Roberta Morosini

Roberta Morosini: Art. 1 per combattere le disuguaglianze

Abbiamo assistito in questi anni ad un imbarbarimento della politica, in ogni suo aspetto, dal linguaggio ai personalismi esasperati, dal disinteresse verso i problemi reali alla fragilità dell’etica pubblica. Le destre avanzano ovunque in Europa e nel mondo, destre becere che invocano le alzate di muri e fili spinati contro le migrazioni di esseri umani e il protezionismo come ricetta per salvare la nazione. Le sinistre sono impaurite e contrappongono miti riforme o mera rappresentazione identitaria, incapaci di risolvere i problemi materiali delle persone e di rispondere ai loro bisogni. Sono sinistre che hanno lasciato andare alla deriva le cittadine ed i cittadini, incapaci di costruire un’Europa in cui le persone possano vivere senza paura del presente e del futuro. Un’Europa inadeguata, non pienamente democratica, finanziaria, forte con i suoi cittadini più bisognosi e debole con i suoi cittadini privilegiati, anche quando il governo era affidato alle forze del socialismo europeo. Vale per l’Europa, vale ancor di più per il nostro Paese, ancora piegato dalla crisi e dalle sue conseguenze.

Lavoro. Quello su cui è fondata la nostra Repubblica. Il nostro Paese ha bisogno di ripartire da qui.
Quello che c’è e che ha perso valore, sotto i colpi di un accanimento sistematico ai diritti e alle tutele, e quello che non c’è, che costringe i giovani di questo Paese a costruirsi il futuro in altri Paesi, dove vedono riconosciuti le proprie capacità e il proprio percorso formativo e di ricerca.
Chi resta e fatica meno a trovare un lavoro è chi si adegua a posti che non corrispondono agli studi intrapresi, tra contratti precari, salari tra i più bassi d’Europa e lavoro nero. Questo dramma riguarda ancor più le donne e le ragazze: sono le più istruite, ma ancora oggi le meno pagate e risultano le prime ad essere espulse dal mondo del lavoro. Una vita di frustrazione combattuta tra la scelta di tenersi il lavoro e il desiderio di costruire una famiglia; una vita di solitudini esasperanti, combattuta e non vissuta, tra il lavoro retribuito che spesso manca e il lavoro di cura, aiutate dalla famiglia d’origine, che troppo spesso sostituisce lo Stato sociale assente. Io penso che in un Paese come il nostro, oggi, una sinistra ampia e plurale, capace di risolvere e migliorare la vita delle persone in carne ed ossa debba essere un obiettivo irrinunciabile, sul quale perdere il sonno. Un Paese in cui il diritto al lavoro insieme ai diritti nel lavoro, non siano un miraggio irraggiungibile, ma un’esperienza praticabile, perché se è vero che il lavoro è cambiato, è vero anche che le condizioni di vita dei lavoratori sono mediamente peggiorate e che risulta difficile progettare una vita solo grazie al proprio posto retribuito, ché di trovare la propria collocazione nel mondo si tratta.

Ho aderito ad Art.1 MDP, perché in questi ultimi anni ho visto come il nostro Paese sia scivolato inesorabilmente verso politiche che non hanno mantenuto alcun equilibrio necessario tra l’economia reale e quella finanziaria, tra la rendita e il lavoro, praticate da Governi di ogni colore, con una sinistra poco diffusa e poco ancorata ai problemi reali, poco capace di dare significative soluzioni, poco presente nei conflitti sociali. Una sinistra incapace di dire che la tutela dei lavoratori non è un argomento che debba essere appannaggio di una destra che parla di protezione ma che in effetti favorisce il nazionalismo e il liberismo sfrenato. Incapace di dire che l’Europa è percepita, non a torto, come un fallimento, poiché non è stata capace di equilibrare la globalizzazione con adeguate politiche che facessero sentire gli europei un unico popolo, tutelato da diritti del lavoro, sanità e istruzioni pubbliche. Perché se è vero che di un’Europa geografica è difficile definire i confini, ciò che teneva insieme l’Europa erano i valori condivisi di un welfare solidale verso i più fragili, di una scuola che formasse le nuove generazioni indipendentemente dal reddito familiare, di un sistema sanitario universale, di abitazioni decenti e lavoro dignitoso.
Questo squilibrio, tra economia reale e finanziaria, ha reso impossibile qualsiasi intervento pubblico sul welfare, proprio perché l’economia finanziaria ha naturalmente favorito la rendita a discapito del lavoro e della produzione. La crisi ha avuto le sue radici in una impostazione teorica che ha favorito il laissez-faire non regolamentato in ambito finanziario, il cui costo è pesato sulle spalle delle fasce più deboli della popolazione, che hanno vissuto e vivono in maniera neutra tutte le esperienze di governo che si sono succedute, perché tutte, quasi senza distinzione, incapaci di rispondere ai bisogni reali.

In questo quadro è inevitabilmente cresciuta la destra, isolazionista e nazionalista, capace di rispondere alle paure delle persone sempre più insicure, capace di trovare dei colpevoli tangibili, siano essi i migranti, l’Europa, i politici, ma anche capace di sostenere la necessità di affidarsi all’economia reale anziché a quella finanziaria, almeno a parole. È cresciuta la sfiducia nella classe politica, diventata troppo spesso autoreferenziale, corrotta e incapace di guardare oltre l’oggi, per progettare un futuro che dia spazio a chi in questo Paese si impegna, a chi fatica, a chi mette le proprie capacità a disposizione della collettività, a chi è solo, a chi è anziano o troppo piccolo, a chi ha diverse abilità da quelle comuni, a chi è in difficoltà, a chi viene lasciato indietro perché non risponde ai canoni dominanti di ricchezza e bellezza.

Abbiamo lasciato spazio colpevolmente ad una classe imprenditoriale irresponsabile ed eticamente incapace di valorizzare il proprio ruolo sociale, abbiamo abbandonato imprenditori onesti e capaci, vessati dalla criminalità organizzata e schiacciati da concorrenza sleale, dalla corruzione e da un regime fiscale iniquo.
Abbiamo costruito un Paese fondato sulle diseguaglianze.
Ai miei bambini vorrei lasciare un Paese migliore di quello che abito oggi, un Paese più onesto e solidale, che non poggi la solidarietà su volontari di buon cuore, ma che faccia dell’uguaglianza un faro verso cui tenere ferma la rotta.

Ho aderito ad Art.1 e voglio contribuire a costruire un movimento, un soggetto politico, che sia capace di essere radicale nei contenuti, ma anche di coniugare la realtà con il governo del Paese, che sappia dire no ad un Governo che attua politiche favorevoli alla finanziarizzazione dell’economia, ma che sia capace di proporre al Paese un Governo che abbia davvero l’obiettivo di migliorare la vita delle persone, un Governo che abbia l’obiettivo di una buona istruzione, di lavoro per tutte e tutti, della riduzione dell’orario di lavoro, di una retribuzione dignitosa, che sia capace di delineare un piano industriale per questo Paese, di coniugare innovazione, buona occupazione, cura e rispetto dell’ambiente. Un paese in cui i diritti sociali e i diritti civili camminino insieme, e in cui la dignità delle persone venga prima di tutto, un Paese in cui vengano premiate e valorizzate l’onestà e il senso civico, l’impegno e l’istruzione, la cura del territorio.

Il tempo è oggi, nel momento in cui è resa evidente la debolezza di qualsiasi proposta di centrosinistra, pesantemente sconfitto in questa tornata amministrativa, perché risulta banalmente evidente quanto una proposta che si richiami al centrosinistra, debba ripartire dalla volontà di risolvere i bisogni materiali delle persone, ché altrimenti rivolgono il loro consenso in proposte che promettono protezione e sicurezza, bisogni legittimi, quelli sbandierati dalle forze di destra e centrodestra, ma che riguardano la sicurezza di un posto di lavoro che dia un reddito dignitoso, città pulite e illuminate, una buona scuola per i propri figli, il diritto alla salute e ad una casa adeguata ai propri bisogni. Il tempo è oggi, e bisogna cominciare.

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