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I lampadieri della sinistra

“Tutti noi ce la prendiamo con la storia,
ma io dico che la colpa è nostra,
è evidente che la gente è poco seria,
quando parla di sinistra o destra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…”

– Così iniziava una delle più belle e disincantate canzoni di Giorgio Gaber ponendo un quesito ontologico, ancora oggi irrisolto, già nel 1994 quando incide la canzone nell’album live “E pensare che c’era il pensiero” (titolo di per sé significativo). Dopo oltre vent’anni la domanda è ancora lì squadernata davanti a noi… sol che la si voglia vedere e considerare. Infatti, è del tutto evidente che queste due categorie che hanno disegnato la geografia della politica fin dalla Rivoluzione Francese sono oggi in profonda crisi d’identità. Ma mentre la destra può vantare una certa continuità geografico-ideologica, la sinistra sembra aver smarrito ogni riferimento geodetico e identitario. Qualcuno pensa che il problema si risolva semplicemente negandolo, cioè dichiarando che il binomio destra-sinistra abbia perso di senso e che, comunque, la sinistra che si ponesse appunto la domanda ontologica (“chi siamo? Come ci immaginiamo il mondo?”), identitaria sia condannata all’estinzione o all’inutilità, in quanto costitutivamente portata a camminare con la testa rivolta all’indietro, al suo (glorioso? ma anche sanguinoso) passato. Alla prima tendenza si iscrive il sindaco di Firenze, Dario Nardella, il quale richiesto circa la desinenza di “sinistra” del PD risponde così: «Deve essere un partito capace di parlare a tutti gli italiani, superando i vecchi paradigmi dei partiti del secolo scorso. Lo schema della contrapposizione tra destra e sinistra non è più sufficiente a leggere il nostro tempo. Dobbiamo costruire un’alternativa del tutto nuova». Resta da capire quale sia questa alternativa del tutto nuova, giacché il nuovismo non designa di per sé alcun contenuto, né tanto meno alcun valore. E’ però contestabile in radice l’idea che la risposta alle domande ontologiche, “cos’è la sinistra?”, debba rivolgersi al passato, giacché essa riguarda essenzialmente cosa oggi per il futuro possa ancora dirsi “sinistra”. Quella della ricerca di un nuovo senso e funzione della sinistra nel XXI secolo è una navigazione in mare aperto, perigliosa certamente, con pochi punti di riferimento, ma necessaria giacché i porti un tempo sicuri in cui sono alla fonda le tante diverse navi della flotta Sinistra sono ormai minacciati da mareggiate e fortunali e le imbarcazioni rischiano di essere trascinate a fondo dalle ancore da cui pretendono stabilità e certezze. Ancore e porti della tradizione sono ormai rischiosi, tanto quelli della tradizione comunista, ormai da decenni corrosi da un’anacronistica ortodossia e da crimini e responsabilità troppo pesanti per essere sopportate anche da quelle poche esperienze che non si sono macchiate di crimini (come il PCI), quanto quelli socialdemocratici. Infatti, se questi ultimi hanno fatto i conti con la democrazia (che invece la tradizione comunista aveva lasciato sostanzialmente aperti) dando vita al più significativo esperimento di democrazia sociale mai conosciuto in Occidente che va sotto il nome di welfare State, è pur vero che la socialdemocrazia ha balbettato di fronte ai problemi nuovi della fase spinta della globalizzazione che stiamo vivendo da qualche decennio. La socialdemocrazia non è stata in grado di proporre una lettura e delle risposte originali alle problematiche globali della finanziarizzazione dell’economia che è il più recente stadio dell’evoluzione del capitalismo mondiale, delle contraddizioni del modello di produzione divoratore delle limitate risorse ambientali, delle diseguaglianze a livello planetario, dello svuotamento dall’interno della democrazia dovuta all’emergere di poteri enormemente più forti e penetranti di quelli regolati dalla democrazia rappresentativa, dell’attacco ai diritti fondamentali dell’individuo soprattutto nell’area del lavoro e dall’insorgere di nuove e pressanti domande di diritti individuali e collettivi provenienti dalle trasformazioni tecnologiche e umane della società contemporanea, del contatto sempre più frequente e profondo fra la cultura occidentale e quelle un tempo ritenute periferiche (dall’Islam all’Oriente). Da questo balbettio troppo prolungato, la tradizione socialdemocratica è risultata indebolita non tanto sotto il profilo del consenso (questione comunque centrale in un mondo in cui, almeno nominalmente, l’espansione del modello democratico non è mai stata così forte), quanto sotto quello della cultura politica e, dunque, della sua funzione storica. Così, talvolta essa è rimasta alla fonda, ferma e bloccata alle sue antiche certezze, ma sta arrivando un tifone in cui si mescolano populismi, nazionalismi, paure, cambiamenti che rischiano di travolgerla. In alcuni (troppi) casi il vascello socialdemocratico ha cercato riparo nel più scintillante e attraente porto del vicino Conservatore, sperando che mimetizzandosi con la destra, gli sarebbe stato risparmiato il naufragio. Ma, come si sa, le persone preferiscono giustamente di gran lunga l’originale alle copie; e, soprattutto, la bufera sta travolgendo anche la destra.
Ecco allora che l’unica speranza è quella di lasciare il porto e provare a navigare in mare aperto verso nuovi lidi, senza troppe zavorre che appesantirebbero troppo la nave, ma portandosi dietro solo le cose davvero utili: una bussola per mantenere la prua dritta verso la Polare dei valori, marinai giovani e ardimentosi e qualche nocchiero di lungo corso appassionato delle avventure impossibili, viveri perché il viaggio sarà lungo e incerto, qualche carta nautica dei mari che abbiamo conosciuto e diversi strumenti adatti a redigere carte nuove di mari sconosciuti. Qualche piccolo veliero ha da tempo preso il largo, indignato dall’omologazione culturale e dalle ingiustizie patite nel vecchio mondo coperto dalla scintillante patina della modernità: sono stati movimenti giovani e imberbi, talvolta impulsivi, che però hanno capito in anticipo che dietro il sole splendente della finanza globale si addensavano nubi minacciose che ne rivelavano la vera identità. Hanno provato ad organizzare equipaggi, con mozzi, marinai e capitani, tutti coraggiosi, e sono partiti, con sprezzo del pericolo. Hanno aperto nuove rotte (le culture politiche dell’ambientalismo scientifico, dei diritti civili, del dialogo sociale, della cooperazione), dimostrando che un altro mare era possibile e non invincibile. Qualcuno è affondato, altri sono dispersi, ma molti sono ancora lì che combattono con le onde, ad indicare una via possibile. Mi ricordano l’immagine che usava il mio amico Tom Benetollo, un grande navigatore dei mari sconosciuti della sinistra, quella del lampadiere, colore che “in questa notte scura, camminando innanzi, tengono la pertica rivolta all’indietro, appoggiata sulla spalla, con il lume in cima. Così il lampadiere vede poco davanti a sé, ma consente ai viaggiatori di camminare più sicuri. Qualcuno ci prova. Non per eroismo o per narcisismo, ma per sentirsi dalla parte buona della vita…”.
Vorrei andare alla ricerca di questi lampadieri, segnalare cosa si sta muovendo nel campo – largo e non delimitato a priori – della sinistra. Senza le categorie del passato che, talvolta, ci portano ad etichettare come populisti movimenti di sinistra ma che semplicemente non sappiamo inscatolare nelle tradizioni storiche della sinistra (come Podemos o Syriza in Europa o Sanders in America) o che ci portano ad associare a questo campo soggetti ed esperienze perché si dicono socialdemocratici ma che dai valori della sinistra sono ormai molto distanti (come alcuni leader dei nuovi membri orientali della UE che si associano ad Orban nell’erigere barriere anti-immigrati). Non sappiamo dove approderemo, ma viaggiare si deve, senza più alcun indugio.

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