Gianni Cuperlo e Matteo Renzi
ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Come può un scoglio arginare il mare

Io nutro grande stima nei confronti di Gianni Cuperlo. Anche affetto. Siamo quasi coetanei ed è stato l’ultimo segretario della FGCI. Non sono contagiato, però, dalla nostalgia, quanto piuttosto dalla vicinanza umana e politica per aver percorso insieme un lungo e comune cammino politico.
Ora quella vicinanza, quel tratto comune si è interrotto. Paradossalmente si è interrotto in nome di quei valori, di quell’analisi della realtà, di quelle valutazioni politiche che ancora ci uniscono. Ho ascoltato, perciò, con grande interesse l’intervento di Cuperlo all’ultima Conferenza programmatica del PD e ciò che per me era solo un dubbio, è diventata convinzione: Gianni è un raffinatissimo intellettuale, ma non un eccellente uomo politico. E la circostanza non necessariamente può essere deribricata a difetto.
Rivolgendosi a chi ha scelto di abbandonare il PD, ha affermato che se costoro ritenessero che l’ostacolo al dialogo, al tentativo di riannodare le fila di un confronto, sia il segretario, sbaglierebbero.

Lo diciamo anche a Cuperlo e per l’ennesima volta: no, non siamo ossessionati da Renzi. L’ostacolo non è lui ma le politiche che rivendica. Proprio quelle politiche che lo stesso Cuperlo immediatamente dopo, nel suo intervento, contesta duramente: Jobs Act, scuola, bonus, Sblocca Italia, per citarne solo alcune. Bellissima la metafora da lui usata per contestare l’elargizione di bonus a giovani studenti senza alcuna distinzione di reddito: in casa dei notai i libri ci sono, in casa dell’operaio o, peggio, del disoccupato no.
Così come chiara e condivisibile l’analisi delle dinamiche politiche ed economiche degli ultimi quaranta anni. La rottura dell’equilibrio tra capitale e lavoro, che per decenni ha garantito e fatto progredire grandi masse sociali, ha determinato la vittoria delle destre e la cultura liberista su cui si basavano (e si basano). Il lavoro degradato a merce e il primato del consumo: l’uomo valutato solo ed esclusivamente come consumatore. Questa era la nuova entità sociale e l’aveva intuito per primo Steve Jobs: “se compri un I Phone non compri un oggetto, ma uno stato sociale”.
Tutto è stato svenduto sull’altare del primato del mercato, anche e sopratutto i diritti di chi lavora.

Oggi, sostiene Cuperlo, a 500 anni dalla riforma di Lutero, dalla pubblicazione delle sue tesi, occorre essere un po’ eretici, perchè le ricette sino ad ora sperimentate non bastano più. Il problema della sinistra, quindi, non è il treno (riferendosi sia al treno del PD, che al luogo dove la conferenza si è celebrata: il museo nazionale ferroviario) ma il percorso e chi far salire.
Ciò che però ancora sottovaluta Cuperlo e il gruppo dirigente di quel partito è chi e quanti da quel treno sono scesi. E perchè. Il mare forza otto della destra e dei populisti non lo puoi arginare con lo scoglio di un presunto riformismo dal fiato corto e miope, perchè quelle politiche che egli stesso denuncia sono ancora la piattaforma programmatica del PD. Renzi, nelle sue conclusioni, pare non aver ascoltato nulla di quanto detto da Cuperlo. Prosegue come un carro armato nell’autorivendicazione dei suoi presunti successi. Da dove partiamo per cercare di “ricucire”, “rammendare”?

Il PD oggi, e lo dico con estrema sofferenza, non è quello degli auspici di Cuperlo o Veltroni, è altro. E’ un luogo dove il confronto politico ha definitivamente ceduto il campo a becere contrapposizioni di potere, a lotta per gli assetti attuali e futuri. I recenti congressi territoriali hanno in prevalenza raccontato questo. Non ci sono linee politiche e programmatiche su cui confrontarsi. Questo è demandato, quasi stanco rituale, agli interventi nelle occasionali riunioni della Direzione, nella consapevolezza che nulla si decide e si deciderà di diverso rispetto a quanto già stabilito dal segretario e dalla sua maggioranza.

No caro Cuperlo, io non ho abbandonato il PD perchè mi considero antropologicamente diverso da Renzi. Io ho abbandonato il PD per mio figlio, perchè sento il peso del debito morale e politico nei suoi confronti e verso le nuove generazioni.
Mio nonno, patendo il confino e il carcere fascista, ha lasciato in eredità a mio padre la democrazia, la libertà. Mio padre e la sua generazione ci hanno donato i diritti, non senza sacrifici personali e collettivi. Io non posso, non devo, lasciare a mio figlio le tutele crescenti, il lavoro precario e l’inversione di direzione dell’ascensore sociale. Io vorrei lasciare a lui ciò in cui anche Cuperlo crede: la possibilità di vivere in una società migliore, più eguale. E sì, proprio per questo abbiamo bisogno di una forza politica che sia eretica. Veltroni alla festa per il decimo compleanno del PD esortò i presenti a non aver paura della parola sinistra. Vorrei rilanciare: non bisogna aver paura della parola socialismo. E’ l’unica eresia possibile, l’unico argine al neoliberismo, alle destre, alla paura. Un moderno socialismo che sappia di inclusione, di integrazione, di tolleranza, di nuove opportunità. Il futuro.

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