei Rischi ammonta a 186,7 miliardi, naturalmente al lordo delle ingenti svalutazioni operate dalle singole banche (i dati sono al 30 settembre 2016). 
Si tratta della sommatoria di 1 milione e 260 mila affidati in default, a partire da 250 euro di debito in mora. 
Le sofferenze sono solo in minima parte frutto di mancati pagamenti delle famiglie e delle micro imprese. Infatti, 1 milione e 34 mila clienti della coorte tra 250 e 125 mila euro hanno prodotto sofferenze al sistema bancario italiano per soli 21,1 miliardi, cioè per l’11% del totale. Meno dei 22,5 miliardi causati dai primi 572 cattivi pagatori, quelli della categoria “oltre i 25 milioni di euro” di debito non onorato. 
Se ai “grandi fallimenti” nazionali sommiamo gli oltre 5 mila clienti in default da 5 a 25 milioni e i 7600 da 2,5 a 5 milioni, arriviamo a 87,4 miliardi. In pratica, quasi la metà delle sofferenze delle banche italiane derivano dalla clientela più grande, quella che è stata in grado evidentemente di influire sugli esponenti bancari nelle concessioni di credito rivelatesi perdenti.

La concentrazione reale del rischio è tuttavia ben più alta di quella che si evince da tali dati che censiscono, ovviamente, le posizioni singole. Se fosse possibile, invece, aggregare le sofferenze come “gruppi” (non ricostruibili a tavolino ma di certo ben note ai controllori), le sorprese sarebbero ancora maggiori.

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