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“Art. 18? Totem ideologico”. La superficialità di Renzi

La settimana scorsa i media hanno diffuso una dichiarazione di Matteo Renzi nella quale l’articolo 18 è stato definito un “totem ideologico“. Proprio perchè la scelta dei vocaboli è o dovrebbe essere importante per un leader politico, questa affermazione merita un approfondimento o (se mi passate il termine) un’ analisi del testo.

Iniziamo dalla scelta del termine “totem”.
Cosa intendiamo con questo vocabolo nel linguaggio corrente? Se facciamo la cosa più facile del mondo e cioè scriviamo “totem” su un motore di ricerca, veniamo immediatamente reindirizzati a Wikipedia che ci dice questo: “Un totem – in antropologia – è un’entità naturale o soprannaturale che ha un significato simbolico particolare per una persona, un clan o una tribù, e al quale ci si sente legati per tutta la vita”. Tralasciamo pure i clan e le tribù: non c’è dubbio che se utilizzato in una discussione politica questo termine evochi un elemento di identificazione collettiva, qualcosa cui una comunità o un gruppo riconosce un valore unificante o identitario, in una parola un simbolo.

Ma attenzione. Di cosa si sta parlando? L’art. 18 di cui stiamo discorrendo fa parte di una legge molto importante: lo Statuto dei lavoratori. E’ quella legge che nel 1970 fu intitolata “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori” e che si apre proprio con una sezione intitolata “Della dignità e della libertà e del lavoratore“. Non so cosa ne pensate voi, ma trovo che l’idea che la legge debba occuparsi di riequilibrare la naturale posizione di svantaggio del prestatore di lavoro nei confronti del datore realizza nell’ordinamento un fondamentale omaggio al principio di eguaglianza. Questo, inteso nell’accezione formulata nel secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, richiama non solo l’eguaglianza davanti alla legge ma anche e precisamente l’impegno della Repubblica ad agire per sostenere le situazioni di debolezza e di svantaggio, riferendosi peraltro espressamente ai “lavoratori“. Ebbene, che la nostra parte politica si riconosca in un approdo come quello, che lo senta come un simbolo del suo impegno, che lo percepisca come tratto fondamentale della sua identità non mi sembra affatto una cosa negativa. L’adesione ideale a principi come questi mi sembra, al contrario, la ragion d’essere stessa dei progressisti.

Ma passiamo all’aggettivo “ideologico”.
Qui facciamo un passaggio in più e ricorriamo al vocabolario online della Treccani, che per quanto riguarda l’uso del termine “ideologia” nel linguaggio corrente ci propone due accezioni. Matteo Renzi ha usato certamente la seconda: “In senso spregiativo, soprattutto nella polemica politica, complesso di idee astratte, senza riscontro nella realtà, o mistificatorie e propagandistiche, cui viene opposta una visione obiettiva e pragmatica della realtà politica, economica e sociale“. La prima accezione, invece, è diversa ed è descritta come segue: “Il complesso dei presupposti teorici e dei fini ideali (o comunque delle finalità che costituiscono il programma) di un partito, di un movimento politico, sociale, religioso“. Proviamo dunque a leggerlo questo testo “ideologico“, cerchiamo di verificare a quale delle due accezioni della locuzione “ideologia” l’art. 18 merita di essere riferito. Per parlare dell’attualità, proviamo a scorrere l’esordio della proposta di legge che alcuni deputati della sinistra hanno presentato nei giorni scorsi (a prima firma di Francesco Laforgia) e che mirava per l’appunto a reintrodurre alcune tutele per il tramite di una nuova formulazione dell’art. 18:

“Il giudice ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro con la sentenza con la quale Il giudice ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro con la sentenza con la quale:

a) dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato per ritorsione o rappresaglia, ovvero in concomitanza con il matrimonio ai sensi dell’articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, o perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile;

b) annulla il licenziamento in quanto accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro per insussistenza del fatto contestato, ovvero perché esso non è stato commesso dal lavoratore o comunque non è a lui imputabile, ovvero perché non costituisce infrazione rilevante sul piano disciplinare, ovvero perché rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle disposizioni dell’articolo 2106 del codice civile ovvero sulla base dei contratti collettivi di lavoro o dei codici disciplinari applicabili;
dichiara inefficace il licenziamento perché intimato in forma orale, o per mancanza della motivazione di cui all’articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, o perché la condotta è stata contestata al lavoratore in modo generico o non immediato, o per violazione della procedura di cui all’articolo 7 della presente legge””.

Traduzione, in estrema sintesi: devono esistere casi nei quali a fronte di un licenziamento variamente definito dalla legge come ingiusto lo Stato garantisce al lavoratore il diritto di tornare a fare il suo mestiere. E’ questo un “complesso di idee astratte, senza riscontro nella realtà, o mistificatorie e propagandistiche”? Non credo. Penso che al contrario si tratti di una opportuna traduzione legislativa di “fini ideali (o comunque delle finalità che costituiscono il programma) di un partito, di un movimento politico“. Il fine in questione, secondo me, è quello di affermare che il rapporto di lavoro, proprio perchè legato intimamente alla dignità della persona e alla sua concreta possibilità di percorrere con le sue forze un percorso di vita, non può essere interamente monetizzabile e che ci vuole, al fondo, un presidio di difesa e tutela che sia il più possibile effettivo. Questo e non altro è la reintegrazione: la restituzione della posizione che viene ingiustamente sottratta. La mia opinione è che un’ idea come questa (o ideologia, se preferite: come abbiamo visto non è necessariamente una brutta parola) la sinistra la deve rivendicare a voce alta.

Concludendo, fa impressione che chi come Matteo Renzi si candida a essere la guida dei progressisti italiani parli con questa superifcialità dello Statuto dei lavoratori e palesemente senza considerare le complessità dei termini che utilizza. In queste righe ho cercato di dimostrare, con rispetto delle opinioni di tutti, un pensiero che sento fortemente mio: in norme come l’art. 18 non c’è solo la regolazione di interessi contrattuali, ma una precisa idea della persona e della società. C’è un orientamento, c’è una direzione di marcia. Ci sono dei valori, forti e unificanti. E visto che si parla da più parti di ricostruire il centrosinistra, non serve un’ analisi complessa per notare che senza quei valori la parola “centrosinistra” risulta vuota, priva di spessore e di contenuti.
E’ anche per questo che sono felice di avere partecipato a un percorso, quello che ha portato all’Assemblea unitaria di domenica scorsa a Roma, che molti ci accusano di avere fondato sul risentimento e sul rancore. Se avessero frequentato una sola delle 159 assemblee svoltesi nelle ultime due settimane, si sarebbero accorti che al contrario stiamo proprio cercando di riorganizzare una partecipazione democratica intorno a principi e valori come quelli di cui ho parlato in queste righe.

Foto di copertina: Manifestazione sindacale con Susanna Camusso, leader della Cgil, in difesa dell’articolo 18

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