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La realtà ha fatto giustizia delle chiacchiere pentaleghiste: è recessione

Ci siamo. La realtà ha fatto giustizia delle chiacchiere e del bombardamento di notizie volte a distrarre l’attenzione dal tema fondamentale. Siamo in recessione, con un dato peggiore delle aspettative. Lo ha comunicato l’Istat stamane.
I mercati e gli operatori si attendevano un –0,1% di calo e invece nel quarto trimestre 2018 il PIL è crollato dello 0,2% rispetto al trimestre precedente, che aveva anch’esso registrato una discesa dello 0,1%. E’ il calo trimestrale più forte da cinque anni a questa parte; per vedere un dato simile bisogna, infatti, andare indietro al quarto trimestre 2013, quando il Pil segnò lo stesso crollo. Da notare che l’ultima recessione tecnica italiana (cioè due trimestri consecutivi di calo) risale al primo trimestre del 2013.

Tale risultato negativo determina un ulteriore abbassamento del tasso di crescita annuale (cioè rispetto al quarto trimestre del 2017) del prodotto italiano a un imbarazzante +0,1%, dallo 0,6% del trimestre precedente.
Crolla decisamente la produzione industriale e scende quella dell’agricoltura, pesca e affini, mentre i servizi hanno mostrato un andamento stagnante. Causa di tutto questo: il crollo dei consumi interni (comprese le scorte), mentre resta positivo il contributo delle esportazioni. E’, quindi, la componente nazionale che è venuta a mancare.

Frutto della paura degli italiani, frastornati dalla politica contraddittoria ed autolesionista di questo governo, in “guerra” contro tutto e contro tutti. E’ ormai assodato universalmente che l’incertezza e il timore per il futuro spingono i consumatori a rinviare gli acquisti e ad aumentare i risparmi. Lo abbiamo visto nel nostro Paese all’indomani della crisi del 2008 ed anche a seguito della seconda recessione del 2011. Oggi l’Italia paga la politica economica improvvisata di questa maggioranza, l’aumento dello spread, il clima ostile verso l’impresa, l’assistenzialismo con una spesa corrente senza coperture e quindi con la certezza di aumento delle imposte nei prossimi due anni, compresa una eventuale patrimoniale.
Anche l’andamento, sempre positivo delle esportazioni, dimostra ancora una volta che il problema è tutto interno. Vi concorrono altresì l’invecchiamento della popolazione, il calo della natalità e il peso eccessivo del debito pubblico.

Non c’entra niente l’euro e non c‘entra niente l’Europa (che continua a crescere, sia pure a ritmi più bassi del passato): la Francia cresce nel trimestre dello 0,3%, malgrado le manifestazioni di piazza dei Gilet gialli; la Spagna fa un eccellente +0,7% trimestrale e un +2,4% annuale; la Germania non ha comunicato i suoi dati ma si sa che non saranno negativi.

L’aumento per tutto il 2018 del PIL italiano è sceso allo 0,8%; ma solo in conseguenza della crescita avvenuta fino a giugno scorso (guarda caso prima dell’insediamento del nuovo governo).
L’aspetto peggiore della rilevazione dell’Istat, è che con tali dati, la variazione acquisita per il 2019 è di – 0,2%. Il che significa che, se nei prossimi tre trimestri, avremo crescita zero l’anno corrente chiuderà a -0,2%. Un peso che rende impossibile, centrare l’obiettivo del +1% di crescita fissato dal governo in occasione della della legge di bilancio.

I prossimi due trimestri sono attesi, infatti, ancora negativi. Lo ha anticipato ieri anche il Presidente del Consiglio Conte a un incontro con gli industriali lombardi, dopo essere stato alcuni giorni fa in Europa a dirsi convinto che l’Italia potrà crescere di 1,5% nel 2019. Naturalmente attribuendo la colpa a fattori esterni e ipotizzando, ma solo dal secondo semestre di quest’anno, una possibile “ripresa” italiana.
Sui media è evidente una forte azione diversiva, volta a parlare d’altro, e ad intensificare la “guerra” verso i nostri partner europei: colpa della BCE che non ci aiuta abbastanza, della Commissione che si oppone a deficit insostenibili e quant’altro.

Gli indici di Borsa dalle 11 di stamane (ora di rilascio della rilevazione) sono passati in territorio negativo, mentre lo spread – sostenuto da “mani forti” – resta stabile attorno a 240 punti base, sempre il livello più altro dell’area dell’euro, dopo quello greco, peraltro in forte e continuo avvicinamento ai livelli italiani.

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