Burkini

Burkini vietato? Attenti alla radicalizzazioni

Nella cristianità dei secoli passati nuotare all’aperto era vivamente sconsigliato alle donne. Nel diciottesimo secolo alcune prime timide apparizioni in spiaggia obbligavano ad abiti ampi e lunghi fino alle caviglie. Nel 1907 la nuotatrice australiana Annette Kellerman fu arrestata per aver indossato un “burkini” completo fino alle caviglie ma che lasciava le braccia scoperte ed evidenziava le forme del corpo. Fu solo negli anni ’40 e ’50 che progressivamente l’abito da spiaggia femminile si accorciò progressivamente. Sono passati pochi anni e la questione si ripresenta nell’ambito di una cultura, quella islamica, che ancora tenta di reprimere l’emancipazione femminile. A differenza della cristianità del secolo scorso, però, le imposizioni islamiche devono confrontarsi con l’attuale cultura occidentale che, non senza difficoltà, ha raggiunto la parità dei sessi e considera la libertà dell’uomo e della donna come diritto fondamentale.
La parola burkini nasce dalla fusione di due parole che caratterizzano costumi culturali opposti: il bikini e il burqa. E’ nato da un’idea di Aheda Zanetti, una designer australiana di origine libanese che nel 2003 fondò la Ahiida Pty Ltd, la società che oggi lo produce ed è un marchio registrato. Ma la fama è arrivata solo questa estate quando in Francia 3 sindaci decisero di vietarne l’uso sulle spiagge dei loro comuni. In Italia ci sono stati pochi casi di divieti temporanei dell’utilizzo del burkini, in particolare nelle piscine. Il primo caso a Verona nel 2008 si è risolto senza alcun divieto e poi 2015 alla piscina comunale di Bolzano è stata la prima vietato e poi ammesso. In Francia la legge vieta di indossare per motivi di ordine pubblico e sicurezza il burqa o niqab solamente perchè copre integralmente il viso, cosa che non avviene con il burkini.

Com’era prevedibile alle ordinanze di divieto non sono mancate le reazioni indignate della comunità islamica locale che si è detta pronta a portare il sindaco davanti al giudice per “islamofobia”.
Il burkini da gran parte della popolazione europea viene però visto come una provocazione o come il tentativo delle componenti più estremiste dell’Islam d’imporre il loro modello di società. E’ necessario però fare alcune riflessioni. Nei paesi musulmani conservatori le donne non possono andare al mare con gli uomini. L’imposizione è quella di coprirsi con abiti larghi che impediscano l’evidenzizione delle forme femminili: burqa, hijab, chador o niqab. Più o meno come da noi un secolo fa.

Il burkini asciutto o bagnato aderisce invece al corpo della donna segnandone le forme. Quindi, soprattutto in comunità islamiche radicali, il suo utilizzo può essere segno di apertura piuttosto che di radicalizzazione. Grazie alla frequentazione delle spiagge le donne musulmane potrebbero avere l’opportunità di divertirsi, socializzare e di percorrere l’inizio di una strada verso l’emancipazione altrimenti preclusa. Vietare il burkini potrebbe, quindi, indurre una maggiore radicalizzazione proprio perché ridurrebbe alla donna le occasioni per poter condividere aspetti ludici con il sesso opposto.

Commenti