Sartre

Noterella. L’ anniversario della morte di Sartre, il marxismo occidentale e l’identità di sinistra.

L’”autore” e l’Italia
Con la “Grande paura”, generata nell’opinione pubblica dalla pandemia (ma v. G. Lefebvre La grande paura del 1989, Torino, Einaudi 1953 e T. Tackett, Un re in fuga. Varennes Giugno 1791, Bologna, Il Mulino 2006 ) è passato quasi sotto silenzio o senza tanta attenzione, l’anniversario della morte di Sartre, avvenuta nell’aprile di 40 anni fa. Sembra lontano il tempo in cui (come a Napoli per la morte di Benedetto Croce), un lungo corteo accompagnò il suo feretro. Di cosa è indicatore questa lontananza, non è facile comprendere.

Nato nel primo decennio del “secolo breve”, Sartre, è divenuto sicuramente un “classico” del Novecento europeo, non a caso associato a Voltaire. Ricordarlo come maestro di più generazioni: da quella della “meglio gioventù”, per dirla nel linguaggio ridondante dei media, fino a quella precedente degli anni’40, non
può essere un esercizio pedante di “nipotini” reduci da una passata stagione. Straordinario poligrafo: scrittore, filosofo, critico, Sartre non è mai stato nell’opinione pubblica, un “autore” totus politicus, anche se ha fatto tutt’uno, nè più nè meno, con l’orizzonte di aspettative del suo tempo, come ha ricordato sulle pagine di un “quotidiano comunista” lo studioso argentino Claudio Tognonato (Il manifesto 18 aprile 2020).
La sua figura ha suscitato ricerche, studi, prospettive trasversali, in letteratura, in filosofia, in psichiatria e non solo nella prospettiva di Franco Basaglia (v. L’uomo al magnetofono riletto da Elvio Fachinelli Edizioni L’erba voglio, Milano 1977). Avversato da gran parte del mondo universitario italiano, laico e cattolico, ridicolmente misconosciuto nella retorica di rilevanti scuole di storiografia filosofica, l’ “autore” Sartre si è fatto strada nell’Italia del dopoguerra riscoprendo la tradizionale posizione del “dotto” europeo. Nella figura scomoda dell’ ”intellettuale impegnato”, non “organico”, non è difficile, in effetti, intravvedere la persona, la maschera del vir prudens. Fiancheggiatore e compagno di strada del gruppo dirigente togliattiano, variamente osteggiato da un composito fronte di pedanti, acquista, in seguito al “disgelo” tratti di assoluto rilievo in tutta Europa. Nel lungo ‘68, con l’ opposizione di un composito fronte di pedanti, (tra i quali spiccavano gli intellettuali stalinisti che giudicavano La Nausea e la trilogia delle vie della libertà espressione della “decadenza borghese”) diventa un interlocutore a sinistra sempre più presente (v. la testimonianza di L. Castellina Sartre e l’Italia, Rivista di studi sartriani XI, 2017 e inoltre G. De Luna, Le ragioni di un decennio. Milano Feltrinelli 2009).

Tra i contemporanei La critica della ragione dialettica è riconosciuta come un’anticipazione teorica degli anni ’70, nei quali, come ha documentato ancora Luciana Castellina (Il Manifesto 28/11/2018), l’ ”autore” si pone come punto di riferimento anche in Italia delle identità della sinistra “occidentale”: di “Quaderni Rossi”, di “Problemi del socialismo”, dello stesso gruppo del “Manifesto” e poi del “Movimento studentesco”, dell’ “Università critica”, e di tutta la pratica “antiistituzionale” di “Lotta continua”, dei “maoisti”, dei gruppi di “autonomia operaia” e delle “brigate rosse”.

In una ideale protoglobalizzazione, Sartre è stato, all’interno del marxismo occidentale, un punto di riferimento “umanistico”: prima della lotta anticoloniale con Franz Fanon, il Tribunale Russell e la solidarietà verso il movimento di liberazione afroamericana; poi nella Germania degli anni ’70 con l’ appoggio critico al gruppo della Rote Armee Fraktion. Anche in base all’intera storica vicenda di questo impegno ( (V. A Tarquini, La repubblica, 4 febbraio 2013) la sua filosofia, “ha superato” quell’ “epoca per arrivare a noi” (Tognonato).

L’ateo virtuoso e il giuramento
3) Tra gli “strumenti, metodi, osservazioni” con cui Sartre ci raggiunge teoricamente (V.in proposito gli scritti raccolti in Sartre e la filosofia del suo tempo, Trento 2008) “senza offrire soluzioni” (Tognonato) mi permetto di ricordare, come storico della filosofia, il suo richiamo peculiare all’istituto del giuramento. Nel corpus dell’opera, la tematica si trova un pò ovunque: negli scritti postumi come nell’Essere e il nulla e nella Critica; nei Quaderni “de la drole de guerre” e a proposito della “negritude” (Orfeo nero Situations III). Paolo Prodi nella sua eccellente ricerca Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale dell’Occidente (Bologna, Il Mulino 1992) riprende la posizione svolta dall’autore nella Critica, dove col tema dell’ateo virtuoso, rielaborato, si propone (a differenza di Bayle ma insieme a gran parte del cristianesimo “radicale”), il giuramento, come chiave di comprensione della formazione della socialità moderna e delle istituzioni pubbliche, nelle condizioni di “penuria”.
Secondo aspettative oscillanti tra cosmopolitismo e sovranità delle nazioni, l’istituto sanziona, in pagine memorabilia, la materialità della trasformazione del gruppo rivoluzionario, il “gruppo-in-fusione” – abbozzo della “futura umanità” – nella sua pratica di fraternità/terrore.

Gli aderenti al gruppo rivoluzionario, minacciati dalla dissoluzione, si riconoscono nel diritto di trasformarsi in gruppo di costrizione, di esercitare violenza e anche uccidere in caso di secessione. Il terrore esercitato sul traditore è considerato, lungo la complessa e stringente analisi del filosofo, come l’altro volto della stessa fraternità, che unisce nel “linciaggio” i partecipanti al gruppo.
Prodi aveva preso parte, sull’argomento, ad un seminario tenuto da Sartre a Bologna, probabilmente nel ’69. Lo storico sembra associare l’impossibilità di dissociarsi dei partecipanti del “gruppo in fusione”, alla sacralizzazione del giuramento al Führer, teorizzata dal grande giurista cattolico del secolo scorso, Carl Schmitt, anche lui in parte vicino ad Heidegger.

Non può sorprendere che il tema si trova, con una tonalità semplicemente autobiografica, nel “diario” di un dantista e studioso del Petrarca, Enrico Fenzi (Id Armi e bagagli, Milano, Grandi&Associati 2015; e Id Petrarca, Bologna, Il Mulino 2008).
Fenzi riconduce la propria esperienza di condivisione e dissociazione dalla lotta armata, alle pagine di Sartre nella Critica: (“Il mio personale ‘grande vecchio’, l’occulto ispiratore della lotta armata, egli scrive, …è il Sartre della Critica della ragione dialettica”). Senza chiacchiericci, lo studioso associa l’appello di Sartre, per rimettere l’uomo al centro della pratica politica, alla dichiarazione di Renato Curcio, precedente, di un paio di anni la morte di Sartre, nella quale l’assassinio di Aldo Moro risulterebbe essere “l’azione più umana di tutte in un mondo diviso in classi” (ivi 203-205. Ma v.il Diario di A. Aglietta con pref. di Leonardo Sciascia , Milano Libri edizioni 1979).
L’angelo della storia e la violenza politica
3) L’attacco nel 2001 alle Torri Gemelle di New York disegnate da Minoru Yamasaki, può essere considerato come un emblematico indicatore del mutamento dell’orizzonte di aspettative nel nuovo secolo (V. F. Benigno Terrore e terrorismo. Saggio storico sulla violenza politica. Torino, Einaudi 2018). La svolta della globalizzazione sembra rendere Sartre un classico da interrogare per elaborare e comparare l’impegno oggi degli “intellettuali – in quanto spettatori con naufragio – alle prese con l’identità della “sinistra” contemporanea. La lotta “rivoluzionaria” come quella “riformista”, la battaglia delle “idee”, scientifica ed umanistica si svolge forse ancora sul fondamento critico della “penuria” ma secondo un inedito sviluppo delle “forze produttive” e una riarticolazione inaspettata (cosmopolita, postdemocratico, populista) del lavoro intellettuale e politico (V. G. M. Flick, E. Rossi, Prima le persone a cura di P. Terracciano, Roma, Castelvecchi Editore 2019)
La storia non ripete i suoi orizzonti perduti, anche se li riprende diversamente, diceva da qualche parte Maurice Merleau-Ponty ( V. sul tema D. Losurdo Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere. Roma Bari Laterza 2017).
Entra nel segno del nuovo secolo un orizzonte ormai lontano dall’epopea del “marxismo occidentale”, analizzato negli anni’50— l’”occidente” stesso come concetto è mutato storicamente con la fine della “Guerra fredda”, la nascita della prospettiva “postcoloniale” e l’affacciarsi degli “imperi” nella geografia politica e culturale globale (V. S. Gruzinski Abbiamo ancora bisogno di storia? Il senso del passato nel mondo globalizzato, Milano, Cortina 2016).

Forse nel guardare indietro, al pari dell’angelo di Benjamin, alle rovine del secolo scorso, appare più vicino ad una dimensione “storica” ricordare Sartre “vivente” come protagonist e testimone, avversario e interlocutore di un’altra contemporaneità: quella che si tiene col Lukacs della Distruzione della ragione fino al rizoma di Deleuze/Guattari, la biopolitica e il Descartes di Antonio Negri, più che pensarlo partecipe della nostra contemporaneità o ancora nostro contemporaneo.

Foto in evidenza: Jean-Paul Sartre (https://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/who-is-who/2020/04/jean-paul-sartre-anniversario/

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