Lunedì 9 aprile 2001. A Firenze si disputa l’incontro di calcio Fiorentina – Roma. Il giorno della settimana scelto è inusuale, ma l’allora prefetto del capoluogo toscano, Achille Serra, decide così perché è altissimo il rischio di scontri tra le due tifoserie, storicamente rivali, ma la cui rivalità è accentuata dal fatto che in quella stagione Batistuta giocava proprio nella Roma. L’idea del Prefetto, quindi, poggiava sulla speranza che un giorno feriale dissuadesse i tifosi romanisti dal recarsi allo stadio. Errore. Quella che oggi è chiamata “curva Marione” era piena zeppa di circa 8.000 ultras capitolini che esposero uno storico striscione: “semo tutti parrucchieri”.
Questo episodio mi è tornato alla mente a proposito del “codice di condotta ONG” partorito dal Ministro degli Interni Marco Minniti. E’ l’ennesimo tentativo, dopo il più che discusso “Decreto immigrazione”, di limitare gli arrivi di migranti nel nostro Paese, questa volta agendo sul versante delle organizzazioni non governative, i primi (non unici) punti di contatto tra disperati in mare e le nostre coste.
Le organizzazioni umanitarie che stazionano in acque internazionali, nei soli primi 4 mesi del 2017 hanno salvato 12.646 persone, il 35% del totale. Queste organizzazioni (Medici senza frontiere, Save the Children, SOS Mediterraneè, ecc.), non percepiscono né dal Governo Italiano, né da nessun’altra Istituzione Internazionale, alcun compenso per la loro opera al pari di alcune navi mercantili che, per puro spirito umanitario, hanno salvato il 16% dei dispersi in mare.
Una indagine conoscitiva della Commissione Difesa del Senato, del maggio scorso, ha escluso tutte le accuse che all’inizio dell’anno erano state rivolte alle ONG, prima dall’agenzia per il controllo delle frontiere europee Frontex e poi dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro. Più che accuse, in realtà, insinuazioni. Tanto gravi quanto false. La Commissione, comunque, espresse la necessità di “regole chiare” per le organizzazioni non governative che operano soccorso nel Mediterraneo centrale. Quelle stesse regole, è bene ricordarlo, che le stesse ONG reclamavano affinché fossero più chiari e coerenti i rapporti con gli altri soggetti “istituzionali” presenti in quell’area (Guardia Costiera, Marina Militare, Frontex).
Dobbiamo riconoscere, ad onor del vero, che il Ministro degli Interni è stato solertissimo nell’accogliere l’invito del Parlamento e, in perfetta continuità con suoi precedenti atti, ha emanato un “codice di condotta” che in alcuni punti non solo è inspiegabile ma ha oggettivamente legittimato frasi indegne come quelle del deputato Stefano Esposito secondo cui “ci sono alcune ong che hanno una posizione ideologica (o ideale dal loro punto di vista) per cui il tema è esclusivamente salvare vite umane, noi non ce lo possiamo permettere”.
Due, sostanzialmente, i punti del Decreto incomprensibili: prevedere a bordo delle navi personale di polizia giudiziaria armato e il divieto di trasbordo in altre unità navali.
Sul primo punto, al netto delle pregiudiziali di natura etica opposte da alcune ONG, ci si chiede quale utilità possa avere se non quella, non detta, mai provata, ma evidentemente ritenuta più che realistica, di una contiguità, se non vera e propria complicità, tra organizzazioni umanitarie e “scafisti” a cui offrirebbero protezione e riparo. Il secondo, poi, è addirittura pericoloso. E’ noto a tutti che, spesso, il numero di migranti a bordo di barconi dispersi nell’immenso Mare Nostrum è talmente alto da non permettere il salvataggio in un’unica operazione. E’ necessario prenderne il maggior numero possibile in una prima fase, trasferirli nella prima imbarcazione più prossima e tornare a salvare il resto. Se non è troppo tardi.
Ve ne è un terzo, di punto. Non incomprensibile ma preoccupante, nelle circostanze attuali. La Libia non è affatto un posto sicuro dove riportare le persone in fuga, né dal territorio europeo né dal mare.
Solo due anni fa, l’allora Presidente del Consiglio, affermava sicuro: “Noi prima salviamo vite umane anche a costo di perdere voti. E’ una questione di civiltà“. E ancora: “Abbiamo salvato migliaia di vite mentre l’Europa si girava dall’altra parte – ribadiva nel 2016 dopo un incontro con il premier di Malta – Continueremo a farlo, perché prima del patto di stabilità c’è un patto di umanità. Che noi non rinnegheremo mai”. Cosa è successo, cosa giustifica questa inversione politica e, diciamolo, umanitaria a 180°?
Forse le (quasi) imminenti elezioni? Ci rifiutiamo di pensarlo ma vi è un evidente limite strategico che deve mettere in conto anche la perdita (forse) di qualche voto, in cambio di un risultato politico complessivo che nel medio termine non solo porterebbe molti consensi ma permetterebbe, nell’immediato, di non avere alcun peso su nessuna delle nostre coscienze.
Cari Minniti e Renzi, nel Mondo ci sono milioni di “parrucchieri” che, soprattutto per colpa nostra, di noi occidentali, non possono permettersi alcun giorno di chiusura. Aiutarli a casa loro e, oggi, accoglierli non sono azioni alternative. Non bisogna sceglierle tra le due opzioni, si tengono insieme tranquillamente. Finché le barche andranno, facciamole andare. In sicurezza. E’ una questione di civiltà. E’ un patto di umanità.