Pd bandiere

Militante o elettore, trova la differenza

Interrogandomi e riflettendo, un quesito è sorto in me naturale: cosa distingue oggi un militante PD da un elettore PD? Dopo che, in sede di elezioni, entrambi hanno messo quella X sul simbolo, che cosa distingue gli uni dagli altri oltre alla proprietà di una tessera e al versamento del contributo al Partito? C’è il rischio che il tutto si riduca davvero a questo: una tessera priva di qualunque sostanza e una base economica certa per il Partito con la quale giustificare l’abolizione dei finanziamenti pubblici, accoltellata profonda al sistema democratico. La domanda è centrale e porta con se un malessere diffuso, anche e forse soprattutto nelle giovani generazioni, quelle native PD. Quelle prive delle tensioni ideologiche novecentesche ma, se possibile, non meno appassionate e volenterose, almeno in termini potenziali.
Tornando alla domanda di cui sopra una differenza tra i due la si potrebbe incontrare in procinto di elezioni politiche: in un tale contesto l’elettore si limita ad andare al seggio. Il militante invece scende in piazza e cerca di fare il pieno di voti. Un pieno però che non può essere fine a se stesso: non stiamo parlando del pieno quotidiano alla macchina che si limita a farla andare avanti. Questo rifornimento deve essere finalizzato ad un lungo percorso, ad un viaggio e ad una meta che tutti devono e dobbiamo condividere e che per questo ci deve anche essere spiegata. Limitandosi a frasi spot poi non ci si può stupire se qualcuno decide di scendere, anche se la macchina è in corsa e anche col rischio di farsi del male. Insomma si stanno perdendo i nostri ma ancor prima, forse, stiamo perdendo noi stessi. Quali sono le ragioni? Cosa è oggi militare? Cosa si aspetta il Partito dai suoi militanti?
Le domande non mancano, la volontà di capire nemmeno, mi pare però che siano le risposte che stentino ad arrivare. I tweet in vista di tornate elettorali o grandi riforme non bastano più (se mai lo hanno fatto), gli hashtag si stanno esaurendo. Se infatti questo è lo stile, se questo è il modo allora capisco perché le persone inizino a farsi una domanda, tanto semplice quanto preoccupante: perché?
Perché dobbiamo vincere? Cosa distinguerà la nostra vittoria e governo, quella di un noi formato anche da transfughi di Scelta Civica e magari Verdiniani (se non Cosentiniani) e quella degli “altri” che sono l’originale al quale noi facciamo il verso?
Perché dobbiamo uscire e distribuire quei volantini? Gli “insulti” e gli sbeffeggiamenti di chi non è d’accordo con me li accetto, anzi sono medaglie d’onore da esporre al petto, ma gli “insulti” o meglio l’indignazione dei compagni di una vita come faccio a sopportarli? Come faccio ad accettare che chi sento vicino a me sia oggi tanto lontano e chi invece con me, con la nostra storia, non ha nulla a che vedere sia oggi così vicino?
Si sta perdendo il confine, quello che stabilisce il noi e il loro. Si sta perdendo il senso, della militanza, della tessera, della partecipazione e qualcuno potrebbe dire del Partito. Iniziamo a chiamarli “grandi contenitori” allora, qualcuno potrebbe considerarla una definizione più appropriata. Compito del Partito, dei suoi militanti e dirigenza è quello di dare un senso alla complessità, definendo percorsi e obbiettivi per plasmarla.
Allora da militante mi aspetto di più, non mi accontento di avere una tessera nel portafogli o un contributo annuale da versare: non è una pay tv che sto sostenendo.
Allora mi si spieghi il perché. Si utilizzino i momenti collettivi del Partito per parlare ai militanti e non agli elettori. Si utilizzino per motivare le scelte (se ciò è possibile mi viene da aggiungere) e non per aumentare il numero dei voti. Basta con la campagna elettorale permanente che oggi si perpetua con la giustificazione che la volatilità dell’elettorato e il malessere diffuso portino tutti a cercare di accaparrarsi più voti possibili e che quindi non ci si possa fermare un attimo per parlare “con i tuoi”. Questo è il risultato della disgregazione perpetuata da chi porta avanti la “evidence-based policy” come se oramai, con la caduta delle ideologie, si fossero disgregate anche le differenze tra un operaio ed un dirigente d’azienda. Come se davvero l’unica differenza oramai esistente tra destra e sinistra stesse nel come vengono trattati i diritti civili.
Allora si attuino delle consultazioni interne al Partito, si chieda ai militanti cosa pensano di determinate politiche e riforme. Gli si chieda che tipo di Partito vogliono. Gli si dica cosa li distingue da un fugace elettore e perché dovrebbero stare lì. La carriera è l’ultimo dei pensieri della maggioranza dei militanti ma una certa classe politica non riesce a vedere che questo come fine e senso della partecipazione attiva. Ma prima di fare tutto ciò gli si spieghino le ragioni, di una parte e dell’altra. Si smetta insomma di credere che i militanti PD si siano ridotti ad essere dei volontari privi di capacità critica da tirare fuori al primo evento di Partito o da ringraziare strumentalmente per primi quando questo viene inaugurato. Militanza è di più, è partecipazione vera, è influenza e comprensione, è studio, è sentirsi parte di una comunità nella quale non mi aspetto di essere sempre d’accordo con tutti ma nella quale non voglio avere il timore di trovarmi con persone che, non solo con la mia storia, ma con le mie idee, non hanno mai avuto e non hanno tuttora nulla a che fare, se non la convinzione che il PD debba vincere le elezioni.
Mi si permetta infine di votare il mio Segretario (perché devono farlo esterni al Partito?): colui che rappresenta il Partito con i suoi militanti e non la carica da ricoprire senza la quale la Presidenza del Consiglio rimane preclusa. Si ridia dignità al Partito, alla sua tessera, alla sua classe dirigente, presente e futura, alla sua formazione, ai suoi organi, alle sue primarie. Si ridai insomma un senso al militare. Perché fare ciò significherà ridare dignità ai cittadini che nei Partiti credono, dignità alla politica e dunque dignità alla democrazia.

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