Domenica 7 gennaio, l’assemblea nazionale di Liberi e Uguali, sui i cui lavori potete ampiamente leggere su questo stesso giornale, ha messo a punto alcune importanti proposte programmatiche e adottato linee di indirizzo chiare sulle prossime candidature. Il passo successivo sono le assemblee regionali, in corso di svolgimento, che dovranno esprimersi, appunto, su programma e candidature.

Per quanto mi riguarda, ho partecipato all’assemblea regionale pugliese che si è svolta ieri a Bari. Assemblea, è il caso di rimarcarlo, partecipatissima. Ho trovato molto efficace l’introduzione di Alfredo D’Attorre, soprattutto in un passaggio quando, cioè, ha detto che il mondo non finisce il 4 marzo.

Intendeva evidentemente dire che l’appuntamento elettorale è sì importante, importantissimo, ma altrettanto importante, se non di più, è cosa succederà dal 5 marzo. Non in Parlamento, ma nella sinistra che intendiamo costruire. Ciò che mi ha lasciato piuttosto perplesso (eufemismo) è la passione che le decine di intervenuti hanno mostrato nel sostenere questa o quella candidatura, lasciando programma e futuro di Liberi e Uguali sullo sfondo. Mi ha molto divertito, e per alcuni versi inquietato, il fatto che alcune argomentazioni a sostegno avevano più il sapore di quello che giornalisticamente viene definito “coccodrillo”, piuttosto che di solide argomentazioni politiche. Prevaleva su tutto e tutti l’accorata esaltazione di quanti hanno, o avrebbero, forti consensi sul territorio in virtù del loro impegno politico e sociale, della loro attività amministrativa, del presunto carisma personale, di capacità rare. Anzi, uniche. Ovviamente non potevano mancare, manco a dirlo, appassionati appelli al coinvolgimento della “società civile”. Il ragionamento, mi è parso di capire, è che le nostre proposte, il taglio o l’eliminazione delle tasse universitarie, le maggiori risorse alla sanità pubblica, gli investimenti pubblici per la messa in sicurezza del territorio, l’eliminazione di alcune inaccettabili norme contenute nel Jobs Act, e via elencando, potrebbero avere successo e guadagnarci consensi solo se veicolate da candidati azzeccati. Assolutamente giusto quanto sbagliato!

Mandare in Parlamento donne e uomini capaci e competenti che affianchino con efficacia Pietro Grasso non esaurisce il compito e la prospettiva politica che Liberi e Uguali dovrebbe darsi. Anzi, paradossalmente ma non troppo, proprio in termini di prospettiva politica è probabilmente marginale.

Vediamo di spiegarci e capirci. Qualche mese fa Peppino Caldarola scrisse che apparteneva ad una generazione politica per quale se ad un militante avessi proposto una candidatura in Parlamento, ci sarebbe rimasto male perché avrebbe preferito gli avessi offerto la carica di segretario provinciale di partito.

Nella foto: I partecipanti all’assemblea regionale pugliese di Liberi e Uguali

A quanto pare la scala delle preferenze personali, delle ambizioni di molti, risulterebbe rovesciata e viene sempre più sottovalutata la circostanza che quelle, le ambizioni, si nutrono del consenso. Non personale, ma politico. E i consenso politico lo crea una forza organizzata e credibile. Lo creano i partiti. Le capacità personali non potranno mai sostituirsi alla rete di relazioni che un partito crea, alimenta e consolida nei territori. Un partito elabora una propria idea di società, di futuro, di relazioni sociali ed economiche. Un partito non può limitarsi a prevedere l’abolizione del Jobs Act, ma deve indicare un suo modello di mercato del lavoro. Perché un partito deve assumere la consapevolezza che la reintroduzione dell’art. 18 (sacrosanta) non elimina e non contrasta le inaccettabili forme di precariato e, per certi versi, di schiavitù 2.0. e che continuerà, di fatto, a garantire chi è già garantito. Un partito deve porsi il problema di come e quali misure di tutela adottare per i lavoratori di Foodora, Almaviva e delle centinaia di call center che lo Statuto dei Lavoratori non immaginava nemmeno potessero crearsi. Un partito dovrà farsi carico del problema che la limitazione del diritto allo studio non riguarda solo le tasse universitarie che alcuni non possono permettersi, ma anche il fatto che più delle tasse universitarie non possono permettersi l’affitto di un posto letto.

Insomma, se non c’è un partito non ci potranno essere politiche per la salute pubblica, per l’ambiente, per gli investimenti, per le pensioni in età ragionevole, per il diritto allo studio, per il lavoro che potranno avere successo. Ribadire che dovrà trattarsi di un partito aperto a tutte le sensibilità presenti nella società, è di una banalità tale che il solo risentirlo mi provoca crisi di panico! A parte le ridotte identitarie, di quelli che “vogliono rompere la frammentazione” (sì lo so che ne ho già parlato e scritto, ma la mancata comprensione di tale assunto mi crea più ansia della mancata comprensione significato artistico di “Napoli Velata”), chi vorrebbe un partito chiuso? E dell’incomprensibile esaltazione della società civile, voglaimo parlarne? Quando ero studente universitario a Firenze, partecipavo (era quasi obbligatorio che lo facessi) alle riunioni della sezione universitaria del PCI. Lì intervenivano, studiosi quali Cesare Luporini, e mi limito ad un solo nome. Credo che Luporini si rivolterebbe nella tomba, probabilmente dalle risate, sapendo che intellettuali del suo calibro oggi sarebbero definiti “società civile”. Il mondo delle professioni, dei saperi, dell’associazionismo, i cosiddetti corpi intermedi della società, sono stati sempre interlocutori, magari privilegiati, dei partiti, ma nessuno ha mai pensato di intestarsi una presunta superiorità morale, culturale e politica nei confronti degli stessi. La storia, anche recente, ci ha dimostrato che la società civile e il “civismo”, proiezione politica di quella, raramente sono stati all’altezza delle aspettative, dei compiti e dei problemi con cui si sono cimentati.

Pietro e i suoi fratelli, quindi, a Montecitorio e a Palazzo Madama o saranno l’avamposto di un partito serio e credibile che bisognerà costruire dal 5 marzo, o saranno l’ennesima, forse ultima, occasione sprecata.

Nella foto di copertina: Alfredo D’Attore a Bari durante l’intervemnto all’assemblea regionale di Liberi e Uguali

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