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Comunicare la politica, la “sfida” da vincere per la sinistra. Dopo aver visto Renzi da Floris

L’intervista di Matteo Renzi a DiMartedì dove ha “duellato” prima con Giovanni Floris e poi anche con Massino Giannini, Massimo Franco e Alessandro Sallustri è l’ennesima pagina vecchia della politica “televisiva” italiana. Una pagina vecchia che ha portato, a mio modo di vedere, ad aumentare il disinteresse degli italiani per la politica e confermare gli obbiettivi e l’atteggiamento di Matteo Renzi in vista dei prossimi mesi.
Parlo di “pagina vecchia” per due motivi principali: il primo è che sono mancati i contenuti e un’analisi istantanea della veridicità delle cose dette in trasmissione dai protagonisti del dibattito; il secondo motivo è che non abbiamo assistito, per l’ennesima volta, ad un dibattito tra due piattaforme politiche e programmatiche, bensì ad uno spettacolo televisivo individualista e poco politico, in stile Berlusconi da Santoro nel 2013 per intenderci, con la differenza che in quell’occasione Berlusconi riuscì davvero a surclassare l’impostazione giornalistica di Santoro e Travaglio.

L’atteggiamento generale di Matteo Renzi è stato positivo, nel senso che è riuscito comunque a tenere testa ai suoi “avversari” in studio, nonostante si presentasse da sconfitto e dovesse dar conto del governo del paese: ha cercato di deviare il punto, spostare il focus e buttarla sul personale. Ha giocato a chi è più “casta” e più “cittadino”, non ha quasi mai pronunciato la parola sinistra, ammettendo la sconfitta in Sicilia con una serie di “ma”, relegandola quasi esclusivamente ad un “problema di comunicazione” e, infine, scommettendo, e mettendo in gioco tutta la sua carriera, sulle politiche del 2018 (“il giudizio sul Pd si dà alle elezioni politiche”).

In sintesi, è uscito quasi indenne dalla trasmissione ma certamente senza contribuire positivamente al suo futuro politico. Ha dato dimostrazione di essere sempre in bilico tra il far prevalere la fiducia nelle proprie idee e la rabbia nei confronti di chi non la pensa come lui.
Comunicava difficoltà di fronte ad un fuoco di domande piuttosto aggressivo (cosa che, ad onor di cronaca, da Floris accade sempre, chiunque venga intervistato). Il segretario del Pd si è dimostrato una persona abbastanza provata da una situazione difficile all’interno e all’esterno del partito, e senza un chiaro disegno sulle strategie dei prossimi mesi.

Dal punto di vista quantitativo la presenza di Renzi da Floris è stata seguita molto. La trasmissione DiMartedì ha registrato 2.123.000 di spettatori con uno share del 9% e un boom sui social.
La sfida è partita sui social e li si è combattuta anche durante la diretta.
L’intervista di Renzi da Floris infatti, che ha avuto inizio con il duello su Twitter con Di Maio, si è giocata anche molto sui social network durante la diretta. Sono stati infatti più di 40.000 i tweet legati all’hashtag #DiMartedì.

Nella foto: Matteo Renzi e Massimo Gianni (di Repubblica) in un momento del confronto televisivo a DiMartedi su La7

Quello che è avvenuto dimostra che il legame tra social e Tv è sempre più stretto, un fenomeno in forte crescita, anche in politica: da un’analisi elaborata da Twig, infatti, si desume che nel primo semestre del 2017 più di 5 milioni di italiani hanno commentato sui social i loro programmi preferiti.
Cosa ci dice tutto questo? Che la Sinistra deve ripensare profondamente l’atteggiamento e l’impostazione sulla comunicazione, partendo da due domande chiare: perché dovrebbero votare noi? Chi vogliamo rappresentare? Da lì in poi si costruisce attorno una campagna di comunicazione efficace che sfrutti le moderne tecnologie di elaborazione e divulgazione.

Questi dati tecnici la Sinistra dovrà pur prenderli in considerazione se vuole provare ad affrontare la prossima campagna elettorale ad armi pari.
Ecco alcuni appunti basilari sui quali è importante, dal mio punto di vista, far partire tutta l’analisi sul piano di comunicazione di un partito politico:

  1. Il 70% degli italiani è analfabeta funzionale, c’è bisogno di semplicità e sintesi se vogliamo arrivare a tutti, unito ovviamente anche ad elaborazioni più complesse e approfondite.

      2. I cittadini non danno più importanza alle singole parole “destra” e “sinistra” ma bisogna ricostruire attorno ad esse una nuova piattaforma programmatica unita ad una narrazione ideologica.

     3. Domandarsi cosa è un partito oggi. Il futuro partito di Sinistra avrà un’impostazione orizzontale o leaderistica? Cambia completamente l’organizzazione e la comunicazione in un caso o nell’altro.

    4.  Definire un simbolo, un programma radicale e chiaro e un leader. È emblematico, infatti, che molti sondaggi diano l’ipotetica lista di sinistra attorno al 6% quando non esiste ancora un partito, un simbolo, un programma e un leader. È una base di partenza incoraggiante con ampio potenziale di miglioramento.

   5.  Avere un posizionamento ed un’immagine chiara e coerente. Ad esempio, io credo che la Sinistra non debba competere con il PD (lo dimostrano i dati della Sicilia). Non dovendo competere con esso, non deve neanche più guardare ad esso. Basta, quindi, parlare degli avversari, iniziamo a parlare dei problemi degli italiani e della nostra visione dell’Italia da qui ai prossimi 10/20 anni.

    6. È ormai fondamentale attuare un monitoraggio costante dei social e un’analisi del posizionamento web. Tutto ciò si porta avanti attraverso un’analisi delle conversazioni online per capire come gli utenti parlando di un fenomeno o di un candidato sui social.

    7. Sfruttare al massimo le potenzialità virali dei video e delle piattaforme web e social (Instagram, Facebook, twitter, You Tube, App).

    8. Studiare gli algoritmi di Facebook per ottenere il massimo risultato al più basso costo.

    9. Immaginare un corso di formazione politica e di comunicazione in giro per l’Italia tra i militanti, sfruttandolo così anche per fare rete, attuandolo tramite un crowd-funding e una campagna di adesione online (se convinciamo una persona a donare 1 euro, colui si sentirà più coinvolto e ci seguirà di più per il semplice fatto di aver “investito” su di noi).

    10. Fare squadra, creare una comunità. Dopo un’epoca di sfilacciamento dei rapporti personali e di prevalsa dell’Io sul Noi, gli italiani hanno esigenza di sentirsi parte di qualcosa, di una comunità.

    11. Creare una struttura territoriale che permetta di imbastire un “porta a porta” serio e mirato. Il porta a porta non è un volantinaggio per strada (1 su 100.000 viene agganciato tramite questa tecnica) e non è neanche il famoso volantinaggio nelle caselle postali dei condomini (con questo metodo si aggancia lo 0,6%). Con il vero “porta a porta” si costruisce, in base ai dati storici, una rete di persone da contattare (potenziali elettori) e i militanti si devono recare personalmente dai potenziali elettori, ascoltarli e offrire loro le possibili soluzioni.

    12. Ideare campagne di mobilitazione online che facciano sentire coinvolti i militanti e riescano ad arrivare a quanti più cittadini possibile.

    13. Non giocare sul campo dell’avversario ma costruire una narrazione con parole d’ordine nuove che ci caratterizzino. Se si gioca sul campo dell’avversario sarà sempre lui a prevalere, perché è banalmente più bravo!

Queste solo alcune delle cose che dal punto di vista comunicativo deve affrontare, pianificare e studiare un partito prima di affrontare le elezioni. Hanno a che fare con la comunicazione ma anche con l’organizzazione e la visione politica, tutto corre sullo stesso piano. La comunicazione non si elabora in laboratorio, ha bisogno di correre sullo stesso piano della politica, dell’organizzazione e dell’elaborazione intellettuale.
Chi riuscirà a mettere assieme nel miglior modo possibile, sincero e democratico tutto ciò, avrà vinto la sfida.

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