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Piazze, marce e qualche adunata: la politica nell’Italia dei “non partiti”

Da una parte ci sono, o meglio dovrebbero esserci, i partiti che godono pessima salute e talvolta (per esempio i 5 Stelle) si dichiarano “non partiti“. Dall’altra c’è e mostra segnali di attivismo la società civile che per farsi sentire organizza piazze, invita a referendum per lo più consultivi (non sempre con successo) reclamando il suo spazio politico e dichiarandosi espressione dell’Italia del fare. E qui va detto che, per esempio, la manifestazione organizzata a sostegno della Tav a Torino ha visto una significativa partecipazione, e sarebbe certamente da sciocchi liquidarla come semplice rappresentazione di una Torino borghese e mondana (le madamine). Altrettanto fuori luogo, credo, sia pensare che sia quella piazza a segnare una svolta positiva nella politica italiana.

Cominciamo però dai partiti e dai loro surrogati. I partiti tradizionali o non ci sono più o sono in crisi profonda. A sinistra le diverse componenti che avrebbero dovuto dar vita a LeU non sono riuscite, nonostante le più volte ribadite buone intenzioni, a farsi partito. Quanto al Partito Democratico dopo una serie di ripetute sconfitte elettorali (referendum costituzionale, elezioni politiche, regionali e municipali a vario livello) non sono ancora riusciti a fare nè un Congresso nè primarie, anche se numerosi sono i candidati alla guida del partito: taluni già dichiarati, altri ancora coperti. Una data ancora non c’è e anche sulle procedure (quanto Congresso e quanto primarie) c’è molta incertezza.

Sulla destra certamente Fratelli d’Italia, pur nelle sue ridotte dimensioni, mantiene una sua forma partito così come l’hanno sempre avuta Alleanza nazionale e persino il vecchio Movimento sociale italiano. In un certo senso è un’eccezione se si pensa che, per esempio, Forza Italia non ha mai voluto essere partito neanche quando era forte; figuriamoci oggi che è ampiamente ridimensionata elettoralmente e messa ai margini del gioco politico dalla esuberanza del suo probabilmente ex alleato elettorale, vale a dire la Lega di Salvini.

Ci sono, poi, le due forze politiche di governo, i 5 stelle e, appunto, la Lega un tempo partito secessionista ora ultranazionalista e sovranista. Entrambi queste forze politiche, pur diverse tra loro, hanno nella piazza un loro punto di forza. La Lega ha le adunate di Pontida con tanto divise verdi, anche se negli ultimi tempi il loro leader e ministro dell’Interno preferisce indossare felpe, camicie e quant’altro possa evocare meglio un ruolo poliziesco. A loro volta i 5 stelle sono nati con un “vaffa day“; hanno riempito piazze e strade con i comizi di Beppe Grillo e si sono strutturati con una piazza virtuale: la piattaforma Rousseau, saldamente gestita dalla Casaleggio associati. In più si dichiarano un “non partito” regolato da “un non Statuto“. Salvo poi affidare punizioni ed espulsioni a un collegio di probiviri, strumento tipico dei partiti “tradizionali“. Se questo è il quadro è abbastanza chiaro che l’articolo 49 della Costituzione (“tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale“) non è particolarmente frequentato in questi ultimi tempi.

E veniamo ora alla società civile e all’Italia del fare che da Torino fa sentire la sua voce di opposizione anche al governo giallo verde. E’ certamente questo un fatto positivo. Che però, più che risolvere, segnala un problema: il vuoto che i partiti di opposizione non riescono a colmare. Io credo che in un Paese nel quale il ruolo dei partiti viene fatto proprio da marce o piazze non ci sia una grande salute democratica. Nè sembra confortante il paragone che molti hanno fatto con la marcia dei quarantamila che nell’ottobre del 1980 risolse la vertenza dei 35 giorni alla Fiat.

Quella marcia concludeva una dura vertenza e segnalava un fatto: la netta sconfitta dei sindacati alla Fiat. Sconfitta sulla quale pesava soprattutto un grave errore di valutazione da parte dei sindacati che non avevano capito di non essere loro i più forti nello scontro che pure avevano voluto. Ma le conseguenze di quella marcia non furono positive nel breve medio e lungo periodo. Nel breve a pagare furono soprattutto i sindacati (e da allora non si sono ancora ripresi), nel medio persero proprio i protagonisti della marcia, visto che molti dei capi e dei quadri furono messi fuori della fabbrica; nel lungo periodo a pagare fu soprattutto il sistema Torino, nel quale l’industria automobilistica, andando verso altri lidi, sarebbe stata sempre meno centrale.

Ecco: nella piazza di Torino ci sarà anche stata l’Italia del fare , giustamente scontenta di questo governo e di alcune sue scelte, ma certamente non in grado di coprire un vuoto politico che spetterebbe invece alle rappresentanze partitiche e sindacali coprire. Insomma: i partiti, i sindacati, la democrazia rappresentativa, non si sostituiscono con marce, piazze e adunate.

E qui vale la pena segnalare come al vuoto dei partiti se ne aggiunga un altro un altro: quello del funzionamento del Parlamento, che lavora sempre meno e quasi esclusivamente su iniziative del Governo. Il quale a sua volta (lo segnala oggi su “RepubblicaMichele Ainis parlando di “non Consiglio dei ministri“) decide ogni cosa non nella sede collegiale dei ministri ma in raffazzonati vertici politici, imperniati sul ruolo dei due leader della Lega e dei 5 stelle. Un tempo si diceva che con partiti forti le istituizioni sono deboli e viceversa. Ora si potrebbe dire che con partiti deboli e spesso impropri anche le istituzioni tengono meno.

Foto in evidenza: Torino, la manifestazione a favore della Tav

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