Bracciano

Il lago di Bracciano e la sete di buona politica

Roma potrebbe avere l’acqua razionata ed una nota televisione privata a pagamento che conduce dei sondaggi attraverso il tele-voto ha lanciato questo quesito: “Acquedotti colabrodo e pochi investimenti, secondo te si dovrebbe aprire la gestione dei servizi idrici ai privati?

A parte il fatto che 27 milioni di italiani hanno già risposto, recandosi in carne ed ossa alle urne nel giugno del 2011, questo è un classico esempio di malafede.

Punto primo: la gestione degli acquedotti è aperta ai privati da almeno vent’anni.

Punto secondo: Acea, il gestore del servizio idrico di Roma che in questi giorni è al centro del dibattito relativo al prosciugamento lago di Bracciano (ed al conseguente possibile razionamento dell’acqua nella capitale) è una società quotata in borsa. Nella compagine sociale c’è la società franco-belga SUEZ, uno dei principali gestori di acqua a livello mondiale. Acea è il secondo gruppo italiano nel settore dell’energia ed opera quindi in settori “a mercato“.
Le analisi sugli investimenti nel settore idrico in Italia dimostrano che non è esiste relazione tra il fare più o meno investimenti ed avere gestori privati ed esistono numerose aziende pubbliche che riescono a realizzare – grazie ad una buona gestione – un adeguato livello di investimenti. Gorizia è un esempio eclatante. In quel territorio si investono, per abitante, 4 volte le risorse che mediamente si mettono nel resto d’Italia.

Nella foto : Mirko Tutino col direttore generale di Iris Acqua Gorizia, Paolo Lanari

E’ un’azienda a totale controllo pubblico, gestita da persone designate dagli enti locali per le loro competenze tecniche e che ha realizzato opere fondamentali per la qualità dell’ecosistema di quel territorio. Potremmo citare numerose aziende del triveneto molto simili a quella di Gorizia oppure potremmo ricordare la storia delle municipalizzate emiliane che hanno portato i servizi sugli appennini attraverso una distribuzione solidale dei costi. Queste ultime sono diventate il pilastro sul quale sono nate – in anni più recenti – le grandi società quotate a controllo pubblico che ora non sempre garantiscono lo stesso livello di qualità dato dalle aziende che le hanno precedute.

La qualità del servizio idrico integrato (approvvigionamento e distribuzione) dipende essenzialmente da come nei passati decenni si è pianificata la realizzazione degli investimenti, dalle risorse destinate alla cura ed alla manutenzione delle reti, dalla buona gestione del servizio. Il tutto – ovviamente – in relazione a tariffe che devono essere in equilibrio con ciò che si spende.

Il referendum del 2011 ha stabilito che la tariffa deve ripagare gli investimenti (ed i costi necessari per finanziarli) senza che ci siano ulteriori voci di remunerazione “garantita“. Il referendum ha inoltre fermato la privatizzazione forzata di questi servizi ma le successive norme sulle aziende pubbliche hanno continuato a mantenere sui comuni la spada di Damocle delle limitazioni alle società controllate (personale ed investimenti), riducendo ai minimi termini gli spazi per avviare processi di ripubblicizzazione laddove si era privatizzato.

In un sistema in cui esistono tanti attori privati nella gestione dell’acqua, è fondamentale il ruolo della regolazione pubblica. Ad oggi l’autorità nazionale dell’energia e del gas e del servizio idrico (AEEGSI) definisce le regole con le quali saranno le singole autorità locali – che in alcune parti d’Italia non si sono nemmeno costituite – a definire le condizioni sulle quali si realizzano gli investimenti e si misura la qualità dei gestori. Il controllo è fatto su “costi ammissibili” attraverso strutture debolissime soggette a tutti i limiti a cui sono sottoposti gli enti local, a partire dall’impossibilità di assumere personale con competenze tecniche e giuridiche capace di fare il pelo ed il contropelo ai gestori del servizio. Assumere 1000 giovani ingegneri ed esperti di diritto per rafforzare le autorità di controllo dei servizi pubblici locali potrebbe essere per esempio un buon modo per garantire un diverso futuro al nostro paese.

Siamo ben lontani dall’avere autorità con la forza dell’OFWAT (Office of Water Services) britanico, soggetto capace di fare fare verifiche puntuali ed emanare sanzioni esemplari. L’Italia ha, quindi, liberalizzato un settore senza dare sostanza all’attività di controllo e favorendo – di fatto – un oligopolio di poche aziende quotate a controllo pubblico, che in molti casi sono la sommatoria tra i difetti del pubblico e quelli del privato.

Si parla di queste cose solo quando diventano “un’emergenza” e, addirittura, si utilizza la siccità per far passare le tesi di chi antepone all’interesse generale qualche nuova opportunità di fare affari. Oppure si usano queste notizie per aggredire l’amministrazione comunale o regionale di turno.

Il livello dell’acqua è sceso a Bracciano come in questi decenni è scesa la capacità della politica e delle istituzioni di avere un pensiero lungo sulla cura delle proprie risorse naturali. Si tratta di un percorso in atto da almeno due decenni. Altre generazioni in passato hanno reso possibile avere la qualità della vita che abbiamo oggi proprio perché ragionavano con lungimiranza.

Erano generazioni che vivevano in un paese con il proporzionale, con le province, con il bicameralismo perfetto, pieno di “scontri ideologici“, di partiti, di aziende sindacalizzate ma realizzavano le infrastrutture necessarie per far crescere il paese. Abituiamoci all’idea che le condizioni del meteo “estreme” non siano un’emergenza e che serva un serio piano di adattamento ai cambiamenti climatici. E’ su queste cose, e non sui bonus fiscali riservati a chi non ne ha bisogno, che si devono rivedere i rapporti tra spesa e debito.

Ed è su queste sfide che si misura l’adeguatezza di una classe dirigente.

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