“Bisogna riflettere su alcune caratteristiche peculiari dell’epoca in cui viviamo e pensare ai problemi che cominciano a porsi come decisivi per i prossimi due decenni fino e oltre il duemila. A questa soglia dello sviluppo storico si presenteranno problemi non solo del tutto nuovi, cosa che è accaduta in varie epoche del cammino dell’umanità, ma di portata tale da generare possibilità e pericoli straordinari e sin qui impensati e impensabili (….) Non è possibile non avvertire in molti episodi della lotta politica interna alle forze del Governo una ristrettezza di orizzonte e, talora, un precipitare attorno a non nobili contese di interesse di parte, per le quali si infiammano gli animi e si misurano i muscoli e le cosiddette «grinte»”.

Maggio 1982, Palalido di Milano, 22° Congresso della Federazione Giovanile Comunista Italiana e quello sopra è un brevissimo stralcio dell’intervento di Enrico Berlinguer. Non lo pubblico per nostalgia. Certo, la nostalgia per figure con uno spessore politico come quello di Berlinguer c’è ed è tanta. E più di questa la nostalgia per i miei vent’anni allora. Ero presente, sono testimone diretto.

Lo pubblico per far emergere due dati. Il primo è che sembrerebbe scritto in questi giorni, tanta attualità vi è in una riflessione risalente a trentasette anni fa. Il secondo è l’orizzonte a cui guardava il leader del : non erano le elezioni più o meno imminenti e a quell’epoca con cadenza quasi annuale. Erano l’entusiasmo unito alla preoccupazione su cosa la rivoluzione tecnologica e scientifica avrebbe prodotto nel nuovo secolo. Ci ammoniva a riflettere già allora “intorno alle occasioni offerte dalla scienza per non smarrirne il significato e la portata, per cogliere bene quali prospettive possono essere aperte e quanto gravi siano, di contro, le limitazioni le contraddizioni, i rischi generati dai vincoli sociali e politici e da un uso distorto delle scienza e delle tecniche”.

In sostanza, Berlinguer e il PCI riflettevano già su quale impatto avrebbero avuto le nuove tecnologie sul lavoro e quanta manodopera sarebbe stata sacrificata in tal senso; quale impatto uno sviluppo tecnologico orientato alla massimizzazione del profitto avrebbe avuto sull’ambiente. Il futuro, le conoscenze scientifiche e il progresso tecnologico avrebbero potuto, secondo Berlinguer, porre le condizioni per passare dal regno della necessità a quello della libertà. Ma vi era, avvertiva, un rischio enorme: che tutto questo si potesse risolvere in una nuova enorme ineguaglianza sociale, laddove i vantaggi e la gestione delle risorse materiali e immateriali rimanessero concentrate nelle mani di pochi. Ciò avrebbe determinato un crescente divario tra il nord e il sud del mondo, “un divario intollerabile per ragioni di giustizia e foriero, se non avviato ad essere superato, di esplosioni di imprevedibile portata”.

Come dicevo io quel giorno c’ero. Non fu una giornata di per sé storica. Era un appuntamento sì importante, ma come tanti altri a cui ho avuto la fortuna di partecipare. Storica quell’anno, casomai, fu la vittoria ai mondiali di Spagna. Di più, non solo non storica ma addirittura normale. Perché per me, per quelli della mia generazione e di quelle ancora prima, era normale che la politica, la nostra politica, non si misurasse solo ed unicamente sulle immediate contingenze. Il consenso, così ci avevano educati, non deriva solo da riuscite parole d’ordine ad effetto – che non guastano, per carità – ma in quelle stesse parole ci deve essere una visione, un orizzonte, che non si limiti alla scadenza di un mandato amministrativo o di una legislatura. Ora, se è questo a cui sono stato educato, è comprensibile il mio disagio rispetto ai tweet di Calenda, le ambizioni di Salvini, i congiuntivi di Di Maio e i vorrei ma non posso di Zingaretti?

Che cacchio di futuro immaginano ‘sti personaggi? Qual è il mondo che vorrebbero? Il mondo, non semplicemente il tuo Paese. Perché se non hai una visione dei problemi a livello planetario o, per dire, da qui a qualche mese spari tutti a quelli che arriveranno sempre di più su un barcone, o ti arrendi agli effetti della storia degli ultimi due secoli almeno. Ma il problema è che non hai un piano B. Da qui a qualche anno, decine di milioni di posti di lavoro verranno meno perché le macchine sostituiranno l’uomo nei processi produttivi: come disinneschi, qui e ora, questa enorme bomba sociale? Il futuro, il progresso sono neutri. Il loro governo, no.

Fino ad oggi il governo delle tecnologie, della globalizzazione economica e finanziaria, è stato marcatamente ed unicamente liberista. Con le conseguenze disastrose che conosciamo, che paghiamo e che, nel prossimo futuro, ancora pagheremo.
Esempio semplicissimo. E’ cosa buona e giusta sostenere finanziariamente le imprese per l’innovazione tecnologica e per stimolare la qualità della produzione. Ma, come detto e ampiamente dimostrato, l’innovazione ha come effetto naturale la riduzione di posti di lavoro. Al limite qualche tecnico in più, ma molti “operai” in meno. E comunque il saldo sarà sempre negativo in termini di occupazione. Posto che (spero) nessuno abbia in mente di fondare un movimento neoluddista, quali soluzioni prevedere?

Tutto ciò, credo, sarà il punto di caduta del neoliberismo. In una situazione del genere il mercato non potrà trovare soluzioni adeguate e il corto circuito, soprattutto in termini di tensioni sociali, sarà inevitabile.
Allora, probabilmente, formazione e welfare adeguati saranno la risposta. Unitamente ad un programma massiccio di investimenti di protezione ambientale, territoriale, alimentare. Insomma, rispolverare Marx e Keynes.
Occorre governare il futuro. Il presente è già passato.

Foto in evidenza: Un comizio di Enrico Berlinguer

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