Rottamata anche la legge sul consumo di suolo. Un altro fallimento della legislatura delle larghe intese
Questa mattina La Repubblica, nell’ambito di una rubrica sulle “promesse mancate” di questa legislatura, ha approfondito il tema dei 1824 giorni perduti per la legge sul consumo di suolo.
La proposta di legge per limitare il consumo di suolo – partita dall’ex Ministro Catania e data come un obiettivo fondamentale dall’ex premier Enrico Letta – era orientata a ridurre il futuro utilizzo del suolo vergine per nuove urbanizzazioni.
In ballo ci sono 8000 kmq di territorio da qui al 2050 e la possibilità di fornire ai comuni strumenti che consentano di rivedere le previsioni passate, legittimare una strategia finalizzata all’utilizzo di aree giù urbanizzate ed evitare assurdi contenziosi a quegli amministratori che per l’interesse pubblico decidessero di mettere mano a qualche interesse privato.
Una normativa nazionale sul consumo di suolo avrebbe potuto fornire alle Regioni ed ai Comuni prescrizioni utili per far decadere le vecchie previsioni edificatorie e porre limiti cogenti sulla futura pianificazione, fissando una % di crescita massima consentita rispetto all’attuale livello di consumo del suolo. Basti pensare che al momento abbiamo in Italia una superficie urbanizzata pari al territorio dell’intera regione Lombardia.
E’ molto raro che controverse operazioni urbanistiche per realizzare un nuovo ed inutile insediamento residenziale o un grande centro commerciale vengano sia concepite che attuate dalla stessa amministrazione. I casi più frequenti sono legati “alle eredità” e cioè a previsioni di sviluppo nate in un contesto economico e sociale superato.
Le scelte dei sindaci degli ultimi 20 anni si riverberano quindi su quelli attualmente in carica che spesso si trovano a dover gestire l’arrivo al traguardo di operazioni molto discusse. Questi ultimi, per inerzia, per assenza di coraggio o perché vincolati da atti che impegnano i comuni, si trovano quindi in una difficile situazione.
La sensibilità sul tema è cresciuta, la correlazione tra impermeabilizzazione del suolo ed il dissesto idrogeologico è ormai acquisita. Al contempo è evidente che l’attuale quadro economico ha reso assurde speculazioni immobiliari che sembrano avere attualità solo nei bilanci di coloro che da anni le spingono, non volendo avere ricadute negative sui propri conti patrimoniali o non volendo perdere qualche futura possibile occasione.
La gran parte degli amministratori dotati comunque di buona volontà si ferma di fronte al rischio di un risarcimento danni o di fronte a pareri legali che evidenziano i rischi personali di chi compie una certa scelta.
Inoltre l’incertezza nella quale si collocano, anche in termini di pagamento delle imposte, le edificabilità previste e non ancora attuate, rendono complesse le operazioni unilaterali di riduzione delle previsioni edificatorie.
In questo senso una normativa nazionale che stabilisca alcuni principi fondamentali per rimettere nelle mani del pubblico le strategie relative al territorio secondo criteri di interesse generale, avrebbe come grande risultato il rafforzamento del ruolo dei comuni.
Un consiglio comunale potrebbe quindi – serenamente – motivare un cambio di rotta o lasciar decadere una previsione non più attuale senza il timore di un ricorso.
A ciò si deve aggiungere il voluto ridimensionamento del ruolo delle province nel controllo delle pianificazioni urbanistiche comunali. In molte realtà del nostro paese le province – con i propri piani territoriali di coordinamento – hanno portato equilibrio rispetto alle richieste dei privati e dei comuni, proponendo una strategia capace di evitare eccessive concentrazioni di interventi commerciali o rapportare lo sviluppo di un insediamento con la presenza delle infrastrutture di collegamento.
Sul fronte delle regioni è da segnalare la legge regionale 65/2014 della Toscana, una norma studiata per limitare il consumo di suolo ed individuare le aree più vulnerabili in termini di dissesto idrogeologico e di emergenze paesaggistiche. L’Emilia-Romagna sta discutendo una nuova norma regionale proprio in queste settimane ma i criteri ispiratori sembrano essere molto diversi rispetto a quelli della Toscana: viene rafforzato il ruolo del privato ed i limiti posti per i prossimi 30 anni acquisiscono gran parte delle previsioni pregresse, rendendosi – di fatto – quasi inesistenti.
Immagino che per la mancata approvazione di una norma nazionale si accamperà la solita scusa: con la vittoria del NO al referendum costituzionale si è impedita una riforma dello Stato in senso monocamerale ed il rimpallo tra lai due rami del Parlamento ha allungato a dismisura i tempi di approvazione.
Sono bugie. Posto che la riforma costituzionale non avrebbe agito sulla legislatura in essere, va rilevato come la norma per aggirare il referendum sui voucher sia stata approvata in pochi giorni da entrambe le camere. Analogo discorso vale per l’approvazione del Rosatellum 2, una legge elettorale che favorisce le liste bloccate per l’elezione del prossimo Parlamento.
Al consumo di suolo con tutta probabilità toccherà invece lo stesso destino dello ius soli, con pari sollievo degli speculatori e dei razzisti.
Liberi e Uguali porterà il tema del consumo di suolo nella prossima campagna elettorale.
Le foglie che compongono la “E” del nostro simbolo sono quelle che servono agli alberi per regalare ossigeno ai grandi centri abitati inquinanti, sono l’elemento che ci protegge dalle isole di calore generate dai cambiamenti climatici, sono il simbolo di quel patrimonio ecologico che dobbiamo difendere e tutelare nel nome delle future generazioni.