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La “politica pop”. Quando il mezzo diventa il messaggio

Un mezzo di comunicazione non è mai neutrale, perché condiziona la nostra forma mentis. Lo ha sottolineato Marshall McLuhan con la sua celebre espressione “il mezzo è il messaggio“.
Attraverso lo smartphone oggi siamo in contatto con il mondo: comunichiamo con i nostri amici (o meglio, con i nostri contatti), effettuiamo acquisti, leggiamo le notizie di attualità, guardiamo un film o ascoltiamo la musica. Qualsiasi prodotto che vuole essere culturale e allo stesso tempo comunicabile, deve necessariamente rispondere alla logica del mezzo che lo veicola. Il canale della comunicazione, dunque, influenza inevitabilmente il messaggio, che ha successo se ha un impatto emotivo immediato. Questo paradigma si è affermato in ogni campo. Oggi, ad esempio, difficilmente riusciremmo ad apprezzare la sonorità ed i colori di un brano progressive dei Pink Floyd, come Atom Earth Mother, ascoltandolo su Spotify mentre siamo per strada. È cambiato, in primis, il modo con cui ci rapportiamo con la musica: da opera d’arte, da contemplare al massimo della concentrazione, si è trasformata in un mero bene di consumo, una colonna sonora che accompagna la nostra vita frenetica.

Lo stesso processo è avvenuto anche in politica, dove l’evoluzione del mezzo ha prodotto ripercussioni sulla struttura partitica. È stato così soprattutto con la televisione, che ha aumentato a dismisura l’importanza del “politico carismatico” e ha accentuato il suo rapporto immediato con l’elettore. Il leader diventa egli stesso il messaggio, seppure in una misura estremamente semplificata: crea una nuova forma di appartenenza che non è collettiva o mediata, ma diretta. Da questo punto di vista è emblematica l’immagine di Silvio Berlusconi che negli studi di Bruno Vespa firma il “contratto con gli italiani”. E ora le frontiere di internet sono ancora più grandi e tutte da esplorare: il leader da tangibile è diventato “tascabile”. In una società liquida e frammentata, la diffusione messaggio avviene attraverso una “micro-targettizzazione”. Un contenuto può essere adattato a proprio piacimento, e spesso anche in maniera contraddittoria, al fine di intercettare gli individui situati in ogni angolo dell’arena comunicativa. Il messaggio è ridotto ad un tweet, a una diretta Facebook oppure alla condivisione di un post, in cui l’immagine prende il sopravvento sul testo.

La rottura del confine che ha separato la sfera pubblica da quella privata, in sorprendente controtendenza con i processi avvenuti negli ultimi secoli, si è sviluppata di pari passo sia con l’illusione della tangibilità del leader che con quella della partecipazione diretta. Il rapporto col popolo «si esaurisce in qualche immagine televisiva di ondate oceaniche», come descritto brillantemente da Sabino Cassese (1), oppure in un “voto telematico” che cristallizza una logica binaria e semplificatoria. E le forze politiche che invocano il popolo, inteso principalmente come una mera sommatoria di individui, non prevedono un suo reale coinvolgimento nei processi di elaborazione politica, riformando i canali decisionali nel rispetto dei principi propri delle democrazie rappresentative.

Eppure quello che deve farci riflettere è come internet risulti maggiormente efficace nel veicolare un messaggio aggressivo e di rottura, sollecitando le pulsioni di un individuo sempre più solo e privo di valori culturali di riferimento in grado di fornirgli una spiegazione dei processi sociali e storici in atto. Il “mi piace” paradossalmente viene impiegato per esprimere disapprovazione. Basti pensare alla “Bestia”, lo strumento utilizzato da Matteo Salvini, con l’obiettivo di raggiungere la pancia degli elettori attraverso gli ambiti della televisione, della rete e del territorio (2). La paura e la rabbia «diventano il cuore stesso del [suo] storytelling, che riesce a fare breccia nella frustrazione di massa del tempo corrente più delle narrazioni ottimistiche dei leader mainstream» (3). In sostanza, la partecipazione e la condivisione di un contenuto sono direttamente proporzionali al suo carattere divisivo. Con il dilagare delle fake news tutti diventano colpevoli, piuttosto che innocenti, fino a prova contraria. Nonostante la smentita, una notizia falsa, una volta diffusa in maniera capillare, viene ritenuta “inconsciamente vera”.

D’altra parte, sono evidenti le difficoltà che incontrano le forze progressiste, incapaci di raccogliere consensi attorno ad una prospettiva di cambiamento della società, dopo anni in cui l’abbandono delle proprie ideologie ha rappresentato il dogma principale. Una novità è sicuramente rappresentata dalle “Sardine”, che utilizzano lo strumento di internet per creare una nuova forma di mobilitazione, dai social alla società, senza rinunciare alle radici identitarie. Questa è soltanto una delle tante differenze con il Movimento 5 Stelle.

Si commette un grosso errore, infatti, quando si confonde il mezzo con il fine. La politica viene presentata come qualcosa di neutro, svincolato dall’asse destra-sinistra, perché non è più importante cosa si dice, ma come lo si fa. Ma ogni scelta è sempre il frutto di una mediazione tra interessi oppure della prevalenza di uno di essi. Non esistono scelte univoche o meramente tecniche, in grado di accontentare tutti. Pertanto una riflessione sicuramente non marginale dovrebbe riguardare anche chi finanzia le scelte e chi controlla i mezzi di informazione. L’analisi della comunicazione non può avvenire senza interrogarsi sulle sue conseguenze politiche, in particolare sugli aspetti della trasparenza e dell’accountability.

Un sistema di finanziamento ai partiti di tipo privatistico e scarsamente regolamentato alimenta le ingerenze dei gruppi di interesse, anche di quelli internazionali, sui decisori politici. L’orizzontalità della comunicazione è contrapposta alla verticalità della decisione. La realtà che si racconta e si percepisce è sempre più distante dalla quella che decide. La prima è data dal rapporto leader-elettori, mediato attraverso i social e i sondaggi; la seconda, meno visibile, è costituita dai dai gruppi d’interesse, dall’apparato burocratico, dagli spin doctor, dai mercati e da tutto ciò che costituisce l’establishment. L’egemonia esercitata dalle élite nella società si è trasferita dal campo culturale a quello tecnologico. Non a caso i modelli organizzativi del partito personale e del partito digitale, incarnati da Forza Italia e dal Movimento 5 Stelle, sono stati prodotti da due aziende di comunicazione, la Fininvest e la Casaleggio Associati. La figura del politico, dunque, assume due volti, quello del comunicatore e quello dell’amministratore, piuttosto che dell’intellettuale che elabora l’azione sulla base del pensiero.
Nell’epoca dell’istantaneità e della velocità, della continua produzione di nuovi miti e salvatori della patria, anche l’immagine del leader rischia di diventare un bene di consumo. Come un tormentone estivo.

Note:
(1) S. CASSESE, La decadenza (ignorata) e il vuoto di idee dei partiti, Corriere della Sera, 22 ottobre 2019.
(2) Si veda M. GABANELLI e S. RAVIZZA, Matteo Salvini e «La Bestia»: come catturare 4 milioni di fan sui social, Corriere della Sera, 30 ottobre 2019.
(3) M. CALISE e F. MUSELLA, Il principe digitale, Bari-Roma, Ed. Laterza, 2019, p. 64.

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