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Come i social media sono diventati la scintilla per il socialismo

Questo articolo, di Ben Tarnoff, è apparso il 13 luglio 2017 sul Guardian, con il titolo “How social media saved socialism”. Ne pubblichiamo di seguito una sintesi.

«Il socialismo è testardo. Dopo decenni in cui è stato dormiente, quasi morto, sta nuovamente rialzando la testa in Occidente. […] Le ragioni di questo revival sono abbastanza ovvie. I lavoratori hanno visto collassare i propri standard di vita nel corso degli ultimi decenni. I giovani, in particolare, sono proletarizzati in massa e hanno difficoltà a trovare un lavoro decente, un alloggio a prezzi abbordabili o ad avere il minimo sindacale di sicurezza materiale. Nel frattempo, le élite si arricchiscono sempre di più».

Ma questa condizione di disagio non è sufficiente a creare un movimento politico. Ci vuole una scintilla.

«Per la risorgente sinistra, una scintilla essenziale sono i social media. Anzi, i social media sono uno dei catalizzatori più cruciali e meno compresi del socialismo contemporaneo […] Perché i social media non sono solo uno strumento per mobilitare le persone. Sono anche uno strumento per politicizzarle».

«I social media hanno fornito ai socialisti un vantaggio inestimabile: i mattoni per costruire una sfera pubblica alternativa. I mezzi di informazione mainstream tendono a essere ostili alla sinistra: la vicinanza con il potere spesso spinge i giornalisti a interiorizzare il punto di vista dei potenti. Il risultato è una sfera pubblica che impone parametri strettissimi per il discorso politico e ignora o denigra coloro che escono dal tracciato. Ecco perché i social media sono indispensabili: forniscono uno spazio dove è possibile incubare un nuovo pensiero politico e nuove forme di identità politica, che altrimenti sarebbero inammissibili in canali più consolidati».

«[…] Le elezioni dello scorso mese offrono un chiaro esempio di questa dinamica. La maggior parte dei media britannici hanno attaccato senza tregua Corbyn nelle settimane prima delle elezioni generali. […] In un’altra epoca, questi continui attacchi sarebbero risultati letali. Fortunatamente, i social media hanno fornito ai sostenitori di Corbyn un’arma potente, che, messi al bando dalla sfera pubblica, ne hanno creata una loro. […] Meme, slogan, video e articoli pro-Labour hanno saturato la rete […] e hanno fatto in modo che milioni di persone si sentissero connesse con un progetto comune. Hanno reso il corbynismo una comunità».

Ma questa comunità non esisteva solo online. Infatti, le ultime elezioni generali nel Regno Unito hanno visto un’amplissima partecipazione da parte dei giovani – i principali utenti dei social media. Alla faccia del solito ritornello secondo cui internet non è la “vita reale”. Questo voto ha sgretolato molti dei leitmotiv delle élite, incluso quello in base al quale i social media sono nocivi per la democrazia.

«La nozione che Twitter e Facebook giocano un ruolo tossico nella nostra vita politica è diventata un pilastro della opinione di élite nell’era della Brexit e di Trump. È un argomento noto: le piattaforme online accrescono la polarizzazione rinchiudendoci in camere dell’eco dove ci vengono mostrate solo le cose con cui siamo già d’accordo. La partigianeria fiorisce. Il compromesso diventa impossibile».

«Questa analisi contiene un po’ di verità, ma manca completamente il punto. Non ci sono dubbi che i social media possano essere delle fogne e diffondere disinformazione, violenza e ogni genere di odio estremista. Dopotutto, il tratto distintivo dei social media è proprio la loro capacità di connettere persone che la pensano in maniera simile. Ne consegue che le comunità create varino notevolmente in base al tipo di persone che vengono connesse. Ma questo aspetto dei social media è anche ciò che li rende utili per i socialisti dei giorni nostri. Le bolle possono avere dei benefici. Possono fornire a un movimento emergente un certo livello di unità, un senso di identità collettiva, utile per consolidarsi nelle fragili fasi iniziali».

Ovviamente, per vincere, i movimenti non possono restare nelle proprie bolle, ma devono diventare egemoni nella società.

«Tuttavia, i social media possono essere il terreno dove piantare radici, coltivare un gruppo di alleati e agitatori che diffonderanno queste idee nel mondo. E questo èun fatto positivo per la democrazia, perché permette a politiche alternative di emergere, indebolisce il potere delle élite di tracciare i confini dello spettro politico e amplifica voci che, altrimenti, non avrebbero alcuna possibilità di essere ascoltate».

Il Labour aveva iniziato la campagna elettorale 20 punti dietro ai Tory. L’ha conclusa a meno di due punti di distanza e con i conservatori che si sono ritrovati, sì, primi, ma con un parlamento “appeso”. Adesso il Labour è avanti in quasi tutti i sondaggi. Anche di 8 punti.

«Se la polarizzazione fosse assoluta, come molti commentatori mainstream sostengono, un ribaltone del genere sarebbe impossibile. Ma le preferenze politiche sono molto più fluide di quanto si creda. […] I social media, quindi, non rafforzano necessariamente divisioni partigiane già esistenti. Possono anche rimescolarle, facendo venire a galla nuove possibilità politiche».

E portano le persone alle urne. Infatti, le elezioni generali nel Regno Unito hanno visto la più grande affluenza in 25 anni.

«Gli astenuti formano un elettorato naturale per le politiche progressiste: tendono a essere i più giovani e i più poveri e sostengono ampiamente le politiche di redistribuzione. Ma organizzare questa maggioranza silenziosa socialdemocratica avrà bisogno di più partigianeria. Non solo. Il tiepido centrismo non politicizzerà coloro che pensano che la politica non ha nulla da offrire loro. Solo un’alternativa chiara sarà in grado di farlo. I social media offrono uno strumento per articolare quell’alternativa ed esporla al pubblico. I tweet da soli non porteranno i socialisti al potere. Ma vista la portata delle ambizioni della sinistra e gli ostacoli che ha davanti, non sono un brutto posto da cui iniziare».

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