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La macchinetta del caffè

Circa 15 anni è arrivata in Italia una sitcom intitolata “Camera Cafè“. La seria, nata in Francia e, poi, riproposta in versione italiana, è ambientata nel locale di un’azienda dove i lavoratori si ritrovano per fare la propria pausa e passare qualche minuto di relax.

Ammetto di non avere mai seguito la trasmissione ma in diverse occasioni ho ascoltato le conversazioni che si fanno in quei locali e che, a differenza di quello che spesso avviene nei locali pubblici, hanno il vantaggio di far emergere le opinioni più inconfessabili e quelle che solitamente si riportano alle persone più vicine. Davanti alla macchinette del caffè si può respirare l’umore di quella parte di paese che dedica alla politica il minimo tempo indispensabile. E’ la stragrande maggioranza delle persone e nessuno che faccia politica in un contesto democratico può pensare che basti qualche battuta sprezzante per liquidare i discorsi che si fanno in questi contesti.

Provo a riassumere quali elementi oggi dominano la scena:

1) la classe politica è, in generale, incapace di comprendere i bisogni delle persone e mediamente chiunque può fare meglio di chi ha governato in questi anni;

2) gli esponenti politici del Movimento 5 Stelle e della Lega non rappresentano “la classe politica” ma persone normali che non hanno i secondi fini ed i loschi interessi che invece hanno mosso tutti gli altri e che – soprattutto – hanno un’idea su come proteggere gli italiani dai pericoli del nostro tempo;

3) i vincoli europei non sono il frutto di un indebitamento messo nelle mani di qualcuno che periodicamente ci chiede conto di quello che facciamo per evitare disastri ma sono il frutto di un sistema che ha come unico scopo impedirci di vivere come vorremmo;

4) la sinistra è fatta da parolai completamente avulsi dalla realtà che nel merito e nel metodo sono esattamente uguali ai loro avversari con l’aggravante dell’essere più ipocriti.

Detto questo, è bene riconsiderare ciò che è avvenuto in queste ore. Pensiamo davvero che basti un richiamo della Costituzione (la stessa che nel 2016 in tanti hanno provato a smantellare rafforzando – nel nome del decisionismo – i poteri del Governo) ci sia una maggioranza degli italiani disposta a sconfessare il voto di 3 mesi fa? Siamo, davvero, convinti che gli elementi che hanno deluso milioni di persone in materia di scuola, lavoro, tutela del risparmio, ambiente, incapacità di abbattere i privilegi, siano tutti superabili semplicemente unificando le sigle che alle elezioni si sono presentate divise?

Ciascuno ha strumenti diversi, sia in termini di informazioni sia di tempo dedicato, per giudicare i fatti della vita pubblica. In un contesto democratico – tuttavia – le opinioni che si ascoltano mentre si sorseggia il caffè devono farci riflettere. Non sono e non devono essere un programma ma devono darci qualche elemento per capire che temi deve affrontare un progetto politico che vuole essere di massa. Sono pareri che, se non altro in termini di numero, contano molto di più di tutti quegli articoli di stampa scritti da persone – spesso informate ed attente – che hanno sempre portato il dibattito pubblico nelle direzioni seguite, facendoci arrivare al punto in cui siamo.

Per cambiare il vento non bastano le alleanze, non basta denunciare l’inadeguatezza degli avversari, non serve a nulla insultarli o dichiarare che il loro programma è impraticabile. Non basta nemmeno, in carenza di qualsiasi idea su come uscire dalla palude, limitarsi alla mera difesa del Capo dello Stato perché dopo anni in cui ogni singola istituzione (le Province, il CNEL o il Senato, solo per citarne alcune) sono state dichiarate come “rottamabili” anche il Colle, per quanto possa essere guidato con onestà, competenza e lungimiranza, è entrato nel novero dei nemici.

Che fare?
I politici-non politici di Lega e Movimento 5 Stelle devono poter realizzare ciò che li ha portati a rappresentare il 51% degli italiani. Credo che sarebbe politicamente un errore sostenere operazioni atte a delegittimare quel risultato e, fermo restando che nessuno può portare il paese al suicidio, non dobbiamo confondere il giudizio politico verso un programma che riteniamo sbagliato con le scelte istituzionali.

Nel linguaggio, nel metodo ed in tantissimi aspetti di merito la sinistra non dovrebbe fare ciò che ha fatto negli ultimi anni: dall’appiattimento sui vincoli europei alle organizzazioni di partito, passando per il linguaggio utilizzato (nella fasi pre e post rottamazione) e per le politiche praticate. Tutto deve essere messo in discussione.
Premessa fondamentale per quest’ultimo passaggio è che sia completamente azzerata la classe dirigente nazionale di tutte le forze politiche del centrosinistra e siano messi in secondo piano coloro che hanno sbagliato la lettura sociale e politica del paese. Solo così si eviterà di essere sempre quelli che “quando c’erano loro non hanno fatto nulla mentre oggi almeno c’è qualcuno che ci prova“.
Investire su un percorso culturale e politico che ci riporti in maniera capillare nei quartieri, nei luoghi di lavoro cercando di costruire una sinistra civica e di prossimità senza concentrare i ruoli di visibilità e rappresentanza solo sugli eletti.
In molti dei discorsi fatti davanti ad un caffè ci sono spunti interessanti e valori – anche in tanti che non hanno votato a sinistra – che dovremmo fare nostri per ricostruire un paese solidale e capace di investire su un futuro diverso. A queste persone non possiamo rispondere con le ricette che le hanno deluse né possiamo pensare di rappresentarle con scelte tattiche ed organizzative che non implicano innanzitutto il cambiamento di noi stessi.

Ma la vera domanda è: noi siamo disposti a cambiare?

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