Anziani fragili, Berlinguer non dimenticava
“L’Italia continua pervicacemente
a ignorare i bisogni degli anziani fragili
e soprattutto dei loro famigliari,
spesso grandi anziani anch’essi”.
Chiara Saraceno
La Repubblica, 25 maggio 2016
Anziani fragili, Berlinguer non dimenticava
Nel 1978 la legge n.833 istituì il servizio sanitario nazionale universalistico, proclamando la salute un diritto del cittadino, e fondandolo sui grandi principi di libertà e dignità della persona. A quella legge, che costituisce ancora oggi una pietra miliare della moderna civiltà del nostro paese, non fu però affiancato nei decenni successivi alcun provvedimento (legge, Lea) che affrontasse in maniera organica un altro versante strategico del sistema di welfare, quello sociale.
Sempre più anziani. Ci informa il 5° Rapporto sull’Assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, promosso dall’IRCCS-INRCA per il Network nazionale per l’invecchiamento, che “l’invecchiamento della popolazione italiana è uno dei più grandi fenomeni socio-demografici dei nostri tempi, con importanti implicazioni in ambito sociale, culturale ed economico. Ad oggi, oltre il 21% della popolazione italiana ha 65 anni o più, ben 13,2 milioni di anziani in termini assoluti, di cui la metà (6,6 milioni) con più di 75 anni (ISTAT 2015a). Il progressivo invecchiamento della società non può dirsi in alcun modo concluso e si stima che la componente di ultrasettantacinquenni raggiungerà il suo picco (intorno al 20-26% sulla popolazione totale nelle singole regioni italiane) non prima della decade 2050-2060”.
Sempre più fragili. “Una conseguenza diretta di questo scenario – prosegue il Rapporto – è certamente l’aumento (almeno in termini assoluti) di quel segmento di anziani con bisogni sanitari e socio-assistenziali che necessitano assistenza di tipo continuativa (Long-term Care, LTC)”. Nel 2014 l’Istat ha stimato in 2,5 milioni il numero di anziani con limitazioni funzionali che necessitano di cure e assistenza.
Sguardo corto, manica stretta. In Europa molti paesi hanno compiuto vere riforme – ricorda il Rapporto – per definire una visione del problema e garantirgli una sostenibilità: nel 1995 la Germania ha introdotto l’assicurazione obbligatoria sulla non autosufficienza, nel 2002 la Francia ha optato per il sussidio personalizzato per l’autonomia, la Spagna nel 2006 per la promozione dell’autonomia personale, il Regno Unito, con il Care Act del 2014 ha incluso parti importanti di sociale nella riforma del settore sanitario. “L’Italia è stata meno lungimirante. Tra i grandi paesi europei, il nostro è quindi l’unico a non aver riorganizzato in maniera organica e con una “vision” unica e condivisa il suo sistema di continuità assistenziale negli ultimi trent’anni (al 1988 risale l’estensione dell’indennità di accompagnamento agli ultra sessantacinquenni)“.
Sguardo corto, in Italia, e soprattutto manica stretta. Il Fondo nazionale per le non autosufficienze è stato dotato di 400 milioni di euro nel 2015, dopo pesantissimi tagli e di fatto un azzeramento nel biennio 2011-2012, gli anni di Berlusconi e di Monti. Un paradosso che è uno scandalo: la centralità del problema si fa sempre più evidente, i bisogni crescono, il quadro complessivo dei servizi si contrae.
Di loro, chi se ne occupa? Per lo più i familiari, sia in termini di cura che in termini di spesa. E’ sulle loro spalle che grava un fardello sempre più pesante in termini psicologici e materiali, burocratici (una giungla intollerabile) ed economici. Non autosufficienza è povertà. Nel 2012 – spiega il Censis – 330mila famiglie hanno dovuto utilizzare tutti i risparmi per far fronte alle spese relative all’assistenza, 190mila hanno dovuto vendere l’abitazione con formula della nuda proprietà e 150mila si sono dovute indebitare.
Il vento antisociale e antiwelfare del neoliberismo è stato sostenuto da un sistema valoriale (quello del decisionismo, del privatismo, del tradizionalismo) che si è contrapposto a un “vocabolario di “moralità politica” propriamente europeo, fatto di parole chiave come persona, rispetto, dignità, capacità, autorealizzazione, un lessico che ha tradotto il trittico della modernità – libertà, eguaglianza, fraternità – in un impegno squisitamente morale di giustizia sociale”. (Laura Pennacchi, La moralità del welfare). Contemporaneamente si sono denunciati i fenomeni di impoverimento della socialità della persona e della vita pubblica e i rischi, in ultima analisi, di una restrizione della libertà e della democrazia. A favore di sistemi di protezione sociale largamente pubblici sono state invocate “ragioni di giustizia, ma anche ragioni di efficienza”.
Una questione di umanità, ma non solo. Una volta i partiti facevano i convegni. Ossia proponevano alla discussione pubblica un tema, chiamavano una serie di esperti ad approfondirlo, a discuterlo, a fare delle proposte per risolvere i problemi segnalati. Abitudine vituperata, ma forse almeno in parte a torto. Nel 1981 l’allora segretario generale del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, ritenne strategico intervenire a un convegno dedicato al tema degli anziani. Nel suo discorso conclusivo spiegò a lungo perché il Pci includeva già allora “il problema degli anziani tra quelli che oggi hanno una rilevanza decisiva per la classe operaia, per i lavoratori, per la sorte presente e futura dell’intera società”. Per una questione di umanità, disse, e di solidarietà, (“valori insiti nell’idea stessa del comunismo”), ma anche per le conseguenze negative che i cambiamenti sociali e storici cominciavano già allora, con tutta evidenza, a comportare per la “dignità sociale” di milioni di anziani. Si impegnava, il segretario generale del Pci, a spiegare “il rapporto stretto, inscindibile che esiste tra la soluzione dei problemi degli anziani e la trasformazione generale della società”, il che avrebbe comportato, secondo Berlinguer, un “ribaltamento profondo” dei valori, delle priorità, e insieme un mutamento profondo delle “regole finora operanti nelle relazioni sociali, nelle relazioni umane, nella scelta dei beni a cui aspirare…indirizzando quindi in modo diverso anche l’uso dei mezzi finanziari e la politica di formazione delle risorse”. Politica nella sua massima espressione, ispirata da un potente sistema valoriale da calare nelle scelte operative. Che oggi vorrebbe dire una bella scossa: investire molto di più nel sistema di assistenza ad anziani e non autosufficienti; non puntare solo su strutture di ricovero e badanti, ma sulla flessibilità e la personalizzazione dei servizi; dare un colpo mortale, quale si merita, a una burocrazia asfissiante, immotivata, inefficiente che tormenta le famiglie già duramente provate. Se l’obiettivo è quello di recuperare “la funzione anche economica esercitata nel passato dall’estensione dei diritti e delle politiche sociali” una rilettura del discorso di Berlinguer potrebbe dare più di un suggerimento.
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Susanna Cressati
Palmanova (Udine) 1951. Studi classici. La sera del 31 dicembre 1999, dopo 25 anni di lavoro, si chiude alle spalle la porta della redazione toscana dell’Unità e restituisce la chiave. Ricomincia da capo, cercando nuovi territori di formazione e lavoro. Insegna all’Università e alle superiori. A Toscana Notizie (l’agenzia regionale di informazione) comincia nel 2004 come cococo e finisce nel 2014 come direttore. Finisce si fa per dire.