IMG_6527

The Guardian: La tecnologia è diventata un altro modo che hanno gli uomini per opprimere le donne

La tecnologia non è mai davvero neutrale. Per le donne, è terreno di discriminazioni sia sul posto di lavoro che nell’uso quotidiano degli strumenti.

Il legame fra sessismo e tecnologia è balzato agli onori della cronaca quando, a febbraio di quest’anno, quando l’ingegnera Susan Fowler ha scritto delle molestie sessuali subite mentre lavorava a Uber e della sua conseguente decisione di lasciare l’azienda. Dopo la sua denuncia, è stata aperta un’indagine e molti dirigenti chiave di Uber hanno abbandonato. Molte altre donne, inoltre, si sono fatte avanti per denunciare il clima misogino e i continui abusi subiti nell’industria tecnologica. Da questi racconti, emerge che il problema del settore non è che le donne, come avevano suggerito alcuni, “non si buttano”, ma la cultura di molestie e discriminazione che trasforma molti posti di lavoro in un incubo dove la sicurezza e la serenità delle lavoratrici viene continuamente messa in discussione.

Ma – scrive Lizzie O’Shea sul Guardian – «il problema del sessismo nell’industria tecnologica è molto più profondo e ampio. Lo sviluppo tecnologico sta minando, in altri modi, la battaglia per l’uguaglianza». La prima legge della tecnologia dello studioso americano Melvin Kranzberg ci dice che la tecnologia non è né buona né cattiva, ma non è nemmeno neutrale: è piuttosto uno schermo nero che riflette i problemi della società – e questo comprende anche l’oppressione delle donne. Alexa, l’assistente domestica di Amazon, ha una voce femminile. Il sistema di accesso agli spogliatoi di una palestra, come riportano le cronache di qualche tempo fa, ha rifiutato l’entrata a una dottoressa perché il software registrava chiunque con il titolo di “dottore” automaticamente come un uomo.

«Ma il problema – continua O’Sheanon riguarda solo gli strumenti tecnologici che riflettono una visione retrograda del ruolo delle donne». Il problema va oltre. Spesso, questi strumenti non prendono in considerazione le esperienze reali delle donne. Con l’espansione del cosiddetto “internet delle cose”, sempre più dispositivi raccolgono informazioni e le inviano ai vari network, un processo che possiamo controllare in maniera molto limitata. Ciò crea problemi ai membri più vulnerabili della società. Prendiamo ad esempio chi è sopravvissuto a violenze, stupri o le vittime di stalking.

Inoltre, sottolinea sempre O’Shea, non sorprende che la tecnologia sia utilizzata dai persecutori: una ricerca condotta da organizzazioni che si occupano di violenza domestica rivela che il 97% delle utenti sopravvissute hanno subito molestie, sono state vittime di stalking e hanno ricevuto minacce a causa dell’uso deviato della tecnologia da parte dei loro oppressori. Questo accade spesso tramite cellulari e social network, ma non solo. A questo scopo – si apprende sempre dalla ricerca – vengono utilizzati anche altri mezzi, ad esempio spyware installati negli strumenti digitali dei figli. Molti centri di accoglienza sono arrivati a vietare l’uso di Facebook per paura che le persone ospitate potessero involontariamente rivelare la propria posizione. Una soluzione a tutto questo sarebbe permettere che gli utenti avessero un maggiore controllo sui dati forniti ai propri dispositivi.

Un altro modo in cui la tecnologia può essere sessista sono gli automatismi legati alla produzione di testi: i bot per le conversazioni e i suggerimenti di ricerca, per fare due esempi. Ai software viene fornita una grande quantità di testi (corpora) affinché possano imparare nozioni basilari e le corrispondenze più frequenti nella lingua. I software sviluppano un dizionario basato sulle associazioni e restituiscono una fotografia del mondo reale, piuttosto che di un mondo ideale. Prendiamo ad esempio Word2vec, uno strumento che elabora il linguaggio naturale ed è stato istruito con tre milioni di parole prese da Google News. A domande come “Uomo sta a donna come programmatore sta a…?” e “Padre sta a madre come dottore sta a infermiera” il programma completa rispettivamente con “casalinga” e “infermiera”.

La tecnologia non è cattiva, ma bisogna capire che non è neutrale. È uno schermo nero e, in quanto tale, dovremmo impegnarci per cambiare l’immagine che viene riflessa.

Commenti